«Non c’è alternativa, dobbiamo lottare», Greta infiamma Torino
Cinquemila persone ascoltano in piazza Castello l’attivista svedese:«Cosa faremo o non faremo da oggi cambierà il futuro».
In un pomeriggio di finto inverno, ieri mattina una tenue nevicata ha ricordato per poche ore che cosa era dicembre un tempo, l’attivista svedese Greta Thumberg ha parlato in piazza Castello a Torino, solo pochi giorni fa «sede» degli stati generali delle Sardine torinesi e non solo.
Scortata da un servizio d’ordine degno di un capo di Stato, la sedicenne che recentemente è stata riconosciuta come «persona dell’anno» dalla rivista Time ha parlato a una folla composita, ultra intergenerazionale, entusiasta. Un variegato mondo che mescola bambini, anziani e ragazzi di ogni estrazione sociale: questo è il popolo di Greta che attende sopratutto parole di speranza e orgoglio.
Il suo intervento dura pochi minuti – parole stranamente non amplificate, le uniche dei molti interventi che si sono succeduti, sentite dunque solo da coloro che sono nelle prime file – in cui Greta Thumberg ha ribadito la denuncia che il movimento Friday for Futere muove alla classe politica globale, accusata di immobilismo sul problema dei cambiamenti climatici.
«Non c’è un’ alternativa – ha detto alle circa cinquemila persone presenti – dobbiamo continuare a lottare. Non possiamo più dare per scontato il domani, noi giovani vivremo quel domani. In meno di tre settimane entreremo in una nuova decade, che deciderà il nostro futuro. Cosa faremo o non faremo cambierà il futuro. I nostri figli e nipoti vivranno in quel futuro. Dobbiamo assicurarci che il 2020 sia l’anno dell’azione. Siete con me?»
La folla applaude e giura che sì, loro ci saranno. Bambini vengono caricati sulle spalle di papà e mamme, adolescenti ascoltano attenti, vecchi compagni si aggirano fiduciosi e sospettosi esattamente come hanno fatto appena tre sere prima nella gigantesca piazza delle Sardine. Per molti, se non per tutti, è la seconda manifestazione politica della settimana.
Si canta «Bella ciao», in una versione leggermente rivisitata in chiave ecologista, mentre ognuno alza il suo cartello che rivendica una lotta, un’appartenenza, una visione. Ci sono anche diversi No Tav, che su uno striscione rosso chiedono a Greta di dire «no» alla Torino-Lione, recentemente bollata dal movimento della val Susa come «crimine climatico».
Potrebbe finire così, con un fenomeno globale trascinato via da piazza Castello da almeno cinquanta poliziotti: la povera Greta Thumnerg non riesce a stringere la mano dei tanti che si protendono verso di lei, quasi sempre giovanissimi, tanta è la distanza che le impongono dal suo popolo.
Un servizio d’ordine sovradimensionato, che pare perfino intimorire la giovane attivista che avanza con timidezza.
Forse la parte più emozionante del pomeriggio sono i Friday for Futere torinesi che hanno portato a Torino la fondatrice di un movimento planetario.
Quattro o cinque giovani, non più di diciotto anni, quando la piazza si trova nel culmine dell’attesa scandiscono degli interventi molto duri e competenti, entrando a gamba tesa su un piano reale scomodo. Parlano di «grandi opere», argomento tabù da queste parti, partendo dal Tap – il gasdotto che impatterà sulle coste pugliesi e sulla dorsale appenninica, recentemente confermato dal governo M5s- Lega – poi affrontano duramente il tema delle trivellazioni in mare e concludono con un pesante attacco all’Eni, di cui evidenziano il controllo pubblico, e quindi politico, che giudicano con parole pesanti. La folla ascolta e applaude.
Giunge poi il momento di mettere la città di fronte alla realtà: «Torino è la città più inquinata d’Europa e questo porta morte ed una contrazione dell’aspettativa di vita«. In prima fila c’è la sindaca Chiara Appendino.
Concludono, dato che si trovano a pochi metri dalla sede del governo regionale, raccontando il loro incontro con «politici della regione Piemonte» – par di capire della maggioranza- che avrebbero semplicemente negato l’esistenza del riscaldamento globale.
Tra un intervento e l’altro non lesinano di strapazzare i giornalisti presenti, e non solo, perché «non portano in prima pagina tutti i giorni» la crisi climatica.
di Maurizio Pagliasotti
da il Manifesto del 14 dicembre 2019
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