Riscoprire l’ecofemminismo. “Il femminismo o la morte” di Françoise d’Eaubonne
Negli ultimi anni un nuovo dirompente movimento transfemminista ha scosso le nostre certezze e attraversato come una marea le strade di tutto il mondo. Di pari passo, e probabilmente non casualmente, è nata anche la mobilitazione di massa per la giustizia climatica, che in egual misura ha riempito le piazze del globo. In questi giorni esce per Prospero editore la prima traduzione italiana di Il femminismo o la morte di Françoise d’Eaubonne (1920-2005), autrice, teorica e militante pressoché sconosciuta nel nostro paese, ma importante da riscoprire per aver formulato per prima il concetto di ecofemminismo. Quella di unire la lotta delle donne a quella ecologista appare ancora oggi una proposta politica attualissima e offre uno spunto d’azione prezioso per noi attivist*.
Proponiamo qui un estratto del testo, la prefazione dell’autrice alla prima edizione del libro (1974):
In questi ultimi anni in cui la questione del femminismo è riemersa con grande forza e si è imposta con un’ampiezza e totalità mai raggiunte prima, non potevamo limitarci a ricercarne le origini storiche e le conseguenze immediate e contemporanee come abbiamo fatto altrove. Ci è infatti sembrato necessario, nell’anno 1974, a seguito dell’evoluzione del femminismo americano e della recentissima apparizione in Francia della Ligue du Droit des Femmes dopo l’MLF, guardare alla questione con un po’ più di distacco; e allo stesso tempo, senza dubbio, con un senso di urgenza molto più ardente che nel 1970. Di fronte alle recenti rivelazioni dei futurologi si tratta di considerare il femminismo su un piano molto più ampio di quello concepito fino a ora, andando a ricercare in che modo la crisi moderna frutto della lotta tra i sessi si colleghi a un mutamento generale, o a un nuovo umanesimo, unica salvezza ancora possibile.
L’aspirazione alla parità tra i sessi, ha detto Serge Moscovici in La società contro natura, risponde a un bisogno di giustizia e a un desiderio del cuore; non si basa su una teoria analitica, un approccio scientifico della mente. Questa mancanza deve essere colmata, ma come?
Se Pierre Choderlos de Laclos ha ragione nell’osservare che acquisiamo molto difficilmente le virtù di cui non abbiamo bisogno, possiamo dire lo stesso dell’intelligenza. Finora le rivendicazioni, le controversie, le lezioni e le imprese del femminismo si sono limitate a dimostrare il danno arrecato a metà dell’umanità (in realtà al 52% del genere umano) e a sostenere la necessità di riparare a questo male. Un tale approccio è riuscito a scatenare la reazione di alcuni estremisti di sinistra: “Quanto rumore, dicevano, per una categoria di oppressi tra le altre. La lotta non dev’essere frammentaria. Ci sono le donne, bene; c’è anche il proletariato. E il Terzo mondo. E i matti. E gli omossessuali e così via”. Un rimprovero che pareva contenere del vero: con che diritto si privilegia il proprio caso specifico e si guarda alle cose in funzione dei propri problemi? Non significherà spezzare il fronte della sovversione per sferrare tutti i colpi in un sol punto?
A noi pare sia giunto il momento di rendere manifesto che il femminismo non è solo – aspetto che nondimeno gli ha conferito la sua dignità fondamentale – la protesta della categoria umana più anticamente schiacciata e sfruttata, dal momento che “la donna era schiava prima che lo fosse lo schiavo”. Ma piuttosto che il femminismo è l’umanità intera in crisi, la muta della specie; rappresenta davvero il mondo che cambierà alle sue radici. E molto altro ancora: non c’è più scelta; se il mondo rifiuterà questa mutazione, che supererà ogni rivoluzione così come la rivoluzione è andata oltre lo spirito di riforma, è condannato a morte. Una morte che è già dietro l’angolo. Non soltanto a causa della distruzione dell’ecosistema, ma anche della sovrappopolazione il cui procedere passa direttamente dalla gestione dei nostri corpi affidata al Sistema Maschile.
È tempo di dimostrare che il fallimento del socialismo nel fondare un nuovo umanesimo (quindi nell’evitare questa distruzione dell’ecosistema e questa inflazione demografica) è direttamente connesso al rifiuto di mettere in discussione il sessismo che è preservato, in forme diverse, sia dal campo socialista che dal blocco capitalista. E che non è la liberazione della donna a dover derivare dalla costruzione del socialismo, ma è l’emergere di un socialismo del tutto nuovo, mutante, a dover partire dalla riappropriazione da parte delle donne e del loro stesso destino e della distruzione irreversibile del patriarcato.
Per concludere, è infine urgente sottolineare l’inevitabile condanna a morte, per opera di questo sistema in convulsa agonia, dell’intero pianeta e della specie umana, se il femminismo, liberando le donne, non libererà tutta l’umanità, vale a dire se non strapperà il mondo all’uomo di oggi per trasmetterlo all’umanità di domani.
Françoise d’Eaubonne, Il femminismo o la morte. Il manifesto dell’ecofemminismo, Prospero editore, Milano, 2022.
L’evento di presentazione del libro il 18 novembre
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