In Bolivia l’esercito spara sui cocaleros, 5 morti: «Añez, assassina»
Il governo de facto reprime nel sangue le proteste e intanto dialoga con il Mas per la “pacificazione” e il ritorno di Evo Morales nel paese.
Il governo golpista di Jeanine Añez ha calato la maschera mostrando al mondo il suo vero volto omicida. Lo ha fatto a Sacaba, vicino a Cochabamba, dove polizia e soldati hanno sparato colpi di arma da fuoco contro una moltitudine di cocaleros che marciavano pacificamente tentando di attraversare il ponte Huayllani, uccidendo cinque persone e ferendone altre decine. «Miravano al corpo e alla testa», ha denunciato un manifestante. E proprio il grido «Añez, assassina» è risuonato nella veglia funebre per le vittime del massacro, di fronte alle bare ricoperte dalla whipala, la bandiera dei popoli indigeni.
Sale così a 23 morti il bilancio delle proteste contro il golpe, secondo quanto ha denunciato la delegata dell’Ufficio del difensore civico di La Paz Teresa Zubieta, parlando di «una regressione di oltre 30 anni in materia di diritti umani». Una condanna dell’«uso sproporzionato della forza poliziesca e militare» è venuta anche dalla Cidh, la Commissione interamericana dei diritti umani, la quale ha espresso «preoccupazione per l’operato delle forze armate nelle operazioni combinate realizzate dall’inizio della settimana», ma anche per «le minacce di espulsione nei confronti delle autorità, le aggressioni e l’uso di gas contro i giornalisti impegnati a informare sulle proteste».
Ma, se da una parte si massacra, dall’altra si negozia. E così, mentre il governo de facto ha annunciato l’avvio di colloqui con il Movimiento al Socialismo allo scopo di realizzare «la pacificazione del paese», il segretario generale dell’Onu António Guterres ha incaricato il diplomatico francese Jean Arnault di riunirsi con le parti per favorire una soluzione pacifica della crisi. Secondo il ministro della presidenza Jerjes Justiniano, sarebbero tre le condizioni poste dal Mas: garanzie contro la persecuzione politica, salvacondotti per i dirigenti del partito e il ritorno di Evo Morales. «Non ci sono inconvenienti», ha garantito Justiniano. «In un quadro di pacificazione, avranno tutte le condizioni per rimanere sul territorio. Hanno anche chiesto che Morales possa tornare, perfetto. È un cittadino come un altro», ha aggiunto il ministro, contraddicendo dunque l’autoproclamata presidente, la quale aveva invece avvertito che, se Morales tornasse nel paese, dovrebbe «rispondere alla giustizia» per brogli elettorali – in realtà smentiti da due diversi rapporti di esperti indipendenti – e per corruzione.
In attesa della “pacificazione” promessa, il governo de facto procede intanto a smantellare la politica estera di Morales, annunciando la rottura delle relazioni diplomatiche con il Venezuela, l’uscita dall’Alba (l’Alleanza bolivariana delle Americhe) e, con ogni probabilità, anche il ritiro dall’Unasur.
di Claudia Fanti
da il Manifesto del 17 novembre 2019
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