Referendum – Alla fine non si voterà sull’articolo 18…
Tutto come previsto quindi. E’ di ieri la decisione della Corte Costituzionale di rigettare il quesito referendario proposto dalla CGIL per il ripristino e l’estensione dell’articolo 18 (la garanzia contro i licenziamenti) dando invece il via libera ai quesiti sui voucher e sugli appalti. Le indiscrezioni sulla decisioni della corte circolavano già da diverse settimane e nella votazione di ieri una maggioranza di 8 contro 5 ha deciso di non ritenere legittimo il quesito più importante proposto dal sindacato di Susanna Camusso.
Poco importa se sull’articolo 18 in questo paese si fosse già votato due volte e che, nel 2003 ci fosse addirittura stato un referendum per l’estensione della garanzia contro i licenziamenti alle piccole imprese (allora non si era raggiunto il quorum, ma 10 milioni e mezzo di persone si erano espresse favorevolmente). E’ evidente che la decisione della Consulta, molto politica, in qualche modo “salva” il Jobs Act svuotando il referendum del suo contenuto simbolico più importante.
E’ un respiro di sollievo per Renzi, ma anche per tanti parlamentari che sperano di far sopravvivere la legislatura fino al 2018… Se la Corte avesse accettato il quesito sui licenziamenti le elezioni a Giungo di quest’anno sarebbero diventate abbastanza probabili, tanto era importante impedire un referendum che avrebbe potuto dare un duro colpo a una riforma che è stata caldamente sostenuta da tutti i centri di potere economici italiani e internazionali. Va ricordato infatti che non si possono tenere nello stesso anno elezioni politiche e referendum e le prime avrebbero naturalmente fatto slittare il secondo.
La CGIL ha raccolto 3 milioni di firme su questa battaglia referendaria, ma il quesito sull’articolo 18 è stato probabilmente scritto in modo quantomeno incauto perché oltre all’abrogazione di una parte della legge prevedeva una parte propositiva rischiando di cadere nel tranello dell’inammissibilità come poi è avvenuto. E’ evidente che se l’articolo 18 non riguarda milioni di lavoratori precari (e giovani) è altrettanto vero che il suo valore simbolico è potente e che esso riguarda comunque ancora milioni di lavoratori dipendenti.
Esso era una sorta di bandiera e lo stesso governo Berlusconi, che nella Primavera del 2002 aveva cercato di abolirlo era rimasto scottato da una risposta popolare gigantesca col celebre corteo dei 3 milioni della CGIL al Circo Massimo e con l’ultimo sciopero generale degno di questo nome in Italia dell’Aprile di quell’anno. Nel 2014 il movimento contro il Jobs Act non ha neanche lontanamente raggiunto la forza del 2002 (e neanche quella del movimento francese contro la Loi Travail). Renzi ha inoltre avuto la furbizia di dividere il mondo dei lavoratori tra quelli che già avevano il vecchio articolo 18 e che non sarebbero stati toccati e quelli che sarebbero invece stati assunti con contratto a tutele crescenti (tutele mai viste si potrebbe dire) e che ne sarebbero stati orfani.
Il Jobs Act, pur non avendo prodotto nessun reale aumento dell’occupazione quando invece due anni fa veniva descritto come la panacea a tutti i mali resiste. I quesiti su voucher e appalti rimangono, ma sono politicamente meno significativi anche perché il Governo Gentiloni interverrà probabilmente sulla questione voucher che continua a risultare molto complessa.
I voucher sono la nuova frontiera della precarietà e stanno venendo utilizzati in modo scorretto, ma bisogna anche fare i conti con tanti giovani che dicono: “Meglio i voucher che disoccupati” (a questo siamo ridotti!). Restano i consueti problemi del mercato del lavoro italiano insomma. Alta tassazione per chi vuole assumere, poche e nulle garanzie nel mondo del precariato (dalle Partite IVA alla prateria sterminata delle cooperative), reddito di cittadinanza lontanissimo…
Si conferma invece come la Corte Costituzionale sia diventata un vero e proprio centro della battaglia politica in Italia. A breve infatti arriverà anche la tanto discussa decisione sull’Italicum…