L’Euro(pa) secondo Draghi
La crisi avanza, gli stati non riescono a trovare soluzioni, la troika cancella il concetto di democrazia con il tacito aiuto dei governi locali.
Le formule d’austerità proposte dal governo Monti non bloccano lo spread, un comune come quello di Alessandria non ha soldi per pagare dipendenti né per dare servizi ai cittadini, in Sardegna minatori occupano una miniera a 400 metri sotto terra e si portano con loro chili di esplosivo, la fiat a Pomigliano D’Arco nonostante le “innovative” formule di Marchionne (innovative in fatto di sfruttamento dei lavoratori e di sperimentazione di pratiche per smantellare il diritto del lavoro) fermerà la produzione.
Mentre tutto questo, e anche molto di più succede, nel nostro paese ed in europa Mario Draghi, numero 1 della BCE, pubblica sul Die Ziet quest’articolo.
Un testo che ci dice tanto sulle prospettive e le direzioni che la BCE e, con lei, la Troika (BCE – FMI e UE) vogliono intraprendere.
Un segnale alla Germania e a tutti i paesi dell’UE: in materia economica la BCE deve regolare le scelte, non esiste autonomia e tutti bisogna uniformarsi creando un unico sistema economico, che la politica deve subire.
Di seguito l’articolo completo
Il futuro dell’euro: la stabilità passa per il cambiamento
In tutta Europa è in corso un dibattito fondamentale sul futuro dell’euro. Molti cittadini sono preoccupati per la direzione che sta prendendo l’Europa, ma le soluzioni proposte appaiono insoddisfacenti; la ragione è che queste soluzioni offrono solo scelte aut/aut: o torniamo al passato o avanziamo verso la costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
La mia risposta è: per avere un euro stabile non è necessario scegliere fra due soluzioni estreme.
La ragione di questo dibattito non è l’euro in quanto valuta. Gli obbiettivi della valuta unica rimangono importanti oggi come lo erano quando fu decisa la nascita dell’euro: estendere a tutti i cittadini europei stabilità dei prezzi e crescita sostenibile; raccogliere i frutti del più grande mercato unico del pianeta e rendere irreversibile il processo storico di unificazione dell’Europa; rafforzare la posizione dell’Europa – non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista politico – in un mondo globalizzato.
La ragione di questo dibattito sta nel fatto che la zona euro non ha avuto pieno successo in quanto polis. Le valute dipendono, in ultima analisi, dalle istituzioni che hanno dietro. Quando venne proposta per la prima volta la creazione di una moneta unica c’era chi diceva che una misura del genere doveva essere preceduta da un lungo processo di integrazione politica, perché avere un’unica valuta comportava mettere in comune molte decisioni. I Paesi membri sarebbero stati una Schicksalsgemeinschaft, una comunità del destino, e avrebbero necessitato di robusti puntelli democratici su scala continentale.
Ma negli anni 90 fu scelto espressamente di non dare all’euro caratteristiche di questo tipo. L’euro fu lanciato come una «moneta senza uno Stato», per preservare la sovranità e la diversità dei Paesi membri. Fu questo l’approccio alla base del trattato di Maastricht, che gettò le fondamenta istituzionali dell’euro. Ma, come i recenti avvenimenti hanno dimostrato, il quadro istituzionale ha lasciato la zona euro senza gli strumenti necessari per garantire politiche economiche valide e una gestione efficace delle crisi.
È per questo che la via d’uscita non può essere un ritorno allo status quo ante. La crisi ha chiaramente messo in evidenza i gravi problemi legati al fatto di avere un’unica politica monetaria da un lato e politiche di bilancio, politiche economiche e politiche finanziarie scarsamente coordinate dall’altro. Come disse Jean Monnet, il coordinamento «è un metodo che favorisce la discussione, ma non
porta a una decisione». E per gestire la seconda valuta mondiale per importanza è necessario prendere decisioni forti.
Una nuova architettura per la zona euro è auspicabile, per creare una prosperità stabile per tutti i Paesi di Eurolandia e in particolare per la Germania. La Germania ha basato il suo successo su una profonda integrazione con le economie europee e mondiali. Se vuole continuare a prosperare, dovrà rimanere il caposaldo di una valuta forte, al centro di una zona di stabilità monetaria e all’interno di un’economia dell’area euro dinamica e competitiva. Tutto questo lo può garantire solo un’unione economica e monetaria più forte.
Ma non è necessario costruire l’unione politica per poter realizzare questa nuova architettura. È evidente che l’unione monetaria comporta inevitabilmente la messa in comune di un maggior numero di decisioni. Ma l’integrazione economica e l’integrazione politica possono evolversi in parallelo. Quando necessario, si potrà e si dovrà mettere in comune la sovranità in certi campi specifici della politica economica e approfondire la legittimazione democratica.
Quanto in là si dovrà spingere questo processo? Non è necessario accentrare tutte le politiche economiche. Possiamo rispondere in modo pragmatico, interrogandoci con calma su quali siano i requisiti minimi per portare a termine l’unione economica e monetaria. E scoprendo che tutte le misure necessarie sono largamente alla nostra portata.
Per le politiche di bilancio, serve una supervisione reale sui bilanci nazionali. Le conseguenze di politiche di bilancio sbagliate in un’unione monetaria sono troppo pesanti per far conto unicamente sull’autocontrollo . Per le politiche economiche più generali, dobbiamo garantire la competitività. I Paesi devono riuscire a generare crescita sostenibile e occupazione senza incorrere in squilibri eccessivi. La zona euro non è uno Stato-nazione, dove il trasferimento di sussidi da certe aree a certe altre può essere mantenuto in vigore ad libitum potendo contare su un consenso sufficiente da parte della popolazione. Perciò non possiamo permetterci una situazione in cui certe regioni sono costantemente in disavanzo rispetto ad altre.
Per quanto riguarda le politiche finanziarie, le autorità centrali devono poter disporre di poteri che le mettano in grado di limitare l’eccessiva assunzione di rischi da parte delle banche e la difformità di approccio da parte degli organismi di vigilanza: è il modo migliore per proteggere i contribuenti della zona euro. È necessario anche un meccanismo di riferimento per le risoluzioni bancarie che salvaguardi le finanze pubbliche, come succede in altre federazioni: negli Stati Uniti, per esempio, dal 2008 sono state messe in liquidazione in media 90 banche all’anno, per lo più di piccole dimensioni, senza che questo abbia avuto alcun effetto sulla solvibilità dello Stato centrale.
L’unione politica può, e deve, svilupparsi mano nella mano con l’unione di bilancio, l’unione economica e l’unione finanziaria. La condivisione dei poteri e della contabilità può procedere in parallelo. Non dobbiamo dimenticarci che sessant’anni di integrazione europea hanno già creato un livello di unione politica significativo. Le decisioni vengono prese dal Consiglio europeo, composto dai ministri nazionali, e da un Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini. La sfida è incrementare ulteriormente la legittimità di questi organismi proporzionalmente all’incremento di responsabilità, e cercare modi per radicare meglio i processi europei a livello nazionale.
Per costruire fondamenta politiche più solide bisogna tener conto di un principio fondamentale, e cioè che per un Paese non è sostenibile né legittimo perseguire politiche nazionali che possono provocare danni economici ad altri Paesi.
Questo vincolo deve giocare un ruolo fondamentale nella programmazione dei modelli economici e sociali dei singoli Paesi. Il solo modello sostenibile è quello che è coerente con le condizioni di una moneta unica. Ogni Paese deve vivere secondo i propri mezzi. La concorrenza e il mercato del lavoro devono essere rafforzati. Le banche devono conformarsi ai criteri normativi più stringenti e concentrarsi sulla loro funzione di supporto all’economia reale. Tutto questo non è la fine del modello sociale europeo, ma il suo rinnovamento.
Dal punto di vista della Bce, una forte unione economica è un complemento essenziale della politica monetaria unica. Per costruirla sarà necessario un processo strutturato, valutando con attenzione la sequenza delle misure da adottare. Ma i cittadini possono stare sicuri che tre elementi rimarranno costanti: la Bce farà quanto serve per garantire la stabilità dei prezzi, rimarrà indipendente e agirà sempre entro i limiti del suo mandato.
Ma bisogna capire che per adempiere al nostro mandato a volte è necessario andare oltre i comuni strumenti di politica monetaria. Quando i mercati sono frammentati o influenzati da timori irrazionali, i segnali di politica monetaria che mandiamo non raggiungono in modo uniforme i cittadini in tutta la zona euro. Dobbiamo eliminare questi colli di bottiglia per garantire un’unica politica monetaria, e dunque la stabilità dei prezzi, a tutti i cittadini della zona euro. Per fare questo in certi casi possono rendersi necessarie misure eccezionali. Ma questa è la nostra responsabilità in quanto Banca centrale di tutta la zona euro.
La Bce non è un’istituzione politica, ma è consapevole delle sue responsabilità in quanto istituzione dell’Unione Europea. Pertanto, non perdiamo mai di vista la nostra missione di garantire una moneta forte e stabile. Le banconote che emettiamo recano la bandiera europea e sono un potente simbolo di identità europea.
Coloro che vogliono tornare al passato non capiscono l’importanza dell’euro. Coloro che sostengono che solo una federazione vera e propria può essere sostenibile fissano l’asticella troppo in alto. Quello di cui abbiamo bisogno è uno sforzo graduale e strutturato per completare l’unione economica e monetaria, che dia finalmente all’euro le fondamenta solide che si merita. Un simile sforzo consentirebbe di conseguire pienamente i fini ultimi per i quali l’Unione Europea e l’euro sono stati fondati: stabilità, prosperità e pace. Noi sappiamo che è questo a cui aspira la gente in Europa, e anche in Germania.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
da Il Sole 24 Ore