LA GUERRA D’AGOSTO

Per capire la crisi georgiana dell’Agosto 2008 bisogna guardare al passato in quella che sembra essere una costante che accomuna tutti i popoli dell’ex-Impero sovietico.

La Georgia viene annessa all’Impero zarista nel 1801 sotto il regno di Alessandro I universalmente noto come lo Zar che sconfisse Napoleone durante la “famigerata” campagna di Russia. Come in tutte le terre conquistate dalle forze zariste, iniziò un programma di russificazione per uniformare la società georgiana a quella imperiale. Come in molte altre parti del paese, anche in Georgia si sviluppò un potente movimento nazionalista. La Rivoluzione bolscevica del 1917 provocò una sanguinosa guerra civile costata almeno 20 milioni di morti. Molti dei territori periferici dell’Impero ne approfittarono per dichiarare l’indipendenza (soprattutto nel Caucaso). I bolscevichi però iniziarono una sorta di “reconquista” dei territori perduti. Nel 1921 fu il turno della Georgia che venne invasa dall’Armata Rossa e, nonostante una dura resistenza nazionalista, riannessa all’Unione Sovietica.

Uno degli elementi più stupefacenti della storia dell’URSS sta nel fatto che i due uomini più potenti (e sanguinari) dell’intera era sovietica furono proprio due georgiani.
Il primo fu Josif Vissarionovic Džugašvili, universalmente noto come Stalin (e dispregiativamente definito all’interno del PCUS come il “bandito georgiano”). Il secondo fu Lavrentij Pavlovic Berija, il sanguinario capo dell’OGPU (il futuro KGB). Il dittatore georgiano è tuttora piuttosto amato nella sua terra natia (come del resto in Russia). La casa dove nacque a Gori viene conservata con cura ed un’enorme statua paternalistica e “benedicente” svetta nella piazza principale della città.
Centinaia di migliaia di Georgiani, messo da parte il separatismo, combatterono nell’Armata Rossa opponendosi all’avanzata nazista nel Caucaso. Tra i 26 milioni di morti sovietici della Seconda Guerra Mondiale ci sono dunque anche centinaia di migliaia di Georgiani.

Con la morte di Stalin nel 1953 si avviò un lento processo di decentramento.
La Georgia conobbe un fortissimo sviluppo economico ed un notevole incremento del tenore di vita. Di fatto, già negli anni ‘60, esisteva in Georgia un’efficentissima microeconomia capitalista che affiancava l’economia di piano di stampo socialista.

Ma torniamo all’Unione Sovietica…
Il “patto” sul quale si basava l’esistenza di quel paese era rappresentato dalla capacità del Partito di garantire ai cittadini dell’Impero un lento, ma costante miglioramento del loro tenore di vita. Ebbene, fino alla fine gli anni ‘70 questo “patto” aveva funzionato. I comunisti, che nel 1917 avevano preso un paese rimasto al Medioevo, a costo di enormi sacrifici, erano stati capaci di traghettarlo nella modernità in meno di 50 anni (così come in Cina).
Alla fine degli anni ‘70 il “patto” inizia però ad incrinarsi con quella che viene definita la stagnazione brezhneviana. L’economia inizia un progressivo e costante rallentamento che nella seconda metà degli anni ‘80 assumerà toni drammatici.
I motivi della crisi del sistema sovietico sono molteplici: obsolescenza della burocrazia (l’URSS era a tutti gli effetti una “dittatura della burocrazia” e non una “dittatura del proletariato”), inefficienza dell’economia di piano nella produzione dei beni di consumo, annichilimento della creatività e dell’iniziativa del cittadino medio sovietico in un egualitarismo grigio, noioso ed opprimente, crollo del prezzo del petrolio (uno dei maggiori introiti del commercio estero sovietico) negli anni ‘80, crisi della produzione agricola, spese militari sempre più insostenibili ed una classe dirigente non all’altezza della situazione.

Nel 1985 Gorbachev sale al potere e chiama alla sua corte come Ministro degli Esteri l’astro più luminoso della politica georgiana: Eduard Ševardnadze. Quello che Gorbachev non riesce però a capire (a differenza dei Cinesi) è che un paese come l’Unione Sovietica non è pronto ad assaporare contemporaneamente la libertà economica e quella politica. La politica riformatrice di Gorbachev produce frutti avvelenati. Il progressivo indebolimento dell’autorità centrale di Mosca porta al riacutizzarsi delle spinte centrifughe all’interno dell’Unione Sovietica (così come nella Yugoslavia post-Tito). In aggiunta a ciò l’URSS è colpita da una devastante crisi economica.

Sembra quindi confermarsi uno degli assunti “ancestrali” della politica russa.
Per governare quel paese e quel popolo servono unicamente uomini forti al potere (Alexander Nevskij, Ivan il Grande, Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Alessandro I, Lenin, Stalin ed in ultimo Putin). Gli uomini deboli ed indecisi come lo Zar Nicola II, ma anche Gorbachev porteranno solo disgrazie alla “Rodina”. Ecco perché Gorbachev è tanto amato in Occidente quanto disprezzato dall’uomo medio russo (“Ha venduto il paese agli Americani!”… Questa l’accusa più comune).

Nel giro di pochissimi anni il sistema sovietico crolla inesorabilmente come in un gigantesco “effetto domino”.
Nel 1989, mentre con il crollo del Muro di Berlino e la fucilazione di Ceausescu in Romania, i paesi dell’Europa Orientale si liberavano dal giogo comunista, in Georgia una manifestazione pacifica che contestava il centralismo del Partito veniva repressa nel sangue dall’Armata Rossa a Tbilisi.
Le repressione militare non fece altro che esasperare esponenzialmente le spinte separatiste dei Georgiani.

Gorbachev tentò di correre al riparo, ma ormai l’ora dell’URSS era segnata.
Nel Marzo del 1991 ci fu il referendum sul nuovo Trattato dell’Unione. Il 76% dei votanti si espresse per mantenere il sistema federale sovietico devolvendo maggiori poteri ed autonomie alle singole repubbliche. C’è da dire che al referendum però non parteciparono alcune repubbliche. Per primi gli stati baltici (Lituania, Lettonia ed Estonia) che nel Gennaio del ‘91 avevano dovuto affrontare i carri armati dell’Armata Rossa inviati per stroncare le spinte secessioniste. E poi Moldavia, Armenia e Georgia.
La situazione degenerò nel giro di pochi mesi.
Nell’Agosto del 1991 Gorbachev fu deposto durante un tentativo di Golpe portato avanti dai settori più conservatori del potere sovietico. Il colpo di Stato fallì per diversi motivi: disorganizzazione, rifiuto dell’Armata Rossa di schierarsi coi golpisti e reazione popolare.
Il tentativo di putsch aumentò il discredito nei confronti del Partito Comunista che dopo poco venne messo fuori legge dal nuovo uomo forte di Mosca: Boris Elstin.
Il Trattato dell’Unione era ormai carta straccia. Ai primi di Dicembre del 1991 i presidenti delle repubbliche federali di Russia, Ucraina e Bielorussia si accordarono per dichiarare la dissoluzione finale dell’Unione Sovietica seguiti a ruota da quasi tutte le altre repubbliche sovietiche.
Era giunta la fine. Il 25 Dicembre 1991, prendendo atto della situazione, Gorbachev si dimise da presidente dell’URSS. Il 31 Dicembre 1991 le bandiera rossa veniva ammainata sul Cremlino.

Per quanto riguarda la Georgia, già verso la fine del 1990, gli indipendentisti avevano vinto le prime elezioni libere e democratiche tenutesi dai tempi della Rivoluzione.
Nel Marzo del 1991 il referendum per l’indipendenza vinse con la maggioranza schiacciante del 98,9% dei votanti. Il Presidente georgiano Gamsakhurdia dichiarò l’indipendenza della Georgia dall’URSS. I problemi però erano solo all’inizio…
Gamsakhurdia la cui parola d’ordine era: “La Georgia ai Georgiani” – fu presto accusato di autoritarismo ed inefficienza. Il suo governo fu rovesciato con un colpo di Stato nel Dicembre 1991. Il Presidente riuscì a fuggire durante l’assedio del palazzo presidenziale di Tbilisi ed a rifugiarsi in Cecenia. I ribelli chiamarono allora la prestigiosa figura di Eduard Ševardnadze a ricoprire il ruolo di Presidente.
La Georgia era però lontana dalla pace e dalla stabilità.
Nel 1992 scoppiò un feroce conflitto con l’Abkhazia, una delle regioni autonome georgiane che spingeva per riunificarsi con Mosca. Dopo i primi successi i Georgiani subirono una serie di dure sconfitte ad opera dei ribelli abkhazi sostenuti da forze paramilitari arrivate del Nord del Caucaso e dalla guarnigione russa stanziata a Gudauta. I costi della guerra furono pesanti: 15.000 morti ed una vera e propria pulizia etnica con l’espulsione dall’Abkhazia di 300.000 cittadini di origine georgiana.
Feroci scontri etnici avvennero anche nella repubblica dell’Ossezia del Sud. Anche gli Osseti puntavano a ricongiungersi con la Russia ed unificarsi con l’Ossezia del Nord (parte integrante della Federazione Russa). I Georgiani furono costretti ad accettare un “cessate il fuoco” per scongiurare l’intervento diretto di Mosca a fianco degli Osseti. I Russi inviarono una forza di contrapposizione percepita dai Georgiani come forza d’occupazione. Tbilisi riteneva le due repubbliche ribelli parte integrante del proprio territorio e si sentiva mutilata nella propria sovranità.

Nell’Autunno del 1993 Zviad Gamsakhurdia tornava dall’esilio tentando di rovesciare il nuovo governo georgiano. L’insurrezione, dopo una serie di successi iniziali, collassò nel Dicembre dello stesso anno portando alla morte del leader ribelle.
A quel punto Ševardnadze iniziò a consolidare il proprio potere riuscendo a vincere due elezioni presidenziali consecutive nel 1995 e nel 2000.
I rapporti con il gigante russo furono sempre altalenanti e l’ex-Ministro degli Esteri di Gorbachev iniziò un lento, ma costante e sostanziale avvicinamento agli Stati Uniti ed alla NATO.

Piccola parentesi necessaria…
Il Caucaso è un rebus intricatissimo di difficile comprensione.
Il primo elemento di instabilità è il miscuglio di etnie e di religioni.
Il secondo sono le ricchezze energetiche nascoste nel sottosuolo (specialmente in Azerbaijan).
Il terzo sono le alleanze mutevoli che nascono e muoiono in quelle terre inquiete.
Il gigante russo è interessato a garantire la stabilità nel Caucaso (e lo ha dimostrato coi massacri in Cecenia) perché punta ad averlo come sua area di influenza. Il controllo degli oleodotti e dei gasodotti che passano per quelle terre è un obiettivo primario per Mosca. Per raggiungere questo obiettivo può contare sui fedelissimi alleati Armeni. L’Armenia è infatti un alleato storico dei Russi, sia per questioni religiose (Russi ed Armeni sono ortodossi e si oppongono all’aggressività islamista) sia in funzione anti-turca (gli Armeni hanno subito un vero e proprio genocidio da parte dei Turchi).
La Russia è il primo fornitore energetico dell’Europa e non può in alcun modo consentire che le linee di rifornimento energetico del Sud cadano in mano islamica o americana… Proprio in relazione a ciò è necessario segnalare i progetti occidentali per la costruzione di un oleodotto che da Baku porterà il petrolio in Turchia via Georgia cercando di bypassare il controllo russo…

Ma torniamo alla Georgia.
Nelle elezioni del Novembre del 2003 una coalizione riformista guidata da Mikhail Saakashvili si oppone ad Eduard Ševardnadze. Le elezioni hanno un esito incerto. L’opposizione accusa Ševardnadze di brogli. Dopo due settimane di manifestazioni di piazza il Presidente della Georgia è costretto a dimettersi. E’ la “Rivoluzione delle Rose” che precederà di poco la “Rivoluzione Arancione” in Ucraina. Entrambe le rivoluzioni, viste a qualche anno di distanza, non sembrano aver avuto grande successo…
Saakashvili accentua il suo avvicinamento agli Stati Uniti ed all’Europa inviando anche un contingente in Irak in sostegno alle forze d’occupazione americane. L’Amministrazione Bush ricompensa l’alleato georgiano con una pioggia di dollari, aiuti militari e l’invio di “consiglieri” (come in Vietnam…) per addestrare il nuovo esercito georgiano.
La Georgia e l’Ucraina chiedono di poter entrare nella NATO.
Per la Russia si tratta di una minaccia. Così come una minaccia viene considerato il progetto di scudo anti-missile americano. Se è vero che la NATO dichiara ufficialmente che lo scudo anti-missile serve a scongiurare una possibile minaccia nucleare iraniana è altrettanto vero che le basi vengono costruite ai confini della Russia. Questo perché mentre la Cina è un gigante economico ancora debole militarmente, la Russia è l’unico paese ancora in grado di impensierire la potenza bellica americana. L’Esercito Russo non è nemmeno minimamente paragonabile all’Armata Rossa (le stime della NATO prevedevano che in caso di invasione da parte dei paesi del Patto di Varsavia nei confronti dell’Europa Occidentale i carri armati sovietici T-80 avrebbero raggiunto la Manica in non più di due settimane), ma la quantità di sottomarini nucleari, bombardieri strategici e testate atomiche in mano a Mosca continua ad impensierire il governo di Washington ed i suoi alleati.
Oltre ad essere una minaccia, l’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella NATO viene considerato dai Russi come l’ennesimo tradimento degli Occidentali nei confronti di Mosca.
Gli accordi dopo il dissolvimento dell’URSS prevedevano infatti che mai la NATO avrebbe dovuto estendersi fino ai confini russi e che la partenership tra Mosca e l’Alleanza Atlantica sarebbe stata un rapporto paritario. L’ennesima parola data e non mantenuta insomma…

La tensione aumenta dunque.
L’Ucraina è letteralmente spaccata in due tra la sua parte occidentale (quella di Kiev per intenderci) decisamente filo-americana e la sua parte orientale (i distretti industriali ed Odessa) da un’anima decisamente russofila.
In Georgia le manifestazioni di piazza anti-Saakashvili del Novembre 2007 vengono duramente represse e la tensione con le due repubbliche ribelli di Abkhazia ed Ossezia del Sud riprende pericolosamente a salire. Il 90% dei cittadini osseti ed abkhazi ha ormai passaporto russo, ma i Georgiani non hanno mai rinunciato all’idea di riportare all’ordine i due staterelli separatisti.

Arriviamo così ai giorni nostri.
Il 31 Luglio 2008 un ordigno esplosivo colpisce una pattuglia della Polizia georgiana nei pressi del confine con l’Ossezia. Il giorno successivo, nel silenzio dell’Occidente, iniziano i combattimenti tra forze georgiane e milizie ossete. Il giorno successivo, dopo i primi bombardamenti dell’artiglieria di Tbilisi, inizia la fuga dei civili da Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del Sud.
Il 7 Agosto il Presidente georgiano Saakashvili dichiara il “cessate il fuoco”, ma i combattimenti aumentano d’intensità. All’alba dell’8 Agosto le truppe georgiane lanciano un’offensiva per riconquistare la capitale dell’Ossezia. Nell’attacco vengono colpite anche le basi della forza d’interposizione russa. I Georgiani bloccano il tunnel di Roki, l’unico accesso all’Ossezia del Sud dalla Russia che permetta il passaggio del traffico pesante. I Russi riescono però a spedire oltre il tunnel un migliaio di soldati e un centinaio di carri armati.
Tra l’8 ed il 10 Agosto i combattimenti sono molto duri. I Russi rompono l’assedio georgiano riuscendo a far entrare in Ossezia la “famigerata” 58esima Armata (guidata da uno dei peggiori macellai della Guerra in Cecenia, il Generale Vladimir Shamanov) ed iniziano a bombardare le infrastrutture militari di Tbilisi.
In pochissimo tempo il fronte georgiano crolla ed i Russi dilagano nel paese raggiungendo il porto di Poti e Gori. La truppe di Saakashvili si danno alla fuga ed il presidente della piccola repubblica caucasica non può far altro che chiedere l’aiuto dell’amico americano e della NATO.
Ma, dichiarazioni roboanti a parte, l’Amministrazione americana dimostra tutta la sua impotenza.
Il 13 Agosto una precipitosa missione di pace del Presidente francese Sarkozy riesce a garantire un traballante “cessate il fuoco”.
I Russi iniziano un lento e provocatorio ritiro dalla Georgia, ma mantengono le loro truppe in Abkhazia ed Ossezia del Sud.
In aggiunta a ciò il 26 Agosto il Presidente russo Medvedev ha riconosciuto unilateralmente l’indipendenza richiesta dalle due repubbliche separatiste ricalcando la mossa di Washington di qualche mese prima col Kosovo.

Le grida indignate dell’Occidente cadono nel vuoto.
Questa volta il famoso “doppio standard” abitualmente utilizzato dagli Stati Uniti e dai loro alleati si rivolta contro i loro stessi inventori.
I Russi si chiedono con malcelata ironia perché il Kosovo ha potuto ottenere l’indipendenza unilaterale dalla Serbia violando la risoluzione dell’ONU del 1999 che garantiva ai Kosovari l’autonomia, ma nel rispetto dell’integrità territoriale di Belgrado e perché l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia non possono fare altrettanto.
Con altrettanta ironia si domandano come mai Israele abbia il diritto di radere al suolo il Libano dopo il sequestro di due suoi soldati e perché loro non possano difendersi dopo che dei loro soldati in missione di pace sono stati uccisi in un attacco proditorio.
L’ultima considerazione dell’uomo della strada russo è la seguente: “Come si permettono gli Stati Uniti, che in 20 anni hanno scatenato 4 guerre con le scuse più fantasiose di dare a noi Russi lezioni di democrazia?”. Una domanda sensata direi.
I Russi sono tornati a sentirsi potenti dopo 20 anni di umiliazioni. In un colpo solo hanno indebolito la Georgia, quello che considerano l’avamposto occidentale nel Caucaso, amputandola di una fetta consistente del suo territorio e rendendo più complicato il suo ingresso nella NATO.
E’ la seconda guerra consecutiva che vincono a mani basse e questo fatto, unito alla secolare “sindrome d’accerchiamento” di cui soffre la Russia, nel quadro degli equilibri mondiali mette più di un pensiero. Tutti negativi.

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