“Femminismo e dominio sulla natura”: Val Plumwood arriva finalmente in Italia

Dopo aver portato in Italia Françoise d’Eaubonne, autrice, teorica e militante pressoché sconosciuta nel nostro Paese, ma importante per aver formulato per prima il termine “ecofemminismo”, Prospero Editore continua a esplorare questo filone di pensiero pubblicando per la prima volta in italiano Femminismo e dominio sulla natura – Un percorso verso il sé ecologico della filosofa australiana Val Plumwood. Libro di cui riportiamo qui la nota introduttiva della traduttrice.

Nel contesto italiano il nome di Val Plumwood (1939-2008) è ancora poco noto, come dimostra questa sua prima traduzione in uscita a fine 2024, a quasi 17 anni dalla sua scomparsa.

Eppure, specialmente nel mondo anglosassone dove questa corrente ha generato maggiore dibattito, è considerata una delle maggiori e più fini pensatrici ecofemministe e di etica ecologica, tanto da essere stata inserita tra le “Fifty Key Thinkers on the Environment” (1).

Nata a Sydney con il nome di Val Morell, ha insegnato in varie università australiane, ma, soprattutto, negli anni Settanta ha partecipato alla fondazione della prima corrente di filosofia ambientale australiana nel contesto del nascente settore che è oggi conosciuto come “ecological” o “evironmental humanities”.

Proprio come la maggior parte delle studiose ecofemministe, all’attività accademica Plumwood (che ha scelto di ereditare questo nome dalla Plumwood Mountain vicino alla quale ha vissuto nella sua casa autocostruita in una radura della foresta pluviale, a circa 75 chilometri da Canberra) ha affiancato quella pratica: è stata un’attivista ecologista, animalista, femminista, anticolonialista e si è spesa in particolare per la salvaguardia della foresta pluviale australiana e della sua biodiversità. In effetti, il contatto con il contesto naturale nel quale ha vissuto fino alla morte, sopraggiunta nel 2008 nella sua casa, è stato tanto stretto da portarla dritta nelle fauci di un coccodrillo marino durante un’escursione solitaria in canoa nel 1985. Un attacco dal quale si è salvata conto ogni probabilità, come lei stessa ha affermato. Come è ovvio, questa esperienza ha avuto un forte impatto sulla filosofia di Plumwood, che ne ha scritto nel 1995 in Human Vulnerability and the Experience of Being Prey e in The Eye of the Crocodile, rimasto incompiuto, ma i suoi echi si avvertono già nelle pagine che state per leggere.

Feminism and the Mastery of Nature (1993), è considerato un classico dell’ecologismo politico ed etico, oltre che dell’ecofemminismo. È un testo completo, approfondito, ricco di riferimenti e al contempo capace di offrire una sintesi efficace di una presa di posizione potente: è necessario, dice Plumwood, dichiarare superata la “ragione del padrone”.

I temi proposti al suo interno, principalmente una critica all’“iperseparazione” dall’altro attuata dall’essere umano a vari livelli dell’esistenza – individuale, di genere, razza, specie – e un’analisi puntale di come il pensiero dualistico abbia storicamente contribuito alla subordinazione delle donne, delle minoranze e alla distruzione ambientale, non sono inediti. Si inseriscono perfettamente nel dibattito ecofemminista inaugurato (non con particolare successo) nel 1974 in Francia da Françoise d’Eaubonne con il suo testo pionieristico Il femminismo o la morte e portato avanti, specialmente nel Nordamerica, da figure come Carolyn Merchant, Ynestra King, Karen J. Warren, Ariel Salleh, Lori Gruen, ma anche in India da Vandana Shiva o in Africa da Wangari Muta Maathai.

Nei suoi scritti degli anni Settanta, d’Eaubonne intuisce una corrispondenza tra i processi di socializzazione dei generi, con la conseguente inferiorizzazione del femminile (giustificata, però, attraverso l’essenzialismo), e quelli di naturalizzazione (l’associazione alla sfera subordinata della natura di tutte le categorie considerate non pianamente umane) aprendo quindi alla possibilità di un’ecologia femminista.

Da parte sua, nel 1980 Merchant dichiara necessario, nel contesto del pensiero filosofico e scientifico occidentale, “affrontare una critica radicale delle categorie stesse di natura e cultura” intese “come concetti organizzanti in tutte le discipline” e come origine delle gerarchie di sfruttamento istituite dall’essere umano nella sfera sociale ed ecosistemica. Tutto ciò ponendo a sua volta l’accento sul nodo che nel corso dei secoli ha tenuto strette donne e natura in senso tanto metaforico quanto pratico (cioè con ricadute evidenti sulle esistenze di entrambe).

Con questo testo del 1993, Plumwood si addentra su tale sentiero e compie un passo decisivo attraverso la concettualizzazione del paradigma “padronale”, che incorpora tutte le forme di dominio basate su una lettura dualistica e oppositiva delle relazioni di differenza. E propone una soluzione detonante: superare la ragione del padrone, abbandonare il sé iperseparato ed esplorare le vie per costruire un sé mutuale e realmente ecologico, capace di riconoscere la relazionalità delle preoccupazioni e dei fini, di sviluppare una descrizione non oppositiva e strumentale del diverso da sé e comprendere concetti cruciali come l’agire solidale, la cura degli altri e il riconoscimento del loro valore intrinseco.

Il tutto, da una prospettiva ecologista femminista, non per suggerire una perfetta sovrapposizione delle due istanze, ma perché utilizzare le analisi e le intuizioni del pensiero femminista riguardo all’oppressione delle donne può aiutare, a suo parere, ad approfondire anche la comprensione del dominio sulla natura, “poiché gli oppressi sono spesso sia femminilizzati che naturalizzati”. Inoltre, “Nella misura in cui le vite delle donne […] hanno comportato pratiche, qualità di cura e tipi di egoismo diversi e meno oppositivi”, è possibile e auspicabile “privilegiare alcune delle esperienze e delle pratiche delle donne rispetto a quelle degli uomini come fonte di cambiamento”, senza impegnarsi “in alcuna forma di naturalizzazione”.

In definitiva, la proposta avanzata da Plumwood in questo libro, in accordo con la corrente che è stata definita dell’“ecofemminismo radicale”, è quella di spostare l’attenzione dall’analisi delle possibili associazioni tra gli oggetti dell’oppressione a quella della struttura di oppressione stessa, la ragione del padrone.

Come ben sottolinea in apertura lei stessa, infatti:

Quando le quattro placche tettoniche della teoria della liberazione – quelle che si occupano delle oppressioni di genere, razza, classe e natura – si uniscono, le scosse che ne derivano possono scuotere le strutture concettuali dell’oppressione fino alle fondamenta.

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