10 anni fa: la Statale occupata

Statale OccupataQuesta storia la sentirete raccontare in moltissime varianti.
Io stessa, che l’ho vissuta, l’ho ascoltata in decine di modi diversi, a seconda del narratore, a buon gusto del pubblico.
Questa è la storia dell’occupazione dell’Università Statale degli Studi di Milano.
Cominciamo da un segreto: cominciamo dal principio. Non tutti infatti, conoscono la vera origine della mobilitazione che portò all’occupazione della Statale.
Nei primi giorni dell’Ottobre 2005 il DDL Moratti era di prossima approvazione. Sarebbero cambiate non poche cose nel mondo dell’istruzione, ma nessuno pareva rendersi conto della gravità delle conseguenze. Un pomeriggio anonimo di quell’autunno, mi giunse in mano un volantino che parlava proprio del fatto che non si poteva lasciar passare sottovoce l’approvazione della Riforma. Con lo sguardo dal volantino seguii rapida la mano che me lo stava dando e poi da lì veloce al viso: N.! Ma sei tu?!
Scoprii che si trattava di un gruppetto di studenti che, allibiti dall’inerzia generale, aveva deciso di scrivere un volantino e distribuirlo indicendo un’assemblea.
L’intenzione era quella di allargare la partecipazione anche a ricercatori e docenti, così recuperai diversi contatti.
Fra gli studenti pubblicizzai al meglio l’iniziativa chiamandone anche da altri atenei, ma il menefreghismo dilagava e la risposta più frequente era: “E’ troppo tardi”.
Il decreto ministeriale Moratti incombeva. Quello infatti, non fu che l’ultimo passaggio di un procedimento di riforme legislative attuative di cambiamenti all’interno del panorama dell’istruzione. Processo che vide i primi passi muoversi nel 2003. Ultimo significa impossibile da evitare e soprattutto cristallizzatore di una situazione retroattiva che conferma ogni passaggio precedente, rendendo immodificabile il sentiero. Il 12 Marzo 2003 infatti, il Parlamento approvò la legge delega n. 53. Nello stesso giorno il Ministro Moratti annunciò che la legge sarebbe stata applicata dall’anno scolastico 2003/04. Per attuare una legge delega occorrono decreti legislativi, il cui iter di approvazione prevede, tra l’altro, l’espressione di un parere favorevole da parte del Parlamento. Questo implica il trascorrere di diverso tempo e il lungo iter arrivò a destinazione il 25 Ottobre 2005.
Come dare torto quindi, a chi ci tacciava di esserci mossi in ritardo e forse addirittura sull’onda delle proteste che stavano avvenendo nelle università del resto d’Italia?
Ebbene, “meglio tardi che mai” iniziò ad essere il nostro motto silenzioso e imperterriti, riuscimmo a convocare una magnifica assemblea per giovedì 20 Ottobre nel chiostro di filosofia.
La partecipazione fu clamorosa, N. aprì gli interventi e dal suo ne seguirono a decine.
Qualcosa si stava smuovendo. Nel marasma dell’euforia generale e del dinamismo militante, ero riuscita a tirare in mezzo un mio vecchio amico di Scienze Politiche. Conoscevo altre persone della sua facoltà e li feci conoscere. A un certo punto nell’ambito delle assemblee si creò uno strano meccanismo per cui tutti quelli di Scienze Politiche venivano dirottati verso di me, che li indirizzavo verso il gruppetto della facoltà e così ecco che si formò il primo nucleo di quella che poi si chiamò Assemblea Aperta Scienze Politiche.
Le assemblee studentesche si susseguirono, la gente aumentava, emersero diversi temi e ci furono molte proposte e richieste. Non esisteva un collettivo promotore, le decisioni venivano prese solo dall’assemblea e così in quei giorni firmavamo i volantini per ciò che eravamo: Assemblea degli studenti della Statale in Protesta.
Nel corso di venti ore si riunirono due assemblee spontanee di studenti: si era deciso di mobilitarsi contro il DDL Moratti al fianco dei ricercatori e alcuni professori.
Credo sia stato quello l’autentico “punto di non ritorno”. Il vaso di Pandora era stato scoperchiato, le coscienze degli studenti scosse, il processo avviato: la mobilitazione non si poteva più fermare. Il passo successivo fu riuscire ad ottenere un’assemblea plenaria d’Ateneo con studenti, ricercatori e docenti nell’inarrivabile Aula Magna.
Anni dopo, mi capitò di parlare con E., compagno quarantenne, ex appartenente al Movimento della Pantera. Occuparono la Statale nel 1990 per più di tre mesi. Durante quel periodo l’Aula Magna venne pressoché distrutta e da allora la si potè solo intravedere attraverso il grande cancello di ferro battuto che la tenne serrata e inaccessibile dietro di sé.
Fino a quell’Ottobre 2005.

Questo fu il vero dietro-le-quinte della nascita del moto spontaneo creatosi all’interno delle mura della Statale di Milano, che portò poi alla sua occupazione. Molti, quasi tutti, si fecero trasportare al largo da un’onda bellissima, senza in realtà, più di tanto, chiedersi dove portasse. Era travolgente, assordante e andava bene così.
L’onda arrivava dal basso, da uno sdegno, da uno impulso. L’onda era autorganizzata.
Il fine settimana che seguì fu l’ultimo che noi tutti avemmo libero. Dal lunedì successivo fummo completamente assorbiti da questo fiume in piena che un po’ riuscivamo a guadare e un po’ tentava di annegarci. La settimana successiva indicemmo un’assemblea al giorno e volantinaggio e raccolta 
firme. Due giorno dopo ci fu il grosso corteo a Roma di chiamata nazionale. In piazza c’erano più di centomila persone e fu un autentico successo. Tragico quanto inevitabile il fatto che comunque il Parlamento approvò il DDL sulla riforma dello stato giuridico degli insegnanti. Memorabile il gesto della Santanchè (e del suo dito medio).

Fu in quell’occasione che conobbi A. grande compagna, generosa e brillante. Me ne infatuai subito, insieme scrivemmo diversi volantini e ci dividemmo la lista di tutti i collettivi universitari milanesi. Non ci stavamo più accontentando di rivoluzionare il nostro Ateneo: volevamo smuovere le basi di TUTTE le università di Milano.
Quella sera chiamai A. della Cattolica. Il suo numero me lo aveva dato O. qualche tempo prima e per altre questioni. Ancora non lo potevo sapere, ma avevo appena parlato al telefono con quello che poi sarebbe diventato uno dei miei fratelli, un compagno che tengo nel cuore, sebbene lontano nei km.
Il mercoledì 26 quindi, si tenne in auletta A la prima assemblea di tutte le realtà universitarie milanesi. Presto l’aula si riempì, ma mi ricordo perfettamente chi eravamo seduti in cerchio ad aspettare che cominciassimo. M., D., A., L. Fu un’ottima assemblea, buttammo le basi per progetti inter-universitari e diversi tentativi di estendere la lotta.
Definimmo la mobilitazione di due giorni dopo davanti la Bocconi, in occasione dell’inaugurazione da parte della Moratti dell’anno accademico.
Di quella mattina di corteo e presidio mille cose sarebbero da raccontare, ma per non tediare il gentile lettore, fatevi bastare la scenetta che segue. A un certo punto in via Sarfatti, mezzo alla folla delirante per l’arrivo di Dario Fo, una ragazzina salta su e chiede all’amica chi sia quell’uomo. Io e D. passando di corsa e trafelati di lì, distrattamente sentimmo quella domanda, D. si girò e sornione rispose: “Premio Nobel per la Letteratura”. La ragazzina rimase allibita e io sto ancora ridendo.

Tornati dalla Bocconi in corteo, trovammo le porte della nostra università sbarrate. Il rettore aveva letteralmente chiuso fuori i propri studenti. Autogoal clamoroso. La folla si aizzò, il portone venne spalancato a suon di spallate e una volta dentro ci dirigemmo tutti verso l’atrio dell’Aula Magna. L’assemblea che ne seguì segnò le sorti delle settimane successive.
Ci furono numerosi interventi, dibattemmo sui pro e i contro di un’imminente occupazione. Alle 16.15, l’Università Statale degli Studi di Milano era ufficialmente occupata.
Da quel momento volantini e documenti politici vennero firmati come Assemblea degli Studenti della Statale Occupata, da cui il celebre acronimo ASSO.
Fu in questi giorni che piano piano conobbi alcuni di quei compagni e compagne che mi hanno accompagnata in questi ultimi dieci anni. Con i quali sono cresciuta politicamente, che hanno stimolato la mia coscienza, che mi hanno indotta a fare sempre meglio; insieme durante le lotte, ho trovato dei fratelli e delle sorelle con i quali ho avuto l’opportunità di condividere tutti i progetti politici che seguirono: sia che sfociassero in fallimenti, che in successi. Dolori e amori. Persino nei momenti più bui, la capacità di unirsi. Questo meraviglioso “accollarsi” a vicenda.
Spesso le parole non servivano, mesi dopo bastava entrare in un posto e vedere che eravamo tutti là, con il sudore alla fronte “perché quel comunicato non è partito? E ci hanno confermato il posto per l’incontro?”, “e allora chi c’è ad aiutare per la cena di autofinanziamento?”. Tutti rispondevano “io” – “la prossima assemblea comincia fra poco, la gente va sensibilizzata, devono saperlo che sono anche studenti e senza di loro Milano ha perso qualcosa”, “devono saperlo che sono antifascisti…” ma anche questa è un’altra storia.

Molti ad oggi considerano l’occupazione della Statale come un ricordo lontano. A me ha cambiato la vita. Letteralmente. Quando ho iniziato a far politica a 17 anni, avevo degli obbiettivi.
Nel mio liceo di provincia l’unica realtà presente era l’UDS e così l’anno dopo iniziai a fare le cose con loro. Io ne capivo davvero poco. Non conoscevo Milano. In casa non si parlava mai di politica, i miei amici del piazzale pensavano a lavorare per adeguarsi a chi di lavorare non ne aveva bisogno e l’unica cosa che miravano davvero a cambiare erano gli interni dell’auto.
Quando però, iniziai a capire i movimenti delle poltrone dell’UDS decisi di svincolarmi e fondai insieme ad altri un’associazione culturale che offriva servizi agli studenti: La Freccia. Aprimmo poi il Lato B. Avevo 19 anni. Volevo arrivare direttamente alla piazza, convincere la gente che così proprio non andava, fargli cambiare idea. Si capisce bene che quando nacque l’Asso, io già me ne ero perdutamente innamorata e non riuscivo a pensare a persone migliori con le quali fare politica. Anni dopo qualcuno mi chiese di spiegargli come avessi fatto a passare dal Lato B al “Trolley”. Roma Bush e V33, mi spiace ma anche questa è un’altra storia.

…Aspettate! ma… N. e gli altri? Beh, a un certo punto della storia si sono persi via, durante tutta la settimana rimasero defilati ed uscirono definitivamente di scena proprio nel corso di questa intensa giornata quando, nel tardo pomeriggio, convocammo un’altra assemblea in 211. Successe che un collettivo provò un colpo di mano per mettere il cappello sulla mobilitazione. M. (del gruppetto di N.) si scagliò contro e ne nacque una litigata furibonda. Dopo quell’episodio parlai poco con loro e non indagai sui motivi della scelta di allontanarsi dal movimento di lotta che avevano in larga parte contribuito a creare.
Credo che loro stessi non immaginassero quale intensità avrebbe avuto la vicenda. A loro il merito di aver osato scuotere gli s
tudenti, reagire a una situazione di fatto immodificabile e creare un moto studentesco che andò a unirsi all’unisono con quello del resto d’Italia.

Non vi lascio certo senza raccontarvi la prima sera di occupazione. Non vi riporto niente di piccante, non qui.
Lavoravo come cameriera in un ristorante, per cui arrivai a serata inoltrata.
Entrando, rimasi sbalordita. Non sono capace di descrivere cosa provai vedendo quella festa di gente nell’atrio, quell’insieme di conquista e novità. Ciò che significava, la fortuna e la soddisfazione di aver partecipato a crearla. Un edificio che per decine di anni è funzionato di giorno e secondo determinate regole, adesso stava esplodendo davanti a me.
In quell’occasione ci guadagnammo il nomignolo Protesta Dance. Io ero ubriaca di stupore, per un attimo ho dovuto fare mente locale per rendermi conto che fosse vero.
F. disse che noi avevamo riportato a far scorrere la vita fra le arterie dell’università

Se dovessi raccontare i 12 giorni che seguirono a quel 28 Ottobre di dieci anni fa, credo ne verrebbe fuori un romanzo.
Avevamo un’ottima organizzazione – quasi militaresca – nell’assegnazione e svolgimento dei ruoli: cucina, pulizia, rapporto con la stampa, servizio d’ordine, organizzazione di eventi, gruppi di lavoro. Il compagno Dik Dik moderava le assemblee.
Lavoravamo tutti insieme: studenti singoli e studenti appartenenti a diverse realtà milanesi: Cantiere, Garibaldi, anarchici, Vittoria, Bulk.
Mai più mi capitò di rivederli allo stesso tavolo di lavoro.
Fecero tutti un passo indietro per andare in avanti.
Ho questa immagine di un capannello del servizio d’ordine che si confrontava sui metodi di reazione.
La cucina stava dietro perfettamente a colazione, pranzo e cena grazie a un team eccezionale.
La pulizia spesso ci impediva di attraversare un corridoio, costringendoci a fare il giro del settore didattico, solo perché era bagnato per terra.
Io facevo parte del gruppo stampa e ci ho guadagnato una sorella. Quando comunicai ai giornali che la Statale era occupata, mi tremava la voce.

La mattina, dopo aver dormito per terra, c’era bisogno di un bel caffè e adempivamo così, tutti insieme al rito dei giornali.
Neanche il rettore dormiva troppo bene. No, certo, lui nel proprio letto, ma comunque non riusciva a prendere sonno.
E così una mattina convocò il Senato Accademico per discutere insieme agli esimi presidi di facoltà dell’incresciosa situazione venutasi a creare.
Noi ovviamente non potemmo parteciparvi, però ci lasciarono leggere il nostro documento. Arrivammo al rettorato in tanti e poi cacciarono dentro me e il compagno capellone.
Rimanemmo sorpresi dalle aule che si nascondono in rettorato. Io non immaginavo esistessero in università corridoi così eleganti in grado di ospitare stanze tanto sfarzose. Pensare che molti studenti non possono nemmeno comprarsi i libri.
Aspettammo qualche minuto (ore) di essere ricevuti. Non scambiammo una parola, non serviva. Quando la porta di legno massiccio venne aperta, l’aula nel quale si svolge il Senato Accademico si mostrò in tutto il suo splendore. La stanza si sviluppa per il lungo e ha un soffitto altissimo. Una parete è vetrata e dà su una sala congressi. Il tavolo è ellittico ed enorme. Al lato più corto sedeva il rettore e sui lati lunghi erano dispiegati i presidi delle facoltà dell’università più i rappresentanti di ogni lista studentesca, dei ricercatori e degli operatori. Noi fummo “fatti accomodare” sul lato corto. Per tal via a capo tavola ci trovammo noi e il rettore. In mezzo tutti gli altri. Tutti i volti erano puntati verso la nostra direzione. Mi salì un po’ di timore, ma deglutii, sogghignai e iniziai.

Fummo in grado di mettere in piedi qualcosa che per 15 anni non c’era stato, di riversare migliaia di studenti nelle piazze di Milano, di far arrabbiare il rettore, infastidire baroni e tenere in un’aula centinaia di persone a confrontarsi su qualcosa che andava cambiato. Riuscimmo ad occupare un intero settore didattico, successivamente a tenerci un’aula. Da quei percorsi nacque un gruppo che e un anno e mezzo dopo (il 28 Aprile ‘07) concretizzò le proprie lotte prendendo uno spazio di sette piani per realizzarci, fra l’altro, uno studentato. E da quel gruppo rimase accesa la scintilla che infiammò l’autunno del 2008.
Non so quanti altri siano riusciti in questo prima. Non parlo di meglio, o peggio. Solo di novità. ma se lo chiedete a me non riceverete una risposta imparziale: pecco un po’ di presunzione. Forse, ma io sono convinta che l’ASSO, quando si formò, riuscì a portare un vento nuovo in città.

Virginia Asso

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