Ore d’aria – Terza puntata

cella_carcereIn questo spazio ci prendiamo un po’ di tempo: quello che si può leggere qui è frutto di un lavoro completamente autogestito da parte di alcuni detenuti all’interno del carcere di Opera di coinvolgimento e di raccolta di scritti e poesie. 

A volte gli autori si firmeranno altre volte no. Ma questo conta relativamente, quello che conta è che delle parole scritte in una prigione avranno una finestra per uscire. E per una volta senza il consueto protocollo di bollettini sulla brutalità delle istituzioni totali o l’assurdità dell’idea che seppellire vivi degli esseri umani serva a redimerli dalle loro colpe.

No, questa volta leggeremo le parole per come arrivano, senza un tema preciso. E per questo ancora più significative perchè parleranno senza filtri. Secondo i codici del linguaggio poetico o del racconto.

Sarà un piccolo spazio che ritaglieremo, periodicamente e senza scadenze fisse, all’interno della vita quotidiana di Milanoinmovimento.

Perchè anche questo per noi è movimento: donne e uomini che non si arrendono all’abbruttimento del carcere e cercano la libertà attraverso la parola scritta e la poesia.

 

Visi pallidi

Visi pallidi,

volti emaciati.

Solchi profondi

sotto occhi dormienti.

Sorrisi tirati

e ragioni valenti.

Svezzati da tempo

dal dolore che marchia,

cicatrici nell’anima

consumata dal tempo.

L’ispida barba

è corazza del cuore,

come aculei taglienti

che proteggono un riccio

da invisibili rapaci

nella tersa notte boschiva.

L’amore non si scalda,

ci manca il calore

di figli, nipoti

genitori e compagne,

di amici, di zii

e di chiunque appartenga

al filo spezzato

del nostro mondo perduto.

Tanta mancanza

ci pesa e ci affligge,

son molte le notti

passate a smaltire,

da svegli o dormienti,

colpe e tormenti.

L’inconscio ci guida

e ci fa attraversare

‘sto deserto di affetti,

un cimitero per vivi.

Tra uno spiro di vita

o un battito d’occhi,

fra cinque, dieci o quindici inverni

potremo riposare

al tiepido sole.

Cantare e ballare

divertirci e trescare

alla soffusa luce

dell’alcova di casa.

Intanto viviamo,

camminiamo e sbraitiamo,

litighiamo e sfoghiamo

il pesante castigo.

Ridiamo, ci abbracciamo,

tramiamo e giochiamo.

Chi prega, chi palestra,

chi legge e chi scrive,

chi napola e chi briscola,

chi chiude normale

e chi chiude in mano,

chi cavalca al tramonto

dando un matto in due mosse.

Chi parla troppo

e chi non parla per niente,

chi cucina e chi lava,

chi lavora e chi ozia.

Siam riuniti qui tutti

in attesa di uscire

dal grigiore del limbo,

dal purgatorio terreno.

Si può nascere di nuovo,

non morire due volte,

rialzarsi e tornare

a guardare la vita

dritta negli occhi

con rinnovato vigore

e distinto ardimento.

I colori,

i suoi gusti,

le albe e i tramonti,

il mare e i monti.

Oh vita mia,

qui ti rincontro,

in questo esilio forzato,

in questa sorda freddezza.

A.B.

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