[DallaRete] Urbanistica per casalinge

woman-and-houseNel 1980 l’urbanista statunitense Dolores Hayden cercò di rispondere a  questa domanda:  come dovrebbe essere una città non sessista? Si tratta di una domanda politica, nel senso letterale del termine, ma per ricondurre la questione del sessismo insito nell’organizzazione urbana ai suoi aspetti spaziali il punto da cui partire è capirne il funzionamento: il primo passo da fare se l’intento è di scardinare le basi dello sviluppo urbano contemporaneo. Scriveva Hayden:

«Che la casa sia il posto della donna è stato, nell’ultimo secolo uno dei princìpi fondamentali dell’architettura e dell’urbanistica degli Stati Uniti. (…) Abitazioni,  quartieri e città disegnate secondo questo principio limitano le donne fisicamente,  socialmente ed economicamente. (…) Io sostegno che l’unico rimedio per questa situazione sia lo sviluppo di un nuovo paradigma della casa,  del quartiere e della città; bisogna cominciare a descrivere il progetto fisico,  sociale ed economico di un insediamento umano che possa supportare, anziché limitare, le attività delle lavoratrici e delle loro famiglie.  Questo riconoscimento è essenziale per avviare il riutilizzo del patrimonio residenziale esistente sia per realizzarne di nuovo che soddisfi i bisogni della nuova e crescente maggioranza delle lavoratrici americane e delle loro famiglie.

Quando si parla della città americana nell’ultimo quarto del ventesimo secolo,  la distinzione tra “città” è  “sobborgo” deve essere evitata.  La regione urbana, organizzata per separare le residenze dai luoghi di lavoro,  deve essere vista nel suo insieme. In essa oltre la metà della popolazione risiede nell’area suburbana dispersa sul territorio, in ciò che si può definire “comunità dormitorio”. La maggior parte dell’ambiente costruito degli Stati Uniti è rappresentato dallo sprawl suburbano: case unifamiliari raggruppate in aree circoscritte secondo la classe sociale, attraversate da autostrade e servire da centri  commerciali e da vie commerciali. Oltre 50 milioni di casetta sono sparpagliate sul territorio della nazione.».

E’ il grande progetto suburbano che ha portato oltre la metà della popolazione statunitense a vivere in luoghi privi della diversità funzionale tipica delle città – già denunciato nel 1963 da Betty Friedan in The Feminine Mystique come una vicenda di puro esercizio di potere di un genere sull’altro il nocciolo della questione. Rispetto a questo scenario, la proposta per riformare lo sviluppo urbano statunitense è stato il modello insediativo compatto, polifunzionale e “orientato” al trasporto pubblico del disegn New Urbanism. L’idea che gli individui insediati in queste comunità, che si differenziano per qualità edilizia e spaziale dal classico suburbio dominato dalla case unifamiliari, possano interagire meglio tra di loro ha probabilmente qualcosa in comune con le soluzioni progettuali individuate da Dolores Hayden per superare la separazione tra abitazioni e luoghi di lavoro.

Uno studio pubblicato dal Journal of Planning Education and Research ha provato a capire quali differenze ci sia nell’esperienza delle donne in relazione al fatto che abitino in quartieri New Urbanism o nei classici sobborghi a bassa densità edilizia e a scarsissima integrazione spaziale. In un certo senso la ricerca di Charlotte Fagan e Dan Trudeau ha voluto rispondere, dopo oltre tre decenni di denunce dei “mali” del suburbio americano, alla domanda di Hayden. Essa s’interroga da una parte su come questi diversi ambienti costruiti potrebbero aiutare le donne a ridistribuire il lavoro domestico all’interno dell’abitazione e, dall’altra,  su come le differenze spaziali dei due modelli insediativi  permettano alle donne di costruire le reti sociali utili ad una migliore integrazione. Si tratta, in pratica, di capire come il design New Urbanism possa combattere l’isolamento che accompagna le donne nella condizione abitativa suburbana.

Dalla ricerca, che si basa su di una serie di sondaggi e interviste, emerge che il design New Urbanism non può essere visto come lo strumento per una radicale riforma dello spazio urbano richiesta dall’urbanistica femminista. Le abitanti di questo  tipo di quartiere dichiarano nelle interviste di avere come vantaggio solo quello di riuscire ad organizzare meglio la distribuzione del lavoro domestico grazie alla migliore accessibilità di attività commerciali e di servizio. In sintesi possono contare sul fatto che i figli vadano a scuola a piedi e che il marito possa scendere sotto casa per comperare quel tale ingrediente che serve in cucina. Ma il design New Urbanism non modifica di una virgola le divisione di genere del lavoro domestico.

D’altra parte Dolores Hayden, al di là delle proposte riformatrici che individuava nel suo saggio, arrivava alla stessa conclusione. «Le donne devono trasformare la divisione sessuale del lavoro domestico, la base economica di tipo privatistico del lavoro domestico, e la separazione spaziale tra case e luoghi di lavoro nell’ambiente costruito, se vogliono essere membri della società con pari diritti. (…) Quando tutte le casalinghe riconosceranno che esse sono in lotta contro gli stereotipi di genere e le discriminazioni salariali, quando esse vedranno che i cambiamenti sociali, economici ed ambientali sono necessari per superare queste condizioni, non potranno più tollerare che abitazioni e città, disegnate in base a principi di un’altra era, proclamino che il posto della donna sia la casa.».

Riferimenti

D. Hayden, What Would a Non-Sexist City Be Like? Speculations on Housing, Urban Design, and Human Work, in Sign, Vol. 5, No. 3, Supplemento Women and the American City, 1980. Gli estratti proposti sono stati tradotti da Michela Barzi.

C. Fagan, D.Trudeau, Empowerment by Design? Women’s Use of New Urbanist Neighborhoods in Suburbia, Journal of Planning Education and Research, 16 guigno 2014.

L’immagine di copertina è tratta da Marketplace.

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