Rivolte in Brasile: una testimonianza da Rio de Janeiro
Poco prima di uscire di casa ricevo un messaggio da un amico: “Porta un fazzoletto per coprirti il naso e l’aceto per il gas, ma non credo ne avremo bisogno”. “Figurati,” ho pensato. Non li ho portati. A fine giornata ho dovuto farmi prestare entrambi.
Arrivo in centro alle 18, il corteo è già iniziato da un’ora. Il 15 ottobre è la giornata dell’insegnante nel paese lusofono, la data della manifestazione non è scelta a caso. Stavolta a scendere in piazza sono infatti gli insegnanti, in sciopero da due mesi, rivendicando la valorizzazione del proprio lavoro in università e scuole pubbliche con aumenti di stipendio e miglioramento del piano di carriera.
Il clima è assolutamente pacifico, oserei dire festoso, solo i carioca riescono a fondere protesta e allegria carnevalesca in una manifestazione. I cori sono dei noti samba trasformati in slogan contro Sérgio Cabral, governatore dello stato di Rio, contro i costi dell’organizzazione di mondiali di calcio e Olimpiadi, contro lo stato di precarietà delle politiche sociali in Brasile.
Sono tantissimi. Sono migliaia di manifestanti che seguono un carro preso in prestito da un bloco del carnevale di strada, cantando cori, ballando, protestando con bandiere, striscioni e molti strumenti musicali. Passando per l’Avenida Rio Branco (una delle vie più ampie del centro di Rio), le luci dei palazzi circostanti si accendono e spengono in segno di appoggio e saluto alla manifestazione.
Ci sono manifestanti a viso coperto, sono tanti anche loro. Molti sono giovanissimi, alcuni adolescenti. E sono tanti i poliziotti antisommossa, il Battaglione d’Urto (Batalhão de Choque), il cui numero aumenta man mano che ci si avvicina al punto finale della manifestazione.
Il corteo arriva pacificamente alla Praça Floriano, meglio conosciuta come Cinelândia, dove i manifestanti rimangono concentrati (ripeto, pacificamente) fino alle 20:00 circa. Ora c’è polizia antisommossa ovunque, elicotteri e giornalisti con caschi. Non nascondo che la tensione e la paura della repressione militare si respirano nell’aria. Musica, cori, canti, balli, proiezioni sulle pareti della camera legislativa, rappresentanti delle popolazioni indigene danzando intorno a un falò, pensionati e lavoratori con cartelli, studenti… questo è quello che ho visto io nella piazza. La giornata è degli insegnanti, ma in piazza ci sono tutti.
La manifestazione finisce. Il corteo si dissolve e la maggior parte dei manifestanti ritorna a casa. Sono seduta sulle scale della camera legislativa, come molti altri, tranquillamente. Alle 20:15 la situazione si ribalta completamente. Mentre la piazza si sta svuotando, un gruppo di manifestanti comincia a correre verso l’Alerj, l’Assemblea Legislativa dello Stato di Rio de Janeiro, azione che mi è parsa spontanea, con lo scopo di continuare la protesta in uno degli altri punti nevralgici delle manifestazioni di giugno. Non arriva nemmeno all’altro lato della piazza. Cominciano i lanci delle cosiddette bombe de efeito moral (le costosissime bombe a mano antisommossa stordenti, usate per spaventare e intimorire e vi assicuro che spaventano e intimoriscono), gas lacrimogeno e pallottole di gomma.
Cerchiamo di rimanere tranquilli perché correre, si sa, non fa altro che aumentare il panico, ma in poco tempo la piazza si riempie di gas. Alle 20:25 dilaga la follia. Respiro male e non riesco a tenere gli occhi aperti. Mi prestano il famoso fazzoletto, dell’aceto e del collirio. Ma gli occhi non smettono di bruciare fino a che una ragazza con un camice bianco non mi spruzza in faccia del latte di magnesio. Intorno a me ci sono squadroni della polizia ovunque, cose in frantumi o incendiate, gente che cerca di filmare e fotografare, gente che scappa. Il caos.
Tentiamo di lasciare Cinelândia ma ogni via che porta alla piazza è bloccata da polizia antisommossa. E da ogni via arrivano manifestanti correndo, scappando da gas, bombe e pallottole di gomma sparate a distanza ravvicinatissima. Mi sono sentita un topo in trappola.
Finalmente, alle 20:45, troviamo una via più tranquilla, sbarrata da grate posizionate dalla polizia con tanto di porticina, da cui si può uscire solo dopo perquisizione. Riusciamo a uscire. Chi è rimasto anche solo 10 minuti più di noi – tra cui alcuni amici – si è ritrovato bloccato nella piazza. Secondo i loro racconti e quelli di molti altri, gli scontri sono continuati con ancora più violenza. Dalle 23 la polizia ha cominciato ad arrestare persone per il semplice fatto di essere sedute di fronte alla camera municipale. Circa 190 persone, tra cui giornalisti e studenti, sono state trattenute nel corso della serata e portate via in pullman, molte – troppe – senza flagranza di reato. Molti di loro alla data di oggi (22 ottobre) sono ancora in carcere, accusati di formazione di “quadrilha” (banda criminale).
Video e testimonianze pubblicati il giorno dopo (16 ottobre) mostrano che sono state sparate anche pallottole vere. Pare che a cominciare gli scontri sia stata la polizia stessa e pare ci fossero poliziotti infiltrati tra i manifestanti.
Non so quale sia stata la scintilla che ha scatenato quel delirio, posso solo raccontarvi quello che ho visto io: una reazione assolutamente sproporzionata della polizia militare. Una polizia totalmente impreparata a sopportare provocazioni o a mantenere la calma in manifestazioni di questa portata, o che forse è istruita a non farlo.
Quello che ho visto io è il Batalhão de Choque che bloccava tutte le vie di uscita . E sono tante.
Quello che ho visto io è un’auto blindata del BOPE (il battaglione di intervento speciale) con un arsenale di bombe e gas lacrimogeno nel bagagliaio, come se si stessero preparando per una guerra.
Quello che ho visto io è gente portata fuori in barelle improvvisate, intossicata dal gas.
I principali media brasiliani raccontano solamente di scontri e atti di vandalismo, senza menzionare la moltitudine di poco prima. La prima pagina del giornale O Globo, del gruppo mediatico più influente in Brasile, il 17 ottobre titolava a caratteri cubitali: “Delitto e Castigo – Legge più dura porta 70 vandali in prigione” (si riferisce alla nuova legge 12.850/13, che definisce la criminalità organizzata e i mezzi di lotta alla stessa, nella quale molti manifestanti sono stati inquadrati). È stato interessante notare l’incoerenza dello stesso giornale, che, riferendosi ai fatti di Roma del weekend scorso, ha trasformato i “vandali” in “giovani scontenti”. A Roma, lontana 9.000km dalle coste del Sud America, i “giovani scontenti si confrontavano con la polizia”. A Rio de Janeiro i vandali sono stati giustamente puniti dagli eroi in divisa.
Intanto, lo sciopero degli insegnanti continua, come continueranno le manifestazioni.
I fatti di giugno – breve riassunto
Facciamo un piccolo passo indietro, giusto per chiarire alcuni punti. Non si è mai trattato di un semplice capriccio per il rincaro dei mezzi pubblici, come molti hanno banalizzato all’estero. Le manifestazioni sono iniziate lo scorso giugno nella città di Porto Alegre, contro l’ennesimo aumento dei prezzi dei trasporti, che purtroppo in Brasile non equivale a un loro pari miglioramento di qualità.
Le proteste si sono poi propagate viralmente – principalmente attraverso piattaforme in rete – a tutte le grandi città del paese, avendo come focolai principali le città di Rio de Janeiro e San Paolo, e richiamando l’attenzione non solo dei media, ma purtroppo anche della famigerata polizia militare brasiliana.
Scene di ordinaria follia e repressione militare si sono ripetute nelle manifestazioni di giugno, giunte all’apice il giorno 20, e hanno continuano a ripetersi nei cortei più recenti di settembre e ottobre. La scena che ho descritto prima si ripete periodicamente. Testimoni presenti alle prime manifestazioni raccontano di violenza in manifestazioni pacifiche, manganellate, gas lacrimogeno, spray al peperoncino, pallottole di gomma usati contro i manifestanti. Molti gli arresti senza flagranza di reato, come nel caso di martedì scorso. Come a dire, una retromarcia di 30 anni nella storia del paese latino, rimasto nelle tenaglie della dittatura militare fino al 1985.
Dopo aver preso coraggio con le prime manifestazioni, i brasiliani continuano a sfidare la repressione militare e a riempire le strade per far sentire la propria voce su tematiche ancora più importanti. Tematiche quali la tristemente nota corruzione del paese, il carovita o il recente omicidio con occultamento di cadavere del muratore Amarildo, abitante della favela Rocinha, attribuito – anche se non ancora dimostrato – all’UPP, la polizia pacificatrice delle favelas.
La grande energia di ripudio delle politiche del governo e la forte repressione hanno fatto crescere il movimento giovanile esponenzialmente. È stato spesso accusato di essere un movimento senza un programma preciso. Non è che non abbia un programma preciso, è che in Brasile le questioni per cui protestare sono molte e svariate.
Il governo brasiliano, dal canto suo, continua a temporeggiare nella sua presa di posizione e a ignorare le proteste dei cittadini, che al massimo ottengono come contentino delle deboli promesse di future riforme.
In un paese in cui le manifestazioni non sono per niente all’ordine del giorno, specialmente se paragonato alla vicina Argentina (basti pensare che l’ultima di grandi dimensioni era stata nei primi anni 90), un tale susseguirsi di dimostrazioni di scontento pubblico rappresenta un enorme cambiamento. Sulle orme delle grandi rivoluzioni virali degli ultimi anni, anche il gigante sudamericano pare proprio essersi svegliato.
Tag:
america latina Brasile