Rio Doce| BHP Billiton e Vale: licenza di uccidere
La colata di fanghi minerari tossici dovuta al crollo di due dighe che li contenevano in Brasile ha travolto la cittadina di Bento Rodrigues il 5 Novembre scorso causando decine di morti e centinaia di profughi ambientali. Le acque inquinate che hanno velocemente raggiunto il fiume Doce stanno seminando devastazione ed inquinando i terreni dei luoghi che attraversano. Un’ ondata di decine di milioni di metri cubi di fanghi tossici rossastri che ha ricoperto case, aree protette, terreni agricoli e habitat sensibili e privato dell’accesso all’acqua potabile diverse centinaia di migliaia di persone residenti in quella zona.
La flora e la fauna del fiume sono state avvelenate dalle sostanze tossiche sversate nello stesso. Un ecosistema completamente distrutto. Con l'”assassinio” del fiume Doce, ridotto a sterile canale pieno di fango, le popolazioni indios della zona hanno perso la loro fonte di sostentamento primaria. La catena alimentare è stata compromessa per almeno i prossimi 100 anni.
Questo il sacrificio all’altare del profitto accumulato dalla compagnia Samarco Mineração, controllata dai colossi dell’estrazione mineraria BHP Billiton e dalla Vale.
Queste compagnie non avevano predisposto nessun piano di evacuazione né di allarme, il governo ha ignorato per anni i rapporti di rischio di destabilizzazione di una delle due dighe, permettendo che l’estrazione continuasse indiscriminatamente.
Le prime stime per la bonifica di tutto il fiume parlano di circa 27 miliardi di dollari. Nel frattempo però il governo chiede a Vale e BHP di pagarne meno di un quinto.
Il crollo delle dighe è stato probabilmente causato dai lavori di ampliamento in corso per permettere che quella parte di pianeta inghiottisse volumi ancora maggiori di rifiuti tossici per permettere a quella compagnia di accumulare ancora più ricchezza. Tredici dei lavoratori che lavoravano sul posto sono morti nell’incidente. Molte altre persone probabilmente si ammaleranno e moriranno a causa di questo disastro che in molti stanno già paragonando a quello di Fukushima. Rispetto a questa situazione è importante condividere una riflessione. È assurdo che industrie che si occupano di produzioni così pericolose dal punto di vista ambientale, come nel caso della Samarco, non si forniscano di dispositivi di mitigazione del danno adatti, ma non bisogna fare l’errore di credere che sia solo questo il punto su cui riflettere. Quello su cui dovremmo porre attenzione è che una multinazionale può disporre di un “proprio” lago artificiale dove accumulare tutti i propri scarti di produzione sottraendo spazio e risorse alle popolazioni che vivono quel territorio senza porsi alcun problema relativo all’impatto che le sue azioni hanno sull’ecosistema in cui si sono inseriti in maniera del tutto illegittima.
Illegittima è la pretesa di accaparrarsi intere fette di territorio sottraendone la disponibilità a chi costruisce la propria intera vita in quei luoghi. E’ illegittimo estrarre risorse naturali da un territorio fino a spolparlo del tutto. Banalmente, è illegittimo impossessarsi di beni naturali di tutti per rispondere all’unico bisogno di accumulare ed accentrare in poche mani la ricchezza che ne deriva.
E quello della mitigazione a valle dei processi produttivi inquinanti è un approccio del tutto insufficiente dal punto di vista della sostenibilità ambientale e sociale. Bisognerebbe piuttosto ragionare su come e quanto si “può inquinare” in modo da garantire alle popolazioni di soddisfare i propri bisogni partendo dalla considerazione che le risorse naturali sono finite e garantendo una distribuzione equa delle stesse da un punto di vista intra e inter generazionale.
Del resto questi episodi raccontano di dinamiche molto simili a quelle che abbiamo imparato ad analizzare anche in Italia. Il meccanismo di speculazione economica su ambiente e salute attraverso il quale le industrie ammortizzano i costi dello smaltimento dei loro scarti di produzione rendendosi così più competitive sui mercati si è rivelato in maniera chiarissima prima di tutto in Campania, ma anche in tutto il resto della penisola.
Un intreccio criminale tra organizzazioni mafiose, con la camorra davanti le altre, imprenditoria ed istituzioni che ha risposto alla grande domanda di smaltimento di rifiuti pericolosi da parte delle industrie italiane. Così come ci raccontano della stessa dinamica i dati pubblicati pochi giorni fa dall’agenzia europea dell’ambiente secondo cui in Italia le morti premature dovute alle emissioni dell’industria inquinante di Pm 2.5, biossido di azoto e ozono sono 84.400 ogni anno con picchi marcati nelle zone maggiormente industrializzate, Lombardia in primis.
La tragedia di Bento Rodrigues fa da apriporta alla ventunesima conferenza delle parti sui cambiamenti climatici. Tutti i capi di governo coinvolti rimettono in scena il teatrino che abbiamo imparato a conoscere ogni volta che c’è da affrontare una situazione in cui il loro modello economico si abbatte con tutta la sua ferocia su un territorio. In questo caso il territorio di cui parliamo è il pianeta intero ma non ci sono dubbi sul fatto che dopo aver elencato le loro buone intenzioni, un po’ come si fa con i buoni propositi per l’inizio del nuovo anno, ci voltino le spalle per tornare a stringere accordi con gli industriali di turno.
Stanno organizzando l’adattamento alla distruzione che hanno creato e che continueranno a creare, mentre nel frattempo nelle piazze, si nega il diritto di manifestare a chi ogni giorno si impegna nei movimenti a difesa dell’ambiente e della salute, come sta succedendo a Parigi in occasione di COP21.
La dinamica di sfruttamento di persone e territori si riproduce uguale dappertutto producendo morte e devastazione.
Non resta che costruire meccanismi di opposizione a questi fenomeni che riescano a cambiare in maniera radicale le sorti del pianeta e delle popolazioni che lo vivono.
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