La Buona Scuola: l’efficienza dell’ignoranza

buona scuolaUmanista: sostantivo – rappresentante dell’umanesimo
Umanistico: aggettivo – che concerne le lingue e le letterature classiche

Se la cultura è “umanista”, la scuola non può essere buona.

Certo, è troppo facile fare dell’ironia su chi pretende di spiegare la riforma della scuola e parte con un grossolano errore grammaticale, però la tentazione è forte ed è difficile resistere. Così come è difficile non richiamare alla memoria lo scivolone della ministra che ha dato il nome a un’altra riforma della scuola, che pensava di aver costruito un tunnel dall’Abruzzo alla Svizzera per far correre i neutrini…
Il presidente del consiglio che fa il maestrino con lavagna e gessetti e non distingue un sostantivo da un aggettivo (si dice cultura umanistica, presidente) è forse meno grottesco, ma non è meno preoccupante. Perché questa è la qualità di chi ci governa, e questa è esattamente la cultura su cui si basano le loro riforme: l’efficienza dell’ignoranza.

Detto meglio: la riforma della scuola, quella del lavoro – più nota come Jobs Act – e la riforma elettorale sono tutte figlie di un’idea che mette al centro la cultura del Pil e del profitto, la presunta efficienza del sistema, a discapito della qualità. E la qualità viene dal rispetto della democrazia, dei diritti, della partecipazione. E invece, il motto sembra essere proprio chi se ne fotte della democrazia: deleghe in bianco, riforma da discutere e approvare in Parlamento in 10 giorni, sindacati, insegnanti, studenti, genitori che manifestano bollati come ideologici, e da qualcuno addirittura “squadristi”, veri e propri ricatti sulla pelle della gente – stabilizziamo i precari solo se passa la riforma…

Non c’è nulla di improvvisato, non ci sono errori o emendamenti da proporre: c’è l’impianto di una riforma che è la conseguenza diretta di una cultura che sta diventando dominante in ogni campo, dove la politica è ridotta a economia e amministrazione, che in modo totalmente indolore sta permeando ogni angolo della vita pubblica, tanto che il Comune di Milano si rivendica su Facebook un’iniziativa, bella perché “apolitica”…

Ma cosa dice la riforma della scuola approvata alla Camera, che ora andrà al Senato? Vediamone qualche punto in ordine sparso e proviamo a prefigurarci come andrà con le nuove regole.

School bonus
E’ il termine accattivante (su questo sono bravi, non c’è che dire) usato per lo sconto fiscale assegnato a chi finanzia la scuola. Una scuola a sua scelta. Pubblica o privata. Cioè: tu dai un contributo a una scuola e il 65% ti viene rimborsato in sgravi fiscali. Facciamo qualche esempio:
– le aziende a, b e c, affiliate per esempio a Comunione e Liberazione, finanziano le scuole d e ed f, sempre affiliate – e sempre per esempio – a Comunione e Liberazione, per 10 milioni di euro, 6 milioni e mezzo li paghiamo in realtà tutti, perché lo Stato glieli restituisce. E i soldi dello Stato sono i soldi nostri, di tutti;
– la fabbrichetta della famiglia che vive in centro a Milano elargisce sotto forma di erogazione liberale 10mila euro alla scuola dove studia il figlio, 6500 euro gli tornano indietro dallo stato, sottratti ai fondi che dovrebbero andare a tutte le scuole;
– la famiglia che vive nella periferia degradata di una città del Sud Italia… no, lì ci vivono operai, disoccupati e famiglie in difficoltà economica, quella scuola non becca un cazzo.

Va bene, la smettiamo, ma non ci vuole un genio a capire che questo meccanismo non è la tanto sbandierata autonomia per la quale scuole diverse hanno esigenze diverse, ma è un modo per aumentare le differenze fra chi potrà studiare in una scuola dignitosa e chi avrà una scuola che cade sempre più a pezzi. E la proposta del 5 per mille alle singole scuole segue esattamente la stessa logica.

Stabilizzazione dei precari.
A patto che la riforma della scuola venga approvata, verranno stabilizzati 100mila insegnanti precari. Eh no. L’Unione Europea ha intimato all’Italia di assumere gli insegnanti precari che hanno maturato il diritto ad essere assunti. Altrimenti sono multe. Non c’è nessuna relazione fra questa riforma e l’assunzione dei precari, vanno assunti e basta, al di là e al di fuori dalla riforma.

Il dirigente scolastico.
O sceriffo. O capo supremo. Secondo la riforma il dirigente scolastico ha ampi margini per fare un po’ quello che gli pare: può scegliere i propri docenti (propri?) non si capisce bene con quali criteri, e definisce il Piano di Offerta Formativa che poi il Collegio Docenti adotta. Oggi ci sono concorsi e graduatorie. Il sistema non sarà perfetto, ma chi vince il concorso sceglie la cattedra fra quelle disponibili. Con la riforma sarà il preside – manager a scegliere i docenti e a confermarli ogni tre anni, trasformando la scuola in una specie di agenzia interinale, a discapito della continuità e della libertà di insegnamento.
Anche qui è difficile non vedere gli elementi di discrezionalità introdotti dalla riforma. Si dice che i dirigenti sceglieranno gli insegnanti migliori. Per qualche strano motivo siamo convinti che sceglieranno gli insegnanti che sono stati suggeriti loro dal politico o dal mafioso di turno, dal “benefattore” che finanzia la scuola, dal parroco… Ma oltre al fatto che il sistema introduce la possibilità della corruzione, c’è un altro aspetto: se il preside può scegliere, perché prendersi un insegnante che magari ha una malattia cronica? O deve accudire un parente malato, o vuole fare dei figli, o sciopera, o anche solo non ha le stesse idee del dirigente…

Più soldi agli insegnanti.
La riforma istituisce la possibilità di premiare i docenti “meritevoli” con dei bonus economici. Già. Peccato che gli insegnanti italiani siano i meno pagati d’Europa, che hanno il contratto fermo dal 2009 e che si propone di bloccarlo ancora fino al 2018. Non è di un bonus che hanno bisogno i nostri insegnanti, ma della possibilità di mantenere se stessi e le loro famiglie in modo dignitoso. Si chiama rinnovo del contratto nazionale ed è un atto dovuto, altro che bonus per i meritevoli!

In conclusione: le nostre scuole sono insicure, le strutture spesso fatiscenti, le classi sovraffollate, i ragazzi problematici senza ore di sostegno, i ragazzi stranieri senza mediatori.
In un momento storico in cui aumentano disoccupazione e povertà, dovremmo investire su una scuola che limiti il riprodursi delle disuguaglianze. Forse basterebbe partire dal destinare alla scuola quel 6% del Pil che investono gli altri Paesi Europei…
Questa riforma creerà un sistema con molte scuole private finanziate con soldi pubblici, poche scuole bellissime nei centri delle città ricche e tante scuole che cascano a pezzi nelle periferie del Paese, soprattutto al Sud. Con dirigenti che saranno padroni assoluti, meccanismi di competizione fra insegnanti tutti precari e libere scorrerie dei privati che chiederanno evidentemente qualcosa in cambio della loro “beneficenza”.

Insomma, chi sta protestando contro questa riforma qualche ragione sembra avercela!

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Una risposta a “La Buona Scuola: l’efficienza dell’ignoranza”

  1. […] Approfittando dell’Estate il Governo ha approvato la riforma della scuola che, se da un lato tenta in qualche modo di ridurre l’annoso problema dei precari dall’altro prosegue nelle politiche di progressiva privatizzazione che hanno colpito il mondo dell’istruzione italiano negli ultimi 25 anni partendo dalla “famosa” riforma Ruberti dell’Università del 1990 allora contrastata dal movimento della Pantera. Progressiva privatizzazione che è passata attraverso le politiche dei vari Ministri della Pubblica Istruzione che si sono succeduti in questi anni: da Berlinguer passando per la Gelmini (anche lei duramente osteggiata dall’Onda nel 2008) per arrivare alla Giannini. […]

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