[DallaRete] Naga – L’essenza del viaggio

romChiaravalle due, è così che lo abbiamo chiamato. Sorge non molto distante dal campo storico di via S. Dionigi, Chiaravalle uno appunto. Si è formato nel 2010. Nel tempo, il valzer degli sgomberi suonato per i quartieri di Milano, ha contribuito ad aumentare il numero dei residenti, così come ora lo conosciamo.

Ricordo che la prima volta era estate. Ci avevano parlato dell’esistenza di un campo rom all’interno di una cascina, dalle parti di Chiaravalle, poco dopo l’abbazia. Così un tardo pomeriggio, decidiamo di esplorare la zona. La vediamo da lontano, parcheggiamo e ci dirigiamo a piedi. Non trovando altre vie d’accesso, entriamo scavalcando da una delle finestre senza vetri. Quasi riusciamo a farci male. All’interno l’edificio è fatiscente, inabitato. Destreggiandoci fra le macerie ne usciamo. Una vecchia barca arrugginita sopra un piedistallo, domina il cortile che si apre davanti a noi, ma il benvenuto ce lo riserva la visione di un cancello aperto che abbraccia comodamente la strada. Ancora qualche metro in più e saremmo potuti entrare da lì. D’altronde che esplorazione sarebbe senza un pò d’avventura…

Il cancello merita un approfondimento. Aperto, ma con un blocco di cemento che ne ostruisce l’accesso. Non tanto, ma quel che basta ad impedire al nostro camper di entrare. Un bell’inconveniente, dato che tutte le volte dovevamo parcheggiarlo poco lontano e con l’occorrente in mano, dirigerci a piedi. Un inconveniente che sa di fortuna, perché per effettuare le visite mediche, ci ospitavano in casa. Ad ogni uscita una casa diversa. Le parole scambiate, il pane accettato con qualche imbarazzo, solo per la paura di toglierlo a loro. Un calore e un’intimità che non si sarebbe mai creata altrimenti. E’ questo a renderlo unico rispetto a tutti gli altri campi irregolari dove andiamo. Di solito sono i rom che vengono da noi. Uno alla volta salgono sul camper per essere visitati dal medico, mentre chi aspetta si intrattiene con i volontari di turno che sono in accoglienza.

Una volta, al posto di adibire una sola casa a studio medico, le visite le abbiamo fatte direttamente a domicilio. Ci addentravamo in un labirinto fatto di casette costruite una accanto all’altra, sotto una tettoia di legno. Era buio e la luce filtrava fuori dalle finestre, mentre il profumo della cena riempiva l’aria. A volte è sconveniente avere un uomo in casa, così quella sera l’ho passata tutta all’aperto. Era inverno e ogni tanto qualcuno usciva a prendere una boccata d’aria fresca. “si muore di caldo là dentro!”.

…e tu nel mentre saltelli. Così, giusto per rimanere vivo.

Non sei mai solo però, c’è sempre qualcuno con cui parlare. Mario ha dieci anni e ama giocare a calcio, gioca con i suoi amici in un parco vicino al campo. Sabato sarà il suo compleanno e mi racconta della festa che lo aspetta. Mi piacerebbe intrattenerli con qualche trucco di magia, ma ancora non ne sono in grado, non gliene parlo. Ionel è arrivato adesso, è  più grande, ha vent’anni, a  breve tornerà in Romania, poi raggiungerà in Norvegia alcuni amici. Spera di poter lavorare lì, purtroppo in Italia è sempre più difficile. E’ con le volontarie che i ragazzi danno il meglio di loro. Impettiti, scherzano dandosi man forte l’un l’altro. Ma mai molesti.

Le chiacchiere sono una componente fondamentale. Che si facciano in casa o fuori. In estate è più piacevole stare all’aperto, la luce che tarda a scemare fa anche in modo che si raggruppi più gente. Fra questi c’è Gheorghe. Gestisce il campo, è lui che ha i contatti con la proprietà della cascina. Aspetta di essere visitato, è affetto da disturbi cardiaci, con precedenti interventi di by pass, la sigaretta fra le dita e ripete, ridendo, che il suo è mal d’amore…!?

Il clima è sereno, Gheorghe particolarmente ispirato. Così fra chiacchere e risate, decidiamo di organizzare una festa, dopo le ferie, a settembre. Quella volta abbiamo passato il resto della serata ad organizzarla. Rientrando a piedi verso il camper, eravamo tutti esaltati.

Ora il cortile è in silenzio, non perché sia deserto, anzi. La polizia, la protezione civile insieme a rappresentanti del comune, ne occupano una buona parte, si organizzano, scherzano. Sul retro di un camioncino hanno montato i soliti thermos con the e caffè. Mancano le voci dei residenti, solo una piccola parte sosta a lato del cortile, sono gli ultimi, aspettano le macchine dei parenti, amici, per essere accompagnati nei centri di accoglienza che il comune ha messo a disposizione. Gli effetti personali sono raggruppati ai loro piedi, chiusi in sacchetti o dentro scatole di cartone. Molti sono andati via prima che la polizia arrivasse a sgomberare, altri sono già nei centri. Riconosco una signora, l’ultima volta che l’ho vista era a casa sua, sdraiata sul letto. Riccardo, il nostro medico, aveva riscontrato una grave disfunzione tiroidea. Il giorno dopo avrebbero dovuto accompagnarla in ospedale. E’ seduta in disparte, con lo sguardo rivolto a terra. Un’istantanea nella mente. Una fotografia che non verrà mai scattata.

La luce del giorno illumina il labirinto di casette. Ora è facile orientarsi, il percorso sembra più largo senza l’andirivieni dei rom. Non si sente nessun profumo. Le porte sono aperte, ma non entro. E’ come sbirciare nell’ultimo alito di intimità che ancora resiste, finché non verranno abbattute.

Gheorghe si dirige verso di me. “sei venuto con il dottore?” mi dice scherzando, ma il suo sorriso è tirato, svanisce in fretta. Ci fumiamo una sigaretta quasi in silenzio.

Assistere ad uno sgombero non è mai piacevole. Come volontario di medicina di strada del Naga, purtroppo è già capitato. Raccogli interviste, ti assicuri che tutti abbiano accesso alle strutture emergenziali. L’occhio critico della denuncia. Il Naga è anche questo, dar voce a chi si vuol far tacere, ma oggi non è come le altre volte. Oggi è diverso. A questo campo ero affezionato.

I rapporti si costruiscono nel tempo. Quando succede, quando entri in sintonia con un luogo e con le persone che lo abitano, è allora che scopri l’essenza del viaggio.

«Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone […]. «Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte.»  (Claudio Magris)

 

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