#NoDAPL: la Val di Susa del Nord-America

Nell’Estate del 2014 la ”Energy Transfer Partners” ha reso pubblico il progetto del ”Dakota Access Pipeline”, un oleodotto del costo di 3.6 miliardi di dollari che attraverserà gli stati del Nord Dakota, Sud Dakota, Iowa e Illinois. Il progetto oltre che a consentire la connessione tra oleodotti canadesi e statunitensi rientra a far parte di un piano generale della distribuzione dei combustibili fossili nel Nord-America.

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Già in Canada negli anni scorsi la costruzione di oleodotti che attraversano territori abitati da comunità indigene aveva visto nascere movimenti di protesta che tramite l’azione diretta ha messo in seria difficoltà lo svolgimento dei lavori. I protagonisti del No Pipeline e No Tar-Sands in Canada sono state le comunità indigene che vivendo in zone attraversate dagli oleodotti e distanti centinaia di chilometri da centri urbani e caserme di polizia hanno messo in campo pratiche di resistenza molto simili a quelle dell’EZLN in Messico. Oltre alla difesa armata dei territori si sono registrati episodi di ordinaria resistenza come il sequestro di elicotteri delle compagnie petrolifere e numerosi sabotaggi nei cantieri dell’oleodotto.

L’unist’ot’en camp, situato nelle foreste canadesi, è stato il luogo da cui sono partite gran parte delle azioni di sabotaggio. Uno dei punti di forza di questo movimento è stato di far combaciare un’alta conflittualità nelle azioni di sabotaggio con un’ampia risposta di solidarietà da parte di sindacati, associazioni ambientaliste e studentesche. A supportare la lotta contro le pipeline in Canada si sono schierati dai collettivi anarchici di Montreal al WWF e Greenpeace.

Il contesto in cui nasce il neonato #NODAPL è molto simile a quello dei vicini canadesi e lottando entrambi contro lo stesso modello di gestione dei combustibili fossili si potrebbe dire che le due lotte sono interdipendenti. Come in Canada, tra i protagonisti della lotta in North Dakota ci sono le comunità indigene. L’oleodotto statunitense attraverserebbe zone che sono considerate riserve dei Sioux. Il nodo centrale che denunciano gli attivisti è la devastazione ambientale che questo progetto comporterebbe.

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Da Agosto 2016 si è quindi registrata una escalation delle proteste che sono tutt’ora in atto. Per impedire lo svolgimento dei lavori i manifestanti stanno occupando le zone in cui devono essere costruiti i cantieri, spesso scontrandosi contro le forze dell’ordine. Tra le ragioni più gravi denunciate dagli attivisti ci sarebbe il fatto che l’oleodotto inquinerebbe e renderebbe tossiche le acque del fiume Missouri che rappresenta uno dei più grandi corsi d’acqua del Nord degli stati Uniti.

La solidarietà non è mancata, oltre alle migliaia di attivisti che stanno partecipando in prima linea a questa lotta il dibattito sulla Dakota Access Pipeline sta prendendo sempre più spazio nei media statunitensi.

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La lotta del #NODAPL rientra sicuramente in quadro più ampio di lotte contro le grandi opere, dove popolazioni locali insorgono di fronte alla devastazione ambientale messa in atto da grandi corporation. Leggendo le rivendicazioni dei Sioux in North Dakota è difficile trovare differenze rispetto a quelle dei NO Tav in Val Susa, della ZAD di Notre Dam des Landes o di Save Skouries in Calcidica e il fatto che a migliaia di chilometri di distanza e in contesti ben differenti nascano movimenti con le stesse rivendicazioni rafforzano sicuramente l’idea che sia necessario agire sul locale pensando al globale.

Dave

Un video sulla vicenda

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