Sciopero al contrario – lo sciopero di chi non può scioperare

scioperoIeri (12.12.2014) è stata una giornata densa: 45 anni di Piazza Fontana, ancora senza giustizia, e uno sciopero generale molto discusso, criticato, analizzato, ma anche molto partecipato. Cose grandi, piene di senso e di riferimenti, ricche di contenuti e allo stesso tempo molto trascurate. In mezzo a tutto questo una cosa apparentemente piccola, ma ugualmente ricca: lo sciopero al contrario, organizzato da Zam ieri pomeriggio.

“Sciopero al contrario”: ho sentito queste parole, per la prima volta, da molto piccola, nella Casa del Popolo (e già sembra un secolo fa) di Montaretto, un paese di poche case abbarbicato sulle montagne liguri. Il paese era così piccolo e isolato da non meritare nemmeno una strada e allora, nel ’55, gli e le abitanti hanno deciso di scioperare per costruirsela visto che nessuna istituzione sembrava interessata a farlo (e anzi, continuavano a negare il permesso), in modo da poter avere un collegamento col mondo. Hanno lavorato per giorni, rinunciando ad attività più redditizie, per offrire qualcosa a loro stessi, per un gesto di partecipazione capace di pensare al futuro e di costruirlo. Il 25 aprile del 2006 Montaretto ha deciso di ricordare questa sua storia con un murales, che sta all’ingresso del paese, proprio lungo quella strada costruita nel ’55, con un’immagine e un testo che dice: “Crediamo che la Resistenza non fu solo un fatto d’armi, ma anche e soprattutto una questione culturale che si è protratta nel tempo fino ai nostri giorni. Riportiamo questa foto per testimoniare quei valori e quei principi che la popolazione di questo paese ha saputo ereditare e tramandare”.

In questo video si vedono alcune di quelle facce che hanno lavorato alla strada, felici come in un giorno di festa mentre faticano duramente:

Le stesse espressioni le ho ritrovate ieri a Zam, mentre scendeva il buio e il freddo, in un vecchio parcheggio dei vigili abbandonato e devastato. Lo so, certo, che non si possono fare paragoni tra luoghi e tempi così diversi, ma per me essere in quel parcheggio, ieri, ha voluto dire anche riannodare alcuni fili della mia memoria, intessuta con quella collettiva.IMG_3417

Era giorno di sciopero ieri, eppure tante e tanti di quelle che frequentano Zam non possono scioperare: non ne hanno il diritto, in quanto precarie. Molte lavorano a tratti e quando arriva un lavoro va accettato, sciopero o meno, molti scontano il fatto di non avere un luogo di lavoro, dei colleghi fissi e costanti con i quali organizzarsi, un individualismo imposto che diventa un ostacolo fortissimo ad ogni tentativo lotta. Altre ancora, come me, fanno un lavoro immateriale, che si scopre materialissimo nel sapere che nessuno si accorgerà del tuo sciopero, non produrrai nessun disagio se non a te stessa, costretta a lavorare nel fine settimana per rispettare delle scadenze. Esperienze di lavoro e di vita che non trovano rappresentanza nelle manifestazioni, pur frequentandole in solidarietà a chi sciopera, e che devono trovare altri modi di rendersi visibili. Uno di questi tentativi è stato lo sciopero sociale, in cui ci si è chieste proprio: cosa significa uno sciopero per chi non può scioperare?

Zam ha provato a rispondere con questo strano sciopero che si è trasformato in un pomeriggio di lavoro: raccogliere immondizia accumulata negli anni è diventato un modo per partecipare, per offrire qualcosa a se stesse e a tutti, con generosità, ma soprattutto riecheggiando un’idea di mutuo soccorso, di solidarietà. Lavorare il giorno dello sciopero, per restituire uno spazio alla collettività, è stato un tentativo di uscire dall’isolamento nel quale ti sospinge la competizione precaria, ha voluto dire sottrarsi alla logica del profitto, del fare le cose per un tornaconto personale, del calibrare con precisione cosa può esserti utile e cosa no: è stata un’esperienza di libertà, di gratuità, di azione politica che prova a dare una diversa forma al mondo e alle relazioni. Sembrano parole troppo grosse, lo so, per un pomeriggio di pulizie e vin brûlé per scaldarsi dal freddo umido, ma non lo sono, perché anche da piccoli gesti come questo si può riscoprire che lavorare insieme, per tutti e tutte, è una forma di azione politica radicale, che va alle radici della convivenza e della comunità.

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