Spagna: ma di che autunno caldo si tratta?

di Steven Forti

contributo tratto da

http://www.laboratoriolapsus.it

studioso italiano emigrato a barcellona ed animatore dello “Zibaldone”, programma radiofonico per la comunità italiana a Barcellona su Radio Contrabanda

Dopo una primavera di proteste, segnata dallo sciopero generale del 29 marzo, dalla dura repressione che ne è seguita (1) e dalle numerose manifestazioni che hanno coinvolto tutti i settori (dall’educazione alla sanità, dai minatori ai funzionari pubblici fino ai trasporti), durante l’estate qui in Spagna non si è fatto altro che parlare di un autunno che sarebbe stato caldo, anzi caldissimo. Siamo ormai ad inizio novembre e qual è la situazione reale e quali le prospettive future?

Facciamo un passo indietro e vediamo cosa è successo tra settembre ed ottobre. La questione sociale non ha perso protagonismo: manifestazioni, concentrazioni e scioperi sono stati all’ordine del giorno in questi ultimi settanta giorni, soprattutto in settori chiave come quello dei trasporti (7 scioperi parziali nei metro di Madrid, Barcellona e Valencia e uno sciopero generale nazionale dei trasporti il 17 settembre) e quello della scuola (giornata di mobilitazione nazionale l’11 ottobre e scioperi continui con l’appoggio delle famiglie dal 18 ottobre in avanti).

Un dato che non può stupire tenendo conto che in settembre la disoccupazione ha superato il 25% arrivando alla quota record di 5.778.000 disoccupati, che in primavera il paese è praticamente stato “salvato” dal BCE (anche se Rajoy non si è ancora deciso a ufficializzare la richiesta alle istituzioni europee) e che sta vivendo un’evoluzione simile a quella greca, che le maggiori banche sono sull’orlo del fallimento (il caos inizió a maggio con l’annuncio di Bankia, presieduta dall’ex gerente del FMI Rodrigo Rato, di un buco di oltre 23 miliardi di euro) e che il governo del PP sta applicando politiche draconiane di tagli nel sociale e una serie di durissime (contro) riforme della sanità, della scuola e del codice penale.

I momenti chiave delle proteste sono stati cinque in questi ultimi due mesi.

Il primo: la manifestazione del 15 settembre contro le politiche di austerità applicate con estrema durezza dal governo Rajoy – convocata a Madrid dalla Cumbre Social, ossia dai due maggiori sindacati spagnoli (CC.OO. e UGT) e da oltre duecento associazioni e organizzazioni – che ha radunato circa mezzo milione di persone.

Il secondo: l’azione che si è chiamata Rodea el Congreso (Accerchia il Parlamento) con i suoi strascichi. Il 25 settembre oltre diecimila persone si sono radunate nelle adiacenze del Parlamento spagnolo a Madrid, conovocate dalla Coordinadora 25-S e dalla Plataforma En Pie. Lo spiegamento di forze dell’ordine è stato notevole (1.350 uomini) e le cariche della polizia durissime con il palese utilizzo di infiltrati all’interno dei manifestanti (più di 100 feriti e una quarantina di arresti, oltre a controlli a tappeto nei giorni precedenti e successivi). Le immagini di quella che, non a torto, è stata chiamata brutalidad policial hanno fatto il giro del mondo e hanno provocato reazioni opposte: se i dirigenti del Partito Popolare al governo hanno bollato i manifestanti di nuovi golpisti, hanno lodato pubblicamente l’operato delle forze dell’ordine – arrivando a concedere una medaglia al merito al capo dell’operazione – ed elogiato “la maggioranza silenziosa che non manifesta”, i mass media progressisti spagnoli e stranieri e i movimenti sociali hanno protestato vigorosamente di fronte alle immagini dei pestaggi indiscriminati a chi manifestava pacificamente o addirittura ai passanti  e ai pendolari (come all’interno della stazione dei treni di Atocha) (2).

Tanto che nei giorni successivi, il 26 e il 29 settembre, alcune migliaia di persone si sono nuovamente radunate per protestare contro la violenza indiscriminata delle forze dell’ordine, le quali hanno mantenuto il Parlamento sigillato per oltre una settimana.

Nelle stesse giornate, in altri capoluoghi di provincia spagnoli (soprattutto Barcellona, Oviedo e Siviglia) alcune centinaia di persone si sono radunate davanti ai rispettivi parlamenti regionali e il 26 settembre uno sciopero generale ha fermato i Paesi Baschi.

Il terzo: la manifestazione internazionale del 13 ottobre “No Debemos, No Pagamos” per protestare contro la “truffa” della crisi economica ed il problema del debito – ad un anno dalle grandi manifestazioni del 15 ottobre del 2011 che avevano coinvolto oltre mille città in tutto il mondo – ha radunato alcune migliaia di persone a Madrid e a Barcellona. Una manifestazione che si è legata a doppio filo a una serie di azioni continue contro gli sfratti che da oltre due anni a questa parte sta coordinando la Plataforma Afectados por la Hipoteca (letteralmente: “Piattaforma di chi è stato colpito dalla questione delle ipoteche”). La problematica è cruciale per comprendere la portata della crisi in Spagna e gli effetti perversi della bolla immobiliaria che ha avuto un’evoluzione simile a quella statunitense: dal 2007 al 2011 in Spagna sono stati eseguiti 349.438 sfratti (si badi bene: di proprietari di case con un mutuo, e non di persone e famiglie in affitto) e nel primo semestre del 2012 si è arrivati alla cifra record di 47.934. Ossia: 526 al giorno. Il dramma è di dimensioni colossali e si trasforma in beffa quando si viene a sapere che nella sola Catalogna ci sono più di 80 mila appartamenti nuovi sfitti, in mano ai grandi istituti bancari (Bankia, CatalunyaCaixa, La Caixa, ecc.) che hanno chiesto forti iniezioni di liquidità in questi ultimi otto mesi per non dover dichiarare bancarotta.

Ma la notizia, come spesso succede, non si legge sulla maggior parte dei giornali, tranne quando il dramma non si trasforma in tragedia. Come la settimana scorsa, quando un uomo che stava per essere sfrattato si è suicidato a Granada gettandosi dalla finestra.

Il quarto: le nuove concentrazioni che il 23 e il 27 ottobre hanno radunato migliaia di persone davanti al Parlamento spagnolo a Madrid. Il 23 ottobre, infatti, il Parlamento spagnolo – dove il Partito Popolare, lo ricordiamo, ha la maggioranza assoluta – ha iniziato a discutere la nuova finanziaria che prevede tagli spaventosi a quello che rimane del Welfare State, nella logica dell’austerità neoliberista imposta dal FMI, dalla BCE e dalla UE. Solo per dare qualche dato: i finanziamenti alla Sanità diminuiranno del 22,6%, quelli ai sussidi di disoccupazione del 6,3%, quelli alle borse di studio del 3,8% (nel complesso, il settore dell’istruzione ha perso il 31% dei finanziamenti rispetto al 2011), i Comuni avranno il 40% in meno dei finanziamenti per i servizi sociali municipali, gli aiuti ai settori della cooperazione e dello sviluppo perdono il 23% e il settore della cultura avrà circa il 20% in meno di finanziamenti per musei, biblioteche, archivi, teatri e filmoteche.

Il quinto: lo sciopero generale convocato dalla CGT (sindacato anarchico) il 31 ottobre che ha avuto una discreta partecipazione, soprattutto a Barcellona, e che è stato organizzato come una sorta di anticipo del secondo sciopero generale statale del prossimo 14 novembre contro la nuova finanziaria del governo. Uno sciopero, quello del 14-N, conovocato da tutti i sindacati e appoggiato da centinaia di associazioni, organizzazioni e piattaforme attive nel sociale e che acquisterà ancora maggiore importanza per la sua dimensione internazionale: anche in Grecia, Portogallo, Cipro e Malta sono stati convocati per quello stesso giorno degli scioperi generali e in Italia e Germania ci saranno manifestazioni e scioperi, anche se di minore portata.

Però, la grande novità dell’autunno spagnolo del 2012 è stato il protagonismo che ha assunto la questione nazionale. Un protagonismo che ha stupito solo fino a un certo punto per chi conosce la realtà spagnola, l’attuale situazione di gravissima crisi e le tensioni centrifughe che la riguardano. E che si è legata agli importanti appuntamenti elettorali in Catalogna, Paesi Baschi e Galizia. Aspettative e risultati sono stati diversi e delineano uno scenario piuttosto complesso.

In Galizia, nelle elezioni del 21 ottobre, il Partito Popolare – che era stato al governo nell’ultimo triennio – ha ottenuto addirittura la maggioranza assoluta, passando da 38 a 41 seggi (pari al 45% dei voti), confermando Feijóo come presidente del Parlamento regionale e facendo tirare un sospiro di sollievo a Rajoy. Il PSOE è crollato, passando da 25 a 18 seggi e perdendo circa la metà dei voti. La stessa sorte è toccata al BNG (nazionalismo gallego), passato da 12 a 7 seggi. La vera novità è invece l’ingresso in Parlamento dell’Alternativa Galega de Esquerda (AGE), una formazione nata a inizio settembre, frutto dell’alleanza della federazione gallega di Izquierda Unida, di Equo (piccolo partito ecologista di recente formazione) e di ANOVA, che raccoglie il nazionalismo gallego di sinistra, in parte uscito dal BNG. Guidato da Xosé Manuel Beiras, un settantacinquenne dalla lunga carriera parlamentare proprio nelle fila del BNG, AGE è diventata il terzo partito con il 14% dei voti e 9 deputati nel Parlamento regionale.

Nei Paesi Baschi la situazione è stata ben diversa nelle elezioni celebrate lo stesso 21 ottobre. Il PSOE, che aveva governato in minoranza con l’appoggio del PP in una sorta di grosse koalition dal 2009 a questa parte, si è preso una batosta notevole, perdendo 100 mila voti, passando dal 30 al 18, 8% e da 25 a 16 deputati. Anche il PP ha perso voti (dal 13,9 all’11,6%) e seggi (da 13 a 10). Il partito più votato è stato ancora il PNV (nazionalisti baschi di destra), che ha però perso voti (dal 38,1 al 34,1%) e seggi (da 30 a 27). Il vero vincitore di queste elezioni basche è stato EH Bildu, il nuovo partito della sinistra indipendentista basca nato nel 2011 dall’alleanza di vari settori della sinistra abertzale. Grazie alla buona amministrazione dimostrata nell’ultimo anno e mezzo nella provincia di San Sebastián e alla dichiarazione della fine della lotta armata da parte di ETA dell’ottobre del 2011, EH Bildu è diventato il secondo partito dei Paesi Baschi, ottenendo il 24,6% dei voti e 21 deputati. La cosa più probabile è che il PNV governi in minoranza, con la ricerca dell’appoggio esterno dei socialisti e/o di EH Bildu.

Ancora diversa e ben più complessa la situazione in Catalogna. Le elezioni saranno il 25 novembre e Convergencia i Unió (CiU), il partito catalanista di destra, punta alla maggioranza assoluta. Alla fine di settembre il presidente Artur Mas ha sciolto anticipatamente il Parlamento catalano ed ha convocato nuove elezioni dopo solo due anni, in cui ha governato in minoranza con l’appoggio del PP (stessa modalità attuata nella provincia e nel comune di Barcellona, persi per la prima volta in trent’anni dai socialisti). Dal novembre del 2010 CiU ha applicato come e più del governo di Rajoy le ricette neoliberiste, provocando proteste continue soprattutto nei settori della sanità, della scuola e dell’università. Tra il novembre del 2010 e l’ottobre del 2011, i finanziamenti della Generalitat de Catalunya alla sanità sono diminuti del 10,5%, quelli all’istruzione dell’11,5%, quelli all’università del 16% e quelli alla cooperazione e allo sviluppo del 61%. Dati che fanno impallidire. Soprattutto se si affiancano ai numerosi casi di corruzione che riguardano importanti dirigenti di CiU (come Oriol Pujol, il segretario generale di CDC) e alla richiesta di salvataggio del Governo catalano (al pari di molte altre regioni autonome spagnole) alla Banca Centrale Spagnola, ufficializzata a fine luglio e che ha superato largamente i 5 miliardi di euro.

Il punto è però che Artur Mas sarà il grande vincitore delle prossime elezioni e potrà, molto probabilmente, governare per i prossimi quattro anni senza la necessità di accordi puntuali con altri partiti. Il fattore che spiega questa situazione apparentemente surrealista è la centralità che ha assunto la questione nazionale: le rivendicazioni catalaniste si sono poco a poco convertite in rivendicazioni secessioniste e CiU ha saputo giocare bene le sue carte, cavalcando l’onda indipendentista e scaricando tutte le responsabilità su Madrid, che “ruba i soldi” ai catalani. Il momento algido è stata la manifestazione dell’11 settembre, festa nazionale in Catalogna, quando oltre un milione di catalani sono scesi in piazza dietro ad uno striscione in cui campeggiava la scritta “Catalogna, nuovo Stato d’Europa”. (3) Un dato che fa riflettere se si tiene conto che la popolazione residente in Catalogna supera di poco i 7 milioni e se lo si compara con le poche migliaia di persone che hanno manifestato davanti al Parlamento spagnolo tra fine settembre e fine ottobre.

Il nazionale pare aver soppiantato il sociale o, quanto meno, averlo scavalcato. La campagna elettorale catalana difatti è incentrata solo sull’essere o no a favore dell’indipendenza e se una Catalogna indipendente farebbe o no parte dell’UE. Un sondaggio del Centro di Studi d’Opinione della Generalitat de Catalunya – i cui metodi sono stati più volte criticati – pubblicato il 6 novembre da La Vanguardia – quotidiano barcellonese che si è convertito in megafono del governo catalano – da la maggioranza assoluta a CiU (67-71 seggi) e conferma la dura débacle del Partito socialista (da 28 a 15 seggi), che diventerebbe il terzo partito in Catalogna, superato anche dal PP che si manterrebbe sui 18 seggi e incalzato da Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), partito indipendentista di sinistra, con 14 seggi. ICV, la sinistra catalana figlia del PSUC, da sempre favorevole a un sistema federalista, ma ora tentata dall’opzione secessionista, manterrebbe i suoi 10 deputati. Passerebbe da 3 a 6 deputati, invece, Ciutadan’s, formazione anti indipendentista nata nel 2006 che è scivolata poco a poco sempre più verso il centro destra, e potrebbero entrare in Parlamento le CUP (Candidaturas d’Unitat Populars), un movimento di sinistra anticapitalista fortemente indipendentista e pancatalanista.

Che conclusioni si possono trarre da tutto ciò?

1. il movimento del 15-M, i cosiddetti indignados, si è sgonfiato dopo aver scombussolato il panorama e l’agenda politica spagnola nella primavera del 2011. Però parte di questo movimento si è spostato dalle piazze ai quartieri, dove assemblee e piattaforme si sono radicate nel locale e lavorano quotidianamente su problemi e questioni precise (gli sfratti, l’assistenza ai senza tetto e agli immigrati, la questione del debito, ecc.) (4). Le grandi azioni e manifestazioni pare che abbiano fatto il loro tempo, ma, come hanno dimostrato le concentrazioni e le azioni di fine settembre e di fine ottobre il movimento non si è sciolto come neve al sole ed ha creato un nucleo cosciente ed attivo di giovani (ma non solo di giovani). Non è poco.

2. Le grandi centrali sindacali – che con la nuova finanziaria perderanno oltre il 20% dei finanziamenti pubblici – si sono finalmente riattivate, rompendo la “pace sociale” vigente (sciopero generale del 29 marzo e del prossimo 14 novembre) e cercando di allacciarsi ai movimenti cittadini sorti in questi ultimi anni (creazione della Cumbre Social). È un processo complesso per dei sindacati piuttosto anchilosati e burocratizzati come quelli spagnoli, ma può aprire nuovi spiragli per la creazione di una massa critica.

3. La socialdemocrazia spagnola sta vivendo la sua maggiore crisi dalla fine del franchismo. È finito lo zapaterismo con troppe speranze irrealizzate e con l’improvvisa discesa agli Inferi della crisi economica. Il PSOE è ai suoi minimi storici e pare che ancora non abbia toccato il fondo: mancano nuovi dirigenti e Rubalcaba, uomo di governo da troppi anni, non è la persona capace di avviare un cambio decisivo. Tra le elezioni politiche generali del novembre del 2011 e le regionali di quest’autunno il PSOE ha perso quasi la metà dei voti rispetto al periodo 2006-2008.

4. La sinistra spagnola sta ottenendo maggiori consensi (Izquierda Unida è passata da 3 a 11 deputati nel Parlamento spagnolo nel novembre del 2011) e sta cercando nuove strade: dal rafforzamento di una proposta di Spagna federale e da una maggiore attenzione ai movimenti sociali (IU) alle proposte nazionaliste di sinistra nei diversi contesti regionali (la crescita esponenziale di EH Bildu nei Paesi Baschi, l’ingresso nel Parlamento gallego come terzo partito di AGE e il probabile ingresso nel Parlamento catalano della CUP) fino alla nascita di nuove piattaforme e organizzazioni sociali, come l’interessante Frente Cívico di Julio Anguita, ex coordinatore di IU negli anni Novanta.

5. Al contrario che negli altri paesi europei, la crisi non sembra colpire la destra al governo: il Partito Popolare non ha quasi perso voti ed anzi è uscito rafforzato dalla vittoria in Galizia, mentre la destra catalanista di CiU ha a portata di mano la maggioranza assoluta nelle prossime elezioni del 25 novembre. L’aver fomentato i rispettivi nazionalismi – quello spagnolo da parte del PP e quello catalano da parte di CiU – ha aiutato parecchio ed è stato e continua ad essere un’ottima maniera per sostenersi mutuamente, affossando le posizioni dialoganti e intermedie (vedasi il PSOE), ma di per sé non può spiegare come chi da uno e due anni, rispettivamente, sta distruggendo il Welfare State spagnolo non venga rimandato a casa dai cittadini, un quarto dei quali è senza lavoro.

6. La questione nazionale è entrata prepotentemente nel dibattito, facendo passare in secondo piano la questione sociale. Semplice specchietto per le allodole? In parte parrebbe di sì, vista anche la maniera in cui determinati mass media la stanno utilizzando a fini elettorali sia a Madrid che a Barcellona. Ma non solo. La Costituzione approvata nel 1978 durante la transizione dal franchismo alla democrazia dovrebbe essere aggiornata, trasformando quello che si chiamò Estado de las autonomías in un sistema federale asimmetrico. Resta il fatto però che sventolare bandiere nazionali e cercare un colpevole nell’Altro non è buon segno. È proprio il suo contrario. Soprattutto in momenti di grave crisi. Una crisi economica, ma anche sociale, politica e culturale, che ha bisogno di proposte serie, di riflessioni coraggiose e di buon senso. Ma, di questo, nella classe politica catalana e in quella spagnola pare proprio essercene poco.

1)Vedasi il bel punto della situazione che ne fece Laura Orlandini, “Tempi duri a Barcellona”, Rivista anarchica, n. 373, estate 2012 (consultabile on-line: http://anarca-bolo.ch/a-rivista/373/40.htm)

2)Come ben testimonia questo video pubblicato dall’edizione on-line del quotidiano El País:http://www.youtube.com/watch?v=2MP5hQAr0R0

3)Vedasi il mio “Catalogna: nuovo Stato d’Europa?”, Il Corriere del Trentino, 16 settembre 2012. Ora ripubblicato su Politica Responsabile: http://www.politicaresponsabile.it/pensiero/853/catalogna-nuovo-stato-deuropa.html

4)Una dinamica ben visibile già a partire dal settembre del 2011. Vedasi, la mia serie di articoli “Cosa succede in Spagna?” pubblicata sulla rivista on-line Politica Responsabile e soprattutto la cronistoria del movimento del 15-M consultabile al seguente indirizzo http://www.politicaresponsabile.it/pensiero/342/cosa-succede-in-spagna-lettera-da-barcellona-v.html

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