[DallaRete] L’uomo che ha comprato la Patagonia

mapuche-patagonia-702x336Oro, acqua e diamanti: gli affari di Benetton in Sudamerica schiacciano una popolazione indigena, che ora rischia di scomparire.

Chi pensa che il colonialismo appartenga ad un’epoca lontana è in grave errore. Esso ha cambiato le proprie fattezze, si è trasformato fino a camuffarsi sotto le vesti dello spirito libero e imprenditoriale, ma ha preservato la volontà di schiacciare popoli considerati minori. Se ieri l’inferiorità era attribuita su basi “scientifiche”, oggi è il criterio economico a decidere chi vince e chi invece ne esce schiacciato. È così che si può riassumere la storia dei Mapuche, una piccola comunità indigena il cui territorio ancestrale sorge in un lembo di terra al confine tra il Cile e l’Argentina: la storia di un popolo condannato all’inferiorità.

Si tratta di poche migliaia di esseri umani che da secoli mantengono intatte le proprie tradizioni fatte di comunione con la natura, senso di solidarietà e fratellanza intestina. Il loro nome significa “Gente della terra”, a sottolineare quanto intimo possa essere il rapporto che essi intrattengono con la natura. Ma cosa c’entra Benetton con il popolo Mapuche?

Il peccato originale: “L’uomo che ha comprato la Patagonia”.

Nel 1991 Edizione Srl acquista la Compañíade Tierras Sud Argentino S.A.. Si tratta di un’azienda che controlla circa 900 mila ettari di terra variamente distribuita tra la provincia di Buenos Aires, la cordigliera, la steppa della Patagonia e la costa argentina. Per ammissione della stessa Benetton, solamente la terra circostante Buenos Aires (15.800 ettari) presenta un elevato valore di mercato: la rimanente parte è più difficilmente utilizzabile, tanto che essa – pur costituendo più dell’80% dei possedimenti di CTSA – vale quanto i 16mila ettari di Buenos Aires. Grazie a questa operazione Benetton diventa il più grande proprietario terriero dell’Argentina, tanto che un giornale locale  arriva a definire Luciano Benetton come “L’uomo che ha comprato la Patagonia”.

Il problema che sorge è tuttavia complesso. Parte di questa enorme estensione di terra ricade infatti all’interno dei territori ancestrali della comunità Mapuche. I Mapuche, come ci spiega David Monticelli, antropologo, osservatore dei diritti umani e fondatore dell’Associazione Onlus “Il Cerchio”, «non rispondono al diritto occidentale come noi siamo abituati ad intenderlo. La loro idea di fratellanza con la Natura li porta a considerare tutti gli esseri viventi alla stregua degli individui».

Rosa Nahuelquir e Atilio Curiñanco: i Mapuche “abusivi”.

Il caso più emblematico del rapporto Mapuche-Benetton è forse quello dei coniugi Curiñanco. Rosa e Atilio sono due mapuche che per anni hanno lavorato come operai nel settore industriale, riuscendo così a crescere quattro figli. Nel 2002 Rosa perde il lavoro, e la famiglia è obbligata a trasferirsi altrove. I coniugi individuano nel lotto “Santa Rosa” un terreno appropriato alle loro esigenze; ne fanno domanda al locale Istituto Autarchico di colonizzazione e – pur non ricevendo mai nessuna risposta scritta – viene detto loro che si tratta di un territorio demaniale tranquillamente occupabile. I Curiñanco avvisano il commissariato e si trasferiscono a Santa Rosa, dove iniziano ad allevare bestiame, creano un sistema di irrigazione e risistemano lo steccato. Risultato: il 2 ottobre del 2003 i coniugi vengono sgomberati dagli agenti di polizia, intervenuti a seguito di una denuncia da parte di CTSA. Secondo l’azienda – d’accordo col tribunale che poi condannerà Atilio e Rosa – i due coniugi avrebbero occupato abusivamente un territorio legittimamente controllato da CTSA.

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È l’inizio di una causa estremamente impopolare, che vedrà l’intera comunità Mapuche scagliarsi contro la Benetton, vista come un’azienda colonizzatrice incurante dei diritti delle popolazioni autoctone. Il tribunale ha assolto i coniugi per gli atti violenti loro contestati, ma li ha obbligati a restituire il lotto “Santa Rosa” alla CTSA.

La tesi dei due coniugi e quell’atto di vendita molto dubbio. La tesi sostenuta in tribunale dai Curiñanco parte da molto lontano. È il 1889 quando a Londra viene fondata l’azienda che poi diventerà la Compania de Tierras Sud Argentino. Nel suo libro “Historia del Chubut”, Clemente Dumrauf sottolinea come la neonata impresa riuscì ad ottenere considerevoli appezzamenti di terreno attraverso mosse finanziarie e politiche spesso oscure e di dubbia legittimità. In particolare, l’allora presidente argentino Jose Felix Uriburu donò a dieci latifondisti inglesi 900mila ettari di terreno, i quali vendettero subito dopo le stesse terre alla CTSA. In questi passaggi è contenuta una doppia violazione della Costituzione argentina, la quale vieta donazioni di terreni per più di 400mila ettari, e al contempo vieta la vendita degli stessi terreni a fini di lucro da parte di chi ha precedentemente goduto delle donazioni.

Ad ogni modo, la comunità internazionale si è attivata affinché Benetton risolvesse il problema. Il caso più emblematico è forse quello di Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace che nel luglio 2004 scrive una lettera a Luciano Benetton chiedendogli di restituire il podere “Santa Rosa” ai Curiñanco. Esquivel si dice “convinto della buona fede di Benetton”, e chiede un incontro con i vertici dell’azienda trevigiana. L’incontro si terrà il successivo 12 novembre, in occasione del Summit romano dei Nobel per la Pace. In quell’occasione i coniugi Curiñanco incontreranno anche Luciano Benetton, il quale si dirà disposto a cedere alla comunità Mapuche 2500 ettari nell’area della Patagonia. La comunità indigena rifiuterà in quanto a loro avviso “Benetton non può donare qualcosa che non gli appartiene”.

In seguito alle vessazioni subite dalla famiglia Curiñanco e da altri mapuche, la popolazione ha avviato un progetto detto di Recuperacion de tierras. Si tratta di una sorta di resistenza partigiana, fatta di raid veloci, clandestinità e piccole azioni dimostrative che nel complesso hanno portato la comunità Mapuche a controllare nuovamente territori già da tempo loro espropriati. Sono operazioni che infrangono la legge, e per questo duramente punite dalle autorità locali.

“A Santa Rosa c’è l’oro”. Ma perché Benetton è disposta a sostenere battaglie tanto impopolari e i cui contorni assumono facilmente rilievo internazionale? La risposta si chiama Minera Sud Argentina.

Minera è una compagnia mineraria posseduta al 60% da Compania de Tierras Sud Argentino, il cui proprietario è Benetton. Una compagnia i cui giacimenti si trovano proprio a cavallo tra il Cile e l’Argentina, e che ormai da diversi anni sfrutta un territorio incredibilmente ricco di risorse: oro, petrolio, acqua. Minera ha dato da tempo il via ad una serie di trivellazioni che stanno distruggendo l’ambiente circostante, e che hanno sollevato le polemiche dei Mapuche. Secondo Gustavo Macayo, avvocato della popolazione indigena, «dietro lo sgombero dei coniugi Curiñanco potrebbe esserci un interesse a estrarre l’oro che potrebbe esser presente in quel luogo».

Questa versione non viene smentita dai Benetton, mentre le estrazioni proseguono imperterrite, accompagnate dalla repressione della recuperacion de tierras. Le autorità locali sembrano sostenere la causa della famiglia trevigiana. Mentre sulla vicenda continua a pesare un incredibile silenzio.

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