Zam Hip Hop Lab – Un’intervista

Pomeriggio avanzato di un caldissimo inizio di Settembre.
Torniamo ancora una volta nella periferia Sud di Milano per la quarta tappa delle nostre interviste.
Approdiamo in Via Sant’Abbondio per un’intervista collettiva allo Zam Hip Hop Lab.
Prima di cominciare ci sia consentita una piccola premessa metodologica però…
I due intervistatori ammettono la loro quasi totale ignoranza dell’universo hip hop.
Uno viene da una solida tradizione rockettara e metallozza.
Il secondo ha un’insana passione per tutta la musica britannica dagli Who agli Oasis passando per i Joy Division con una spruzzata di musica classica.
Ci inoltriamo quindi in un terreno da noi poco praticato…
Ma andiamo a iniziare!
 
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-Per cominciare magari fateci una piccola presentazione del progetto.
Allora… I nomi in campo sono due: lo Zam Hip Hop Lab che è il laboratorio iniziato nel 2012 in Via Olgiati e poi la Rap Caverna Posse che invece è il progetto artistico…la posse che è nata al suo interno durante l’occupazione di Santa Croce.
Rap Caverna è il gruppo di mcs e producers che ha una geometria variabile. C’è uno zoccolo duro e poi tutto un gruppo più ampio di persone che gravitano nel “giro largo”. Nel disco, per esempio, eravamo in nove.
Zam Hip Hop Lab è il collettivo politico che si occupa della gestione della proposta musicale e culturale hip hop a Zam e che in momenti settimanali autogestisce il laboratorio. Rap Caverna è invece il “gruppo d’azione”.
Il laboratorio è aperto a tutti. Non per forza chi viene al Lab deve saper rappare. E magari viene anche qualche ragazzo che ha la voglia e la necessità di registrare le sue cose.
La forma laboratoriale nasce con lo scopo di offrire uno spazio di confronto e sviluppo creativo e per la sua natura crea una connessione tra chi rappa e chi ha fatto musica e magari ha smesso, chi la vorrebbe fare, chi non sa come organizzarsi e così via…
C’è chi non si è mai potuto permettere di mettere le mani su un giradischi e con l’Hip Hop Lab ha potuto concretizzare questo sogno.
C’è gente che ascolta la commerciale o le peggio robe e poi passa da qui.
Insomma, un gran viavai…
Il progetto si è ampliato con la costruzione dello studio di registrazione aperto a tutti e completamente gratuito. Lo spazio ha preso il nome di Rap Caverna, nata in Via Santa Croce (l’occupazione di Zam sgomberata nel Luglio 2014).
All’inizio era solo frequentato da amici, ma col passare del tempo ha iniziato a passare la gente più svariata.
Una settimana fa sono venuti dei ragazzi sudamericani per registrare del reggaeton…
Lo ZHHL è una sorta di assemblea permanente in cui si discute di tutto.
Nei testi delle canzoni della posse magari ci sono i frutti delle ore di discussione politica fatta dal Lab.
La Rap Caverna Posse prende il nome invece dal nome dello studio, riferendosi al progetto che sentiva come suo e definendo una sua autonomia rispetto al laboratorio.
 
-Come e quando nasce il progetto?
Chi è più grandicello, ha ascoltato per anni hip hop nei centri sociali. Da un certo momento in avanti però, i centri hanno smesso – o quantomeno hanno diminuito – di fare ed ospitare questo genere musicale…. Per assistere a una serata hip hop bisognava andare in posti di merda!
Questo è successo quando l’hip hop ha iniziato a diventare più “pop”, nel senso di popolare e commerciabile…
Potremmo collocarlo temporalmente a metà degli anni 2000: un momento di cambiamento dall’underground al raggiungimento di un pubblico più ampio potrebbe essere stato sancito dall’uscita di “Mr. Simpatia” di Fabri Fibra a fine 2004.
Calcola che al primo anniversario della morte di Dax avevano suonato i Club Dogo. Una cosa impensabile ora…
Ma torniamo a noi…
Il progetto è nato nel 2012: abbiamo incrociato Esa e siamo passati da Zam, che era uno spazio a noi vicino e che sembrava essere il più disponibile a dare spazio a questa esperienza. E infatti così è stato.
C’era una sorta di lezione frontale di Esa e una serata di open mic (“microfono aperto”, una sorta di palestra per mcs e djs) bisettimanale.
Esa è uno dei pochi della “vecchia guardia” dell’hip hop che si spende ancora su queste cose…sul passaggio di testimone e la formazione delle “nuove generazioni”…per fortuna ci sono persone come lui o Mastino che investono molte delle loro energie in progetti con le medesime finalità.
Nel Marzo 2013 la situazione cambia, Esa non riesce più a seguire con costanza il laboratorio e nasce il progetto di autogestione vero e proprio.
Da lì in poi l’attività del laboratorio è aumentata in modo esponenziale così come il protagonismo all’interno dell’assemblea di Zam…. C’è stata una grande crescita collettiva.
Si è passati da una situazione in cui gruppi hip hop da esterni passavano a chiedere le serate al centro sociale a essere un collettivo hip hop con un’internità politica nello spazio autogestito.
Abbiamo fatto un’iniziativa chiamata “Hip hop per l’hip hop” con la presenza di persone che, nella loro vita, hanno preso strade diverse e spinto cose diverse che si sono sedute allo stesso tavolo per discutere di cultura, scena musicale e diritti d’autore.
C’è l’idea di costruire una sorta di rete, ma non siamo riusciti ancora a concretizzarla.
 -Consigli per gli ascolti:
Mastino – “Cruciverba”.
 
-L’hip hop è ormai il genere più ascoltato. Più il pubblico si allarga più la situazione si “complica”. Quanti stili ci sono?
Bella domanda…e complicata! È quasi impossibile dare una risposta: negli Stati Uniti la scena era tradizionalmente divisa fra la West Coast e la East Coast. Poi ha cominciato ad essere in voga anche lo stile del Sud, il Dirty South. La trap nasce proprio da qui e ha dei tratti distintivi. Potremmo dire quasi che si tratti di un altro genere, più che di un altro stile: le basi sono diverse, la ritmica e le pause pure. Le chiusure ritmiche sono sulla terza battuta invece che sulla quarta come nell’hip hop più classico. Tanto uso del sintetizzatore.
In Francia per esempio, ormai trappano quasi tutti.
In Italia è arrivata già sulla cresta dell’onda del commerciale e del mercato con una venatura fortemente mainstream ma ad ora ci sono molte sperimentazioni così anche nella scena underground.
In qualche modo si può dire che ormai sia di “moda”. Però c’è anche chi continua a prediligere un sound più classico e spingere comunque un prodotto innovativo venendo apprezzato da un grande pubblico. Un esempio è E-Green, che attraverso un progetto in crowdfunding ha prodotto un disco potente e “nuovo” di rap “tradizionale” e che oltretutto si è speso in iniziative come il concerto per Dax l’anno passato.
 
-Così su due piedi. Un consiglio immediato per l’ascolto?
Il disco di E-Green, “Beats & Hate”. Ascoltatevi pure “Mani Pulite Crew”…Un progetto di una crew di Milano non più attiva come collettivo dove viene descritto il peggio della storia e della corruzione italiana degli ultimi 40 anni in trap.
Tornando a noi… Abbiamo ospitato gente che fa trap.
E’ capitato e capita sempre più spesso.
Noi, nel nostro disco abbiamo un pezzo trap nascosto, ma neanche troppo, e molto ironico…manco a farlo apposta…nei live è quello più apprezzato in cui la gente impazzisce.
 
-L’occupazione di Via Santa Croce, la crescita esponenziale dell’Hip Hop Lab, la mazzata dello sgombero e il rilancio. Fateci un breve quadro della situazione.
Beh…La crescita esponenziale nel periodo in cui Zam era in Via Santa Croce da un lato ce l’aspettavamo e dall’altro no.
I primi live grossi della Rap Caverna Posse sono stati quelli alle serate studentesche. Il numero di artisti che si proponevano è aumentato è non si è mai bucata una sola serata, la posizione centrale dello spazio sicuramente ha influito, ma c’era un bel gruppo di base ad aiutare.
La botta di attività politica e consapevolezza si è però avuta con lo sgombero di Santa Croce, le assemblee itineranti a Macao e l’occupazione qui in Via Sant’Abbondio, dove si prospettava la possibilità di un lavoro su un quartiere periferico…terreno tradizionalmente fertile per la cultura hip hop.
La prima sera di occupazione in Sant’Abbondio tanta gente dello ZHHL ha dormito qui, l’importanza della cosa era ormai evidente
L’evoluzione del Lab è stata anche un’evoluzione di spazi fisici:
Dalla provvisorietà di Via Olgiati alla stanza in Via Santa Croce al piano intero a disposizione in Via Sant’Abbondio.
A questa evoluzione fisica è corrisposta una crescita esponenziale di responsabilità e consapevolezza.
Ormai c’era la consepevolezza che il Lab, ma anche Zam era una cosa tua e te ne dovevi prendere cura.
Una potenza sempre maggiore insomma!
Dallo sgombero di Santa Croce lo ZHHL ha continuato a fare le sue assemblee settimanali itineranti senza interruzioni per un paio di mesi, fino a quando ci siamo ripresi Via Sant’Abbondio.
C’era proprio la fotta di ricostruire l’Hip Hop Lab.
Nel giro di una settimana dalla nuova occupazione abbiamo ricreato il laboratorio dal nulla.
Più aumentano le responsabilità quindi più si vive in prima persona lo spazio e più lo si sente proprio.
Tanta gente di Zam si è integrata con l’Hip Hop Lab.
Ragazzi che magari non avevano mai fatto un corteo in vita loro, ma stavano a fumarsi i lotti in piazza sono passati dal Lab e sono diventati militanti finendo a prendersi i lacrimogeni a Cremona o andare a farsi un viaggio nei Paesi Baschi.
Tanti ragazzi del Lab sono per esempio diventati militanti del Comitato Autonomo Abitanti Barona.
E’ stata un’evoluzione naturale.
 
-Consigli per l’ascolto:
Ganjafarm Cru – “Lu contadino”.
Don Diegoh & Ice One feat. Danno, Francesco Paura & Dj Argento – “Tutto qua”.
 
-Ci sembra che voi abbiate una policy sul linguaggio e sulle culture che si porta dietro. Una cosa che ha messo un po’ nell’angolo l’hip hop nei centri sociali è il sessismo. Domanda provocatoria… Che il sessismo sia parte integrante dell’hip hop?
Il sessismo putroppo è parte integrante della cultura popolare e di massa con tutto quel che ne deriva.
 
-Nel dissing sembra che l’unico obiettivo sia la sopraffazione dell’altro e l’imporsi sfrenato del proprio ego e dell’individualismo più spinto. Sbagliamo?
In qualche modo l’hip hop nasce come autoreferenziale nel senso che esplode negli States con la necessità dell’io di parlare di quel che esso prova.
Se esiste una cultura dello scontro, è da leggersi al netto di una contestualizzazione: se da una parte c’erano le gangs e le bande di quartiere che si sfidavano a catenate, con l’hip hop c’era la possibilità di sfidarsi a colpi di stile, fosse esso in una figura di breakdance o in una battle fra mcs.
Se si prende la jam come evento simbolo della cultura hip hop, in quel contesto l’affermazione personale è sempre inserita all’interno di una collettività, non è mai un voler annullare l’altro.
In questo senso a nostro avviso non si dovrebbe parlare di individualismo, quanto di sana competizione: nei cypher non si sconfigge gli altri, si dimostra il proprio stile, che in quella determinata occasione può essere riconosciuto dagli altri come il migliore, ma che in un’altro evento non è detto che lo sia.
Ovviamente poi i dissing-pagliacciate su Youtube, sono tutto un altro discorso…
 
-Non c’è un po’ una mitizzazione dell’autoaffermazione a scapito degli altri?
Beh…Se devi esprimere un concetto cerchi di esprimerlo nel modo più potente e accattivante possibile, ma è un po’ così in tutta la musica…bassisti e chitarristi cercano sempre di fare la cosa più stilosa!
 
-La grande differenza però è il linguaggio che in quel caso resta musicale mentre qui è parlato…è quello della vita di tutti i giorni.
La battaglia è trovare il giusto equilibrio!
Per esempio…
Se un mc sta facendo rap sessista e gli viene tolto il volume in qualche modo è un boomerang perché per chi fa musica questo viene ritenuto in atto di violenza e di “repressione”. In questo modo si rischia di allontanare gli artisti.
Se invece un mc desse la merda o interrompesse un altro mc intento a rappare le peggio cose nelle sue metriche lì si sarebbe vinto sul “campo di battaglia”…
Capita di partecipare a serate o iniziative di movimento dove si sentono testi non necessariamente sessisti ma che usano termini sessisti.
 
-Altri consigli per l’ascolto?
Lou-X per esempio fa un rap molto descrittivo e poco autoreferenziale… “La ragione e l’odio” è da ascoltare!
Murubutu invece è una specie di cantautorato rap…come potrebbe essere Guccini… “Martino e il ciliegio” e “Atto isolato”
A titolo di esempio di rap più introspettivo potremmo citare Uomini di Mare, 16 Barre e Don Diegoh.
Dj Gruff invece ha una grandissima ricerca metrica.
Più funkeggiante consigliamo Dj Lugi e Mastino e Ffiume.
Per sonorità più ruvide consigliamo HardSquat Crew, DSA Commando e Drammachine.
 
-Qualche considerazione sull’Italia?
Mah… Quando l’hip hop si è sviluppato negli Stati Uniti negli anni ‘70 nasceva da due necessità fortissime.
Da un lato fare musica senza dover spendere soldi per comprare degli strumenti musicali…dall’altro esprimere le proprie storie e vissuti con una forte componente esistenziale dell’affermare se stessi.
In Italia c’è un filone che ha perso un po’ il senso di questa cosa
C’è chi si è portato dietro tutto l’immaginario americano scimmiottandolo in modo macchiettistico senza però avere alle spalle la pesantezza di quel mondo in termine di povertà, violenza, criminalità e così via…
Però esiste anche una fitta scena underground e una scena mainstream ma non commerciale innovativa a livello di suono.
 
-Si conferma il fatto che l’hip hop non è più un fenomeno di nicchia, ma di massa…
Beh…sì…
Le radio ormai lo passano alla grande.
I genitori accompagnano i figli ai concerti…
Più di così!
 
-Ci sembra di vedere molti ragazzi migranti di seconda generazione, anche su Youtube, che usano questo linguaggio musicale.
La comparsa sulla scena di questa generazione migrante è una tendenza, ma non si è ancora affermata con forza.
Il rischio concreto è che si sviluppi sulla falsariga degli Stati Uniti: “’Fanculo! Ho fatto i soldi e me la sono sfangata…voi falliti fottetevi!”.
 
-Un consiglio per l’ascolto di questa seconda generazione?
“L’esodo” di Mosé Cov, un ragazzo di origine eritree.
Lui stesso dice di non essere un militante, ma un ragazzo nero cresciuto di fianco a un negozio di nazisti (in piazza Maciachini).
 
-C’è ancora una scena militante?
Come prima cosa c’è da dire che anche la scena militante subisce le questioni e le divisioni del movimento.
Lo Zam Hip Hop Lab ha sempre cercato di mantenere una linea di grande trasversalità.
Non abbiamo mai rifiutato l’invito da parte di nessuno.
Siamo stati da Sherwood al Giambellino, dalla festa della FIOM a quella di Rifondazione.
Come dicevamo la scena militante è abbastanza divisa.
C’è un tentativo attuare una ricomposizione.
C’è da dire anche che la scena militante non si è evoluta molto. Forse bisognerebbe un po’ modernizzarsi.
Si è rimasti un po’ ai 2000…
Ci sono poi figure come Inoki o i DSA Commando che magari non sono totalmente interne alle strutture politiche, ma hanno grandissima sensibilità per i temi di movimento.
A Milano c’è una scena militante attiva con cui spesso condividiamo serate e palchi all’interno di iniziative politiche….ci sono Beppe Rebel, Zasta, Liam Vik, Acero Moretti, Hafiz, i Func e sicuramente ci stiamo scordando di qualcuno….
 
-A questo punto vi tocca il solito consiglio all’ascolto!
“Storie di un disoccupato”, il nuovo disco appena uscito di Acero Moretti.
 
-Cosa pensate dell’esplosione mainstream del rap napoletano che è anche diventato colonna sonora d’eccellenza della serie Gomorra?
L’hip hop napoletano è sempre stato una potenza.
Si va da un mostro sacro come Speaker Cenzou ai 13 Bastardi, la Famiglia e Co’ Sang.
Il dialetto napoletano è eccezionale.
Ad onor del vero va detto che in passato i Club Dogo hanno stimolato l’emergere delle forme territoriali di hip hop attraverso vari mixtape.
La scena romana poi ha ancora una potente scena underground che qui a Milano non c’è o se c’è è molto debole.
 
-L’evento che avete organizzato di cui siete più fieri?
A livello emozionale i Black Beat Movement e Katzuma in Via Santa Croce.
Dal punto di vista di crescita collettiva dello ZHHL la serata di Mastino e Ganjafarm sempre in Via Santa Croce.
Fu il primo grande concerto che organizzammo davvero in prima persona.
 
-Parliamo del disco che avete prodotto. “Homo ruderalis”.
E’ stato un grande obiettivo che ha coinvolto tutto Zam.
E’ stato interamente autoprodotto con iniziative di autofinanziamento.
Distribuito a mano.
Se non paghi la SIAE nessuno accetta di stamparlo e distribuirlo!
Di fatto, era impossibile produrre il disco senza dover passare dalla SIAE, ma noi l’abbiamo fatto!
Ci sono state tante lunghissime assemblee per decidere come muoverci.
Se non sbagliamo l’ultimo disco hip hop prodotto in un centro sociale è quello dei Lion Horse Posse ai tempi di Leoncavallo 22. Primissimi anni ‘90 quindi…
Questa esperienza ci ha portato alla decisione di aiutare concretamente chi vorrà autoprodurre i propri dischi.
 -Quali sono i pezzi che vi hanno fatto innamorare dell’hip hop?
Eh…questa è una domanda vasta e complessa perché qui le età e le generazioni sono molto diverse…
Un elenco così su due piedi: “Suker per sempre” di Dj Gruff per qualcuno, “Banditi” di Assalti Frontali per qualcun altro, e ancora “Strategie dell’universo” di Neffa…Del tha Funkee Homosapien che rappa in “Clint Eastwood” dei Gorillaz…ma anche…scherzando ma non troppo la sigla di “Willy, il principe di Bel-Air”…
 
-Ultimissimi consigli di ascolto?
Kintsugi, “Leocadia” di Brain, Amerigo Gazzaway, Clevergold, il sempre grande Esa con “Lotta Armata” di Gente Guasta e altri bei pezzi random come “A sarà dura!” di Emsi Caserio, “Cantano tutti” di Primo & Squarta, “Strozzapreti alla romana” di Danno feat Suarez & Chef Ragoo e “Duorm” di Nightskinny e Op’Rot.

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Una risposta a “Zam Hip Hop Lab – Un’intervista”

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