Cosa succede al San Paolo e al San Carlo? Le convulsioni della sanità lombarda
“Il più grosso problema di Fontana
in questo momento ha un nome e un cognome:
operatori sanitari”.
Iniziamo questo articolo citando una frase abbastanza lungimirante di qualche mese fa di un giornalista di Radio Popolare.
Sì, perché in questo momento, al netto di tutte le considerazioni sull’agibilità politica e la possibilità di mobilitarsi in piena pandemia, sembra che gli scossoni più preoccupanti per potere della destra in Lombardia stiano venendo dal mondo dei lavoratori della sanità.
Scricchiolii che creano molta apprensione se si pensa che da almeno 25 anni il comparto sanitario è il regno incontrastato del potere ciellino-leghista (Formigoni-Maroni-Fontana) nonché gallina dalle uova d’oro, nonché strumento di creazione di consenso politico e voti.
Proprio per questo motivo le dimissioni di Gallera (che dopo più di 20.000 morti sarebbero un atto dovuto) non arrivano. Perché queste provocherebbero un immediato effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. Nonostante questo, sotterraneamente e sottotraccia, le redini della gestione stanno tornando nelle mani dei manager ciellini di osservanza formigoniana visto che la Lega sembra non essere riuscita a creare una classe dirigente all’altezza nonostante il 30% preso alle ultime regionali del 2018.
E allora, citando Manzoni, meglio “sopire e troncare”, e dove non si può, reprimere. Reprimere come è già successo al Pio Albergo Trivulzio che si è trovato nell’occhio del ciclone durante la prima ondata e dove, a seguito delle denunce dei lavoratori sulle condizioni di lavoro, sono piovuti i procediementi disciplinari.
L’ultima “bomba” esplosa in ordine di tempo è quella degli ospedali San Paolo e San Carlo di Milano.
E’ bastata una lettera a uso interno firmata da 50 medici e finita sulla stampa ad accendere la miccia di uno scontro che covava da tempo.
Bisogna ricordare che fino all’inizio del 2020 la Regione Lombardia aveva in progetto di chiudere i due ospedali per fare spazio a un’unica struttura e contro questo progetto sciagurato (e superato, speriamo, dai fatti) la cittadinanza si era già mobilitata.
Ma cos’è successo esattamente in questi giorni agli ospedali San Paolo e San Carlo?
Cerchiamo di fare una ricostruzione cronologica.
-Il 19 novembre viene pubblicato sul Fatto Quotidiano un articolo in cui viene riportato quasi integralmente il testo di una lettera firmata da 50 tra medici d’urgenza e rianimatori che afferma:
“In assenza di queste risorse critiche, ci vediamo costretti a operare scelte relative alla possibilità di accesso alle cure, che non sono né clinicamente né eticamente tollerabili. Contro la nostra volontà e, soprattutto, contro la nostra coscienza umana e professionale”
Nella stessa giornata una nota dei direttori dei Dipartimenti Emergenza Urgenze e Pronto Soccorso e Anestesia e Rianimazione si dissocia duramente dalla lettera affermando che nonostante la pressione sulle strutture mai è stata negata l’assistenza più indicata ai pazienti.
-Il 22 novembre il Direttore Generale delle strutture Matteo Stocco dopo aver annunciato un audit interno (una sorta di inchiesta interna sulle cartelle cliniche) contestualmente rimuove dall’incarico Francesca Cortellaro, capo del Dipartimento di Emergenza e una delle due persone che aveva firmato la nota di risposta alla lettera dei 50 medici.
Il Fatto Quotidiano afferma però che la stessa Cortellaro, in una mail interna del 26 ottobre denunciava la situazione esplosiva dei pronto soccorsi dei due ospedali con la frase assolutamente esplicita:
“In tale contesto non siamo in grado di garantire le cure ed assistenza adeguate ai pazienti”
Lo stesso giorno all’interno delle strutture inizia a girare una contro-lettera (ampiamente pubblicizzata dall’ufficio stampa dell’Asst) che dichiara che, compatibilmente con l’emergenza, tutto andrebbe bene e tutto sarebbe stato fatto nel migliore dei modi…
La contro-lettera perde però la sua forza di fronte alla potentissima immagine che inizia a girare su social e media di un operatore sanitario che espone sul tetto del San Carlo uno striscione con la scritta: “Né eroi, né codardi!! Personale in stato di agitazione”.
Del resto, citando le parole di un infermiere di una delle due strutture di cui stiamo parlando:
“Vogliono che a tutti i costi portiamo noi il peso di far uscire il paese da questa situazione, indifferenti a cosa dobbiamo sopportare”.
Sì, perché con la vicenda del livello di servizio prestato nell’emergenza dai due ospedali (e che prosegue anche il 23 novembre) va a intrecciarsi anche la questione sindacale con un comunicato durissimo firmato da Cgil, Nursing Up, Usb e Usi che chiede la destituzione della direzione delle strutture. A questo si aggiunge il comunicato del Comitato di difesa della sanità pubblica Milano città metropolitana del sud-ovest prontamente rilanciato dalle realtà autogestite di Milano Sud che si schiera dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici dichiarando il sostegno allo stato d’agitazione in corso e allo sciopero indetto per il 14 dicembre.
La battaglia sulla sanità è insomma un terreno di scontro importante in Lombardia perché, come già detto, rischia di produrre effetti devastanti sul pervasivo potere della destra in regione.
Del resto, anche la vicenda dei 450 euro chiesti dal San Raffaele per le visite domiciliare ha creato più di un’insofferenza in una popolazione abituata da anni a dare per scontata e quasi “naturale” la perversa commistione tra sanità pubblica e privata.
Continueremo quindi a seguire la vicenda.
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