Che succede a Rosarno? Accenni sullo stato di salute dell’agrumicoltura calabrese.
Di Rosarno troppo spesso si ricorda solo la rivolta. Tra meno di due mesi forse rievocheremo il terzo anniversario di quel Gennaio del 2010, riesumando dalla memoria qualche frammento dei telegiornali nazionali. Ma quei fatti e quelle immagini rappresentarono soltanto l’epicentro – mediatico, soprattutto – di un fenomeno ben più complesso, che ha radici profonde e intrecci di cause ed effetti difficili da districare e che riguarda la situazione complessiva della Piana di Gioia Tauro e della Calabria in generale.
Questo è il primo di quattro articoli che usciranno a cadenza settimanale a partire da oggi. Non potremo forse cogliere le cause profonde dell’attuale stato di salute dell’agrumicoltura calabrese, ma vogliamo tentare di aprire delle finestre tematiche che ci permettano quantomeno di focalizzare i nodi cruciali della complessa situazione. Lo sfruttamento dei braccianti, il crollo del mercato delle arance, le speculazioni (legali!) sul territorio e i traffici malavitosi continuano e peggiorano di anno in anno, anche se ce ne accorgiamo solo durante le emergenze.
Che succede oggi a Rosarno? Abbiamo provato a farci un’idea attraverso le testimonianze dei militanti di Africalabria, un’associazione di braccianti stranieri e abitanti del posto che si occupa di lavoro, diritti e socialità multietnica. Insieme alle immagini riprese delle Brigate di Soldiarietà Attiva, un’associazione nazionale che ha seguito diverse vicende di braccianti da Nardò a Foggia, abbiamo ricostruito alcuni filoni tematici, dall’accoglienza per i lavoratori alla vita nei casolari, dalle cooperative-truffa all’abbandono delle campagne, per arrivare infine ai progetti che questi ed altri soggetti sociali stanno iniziando a realizzare con l’aiuto di reti di solidarietà sempre più estese.
Parte I: L’agrumicoltura che scompare
La Calabria è il primo produttore nazionale di clementine e mandarini da tavola o destinati all’industria delle essenze. Questi frutti rappresentano il perno economico dell’agrumicoltura della Piana di Gioia Tauro, si potrebbe quasi dire che la Calabria ne abbia il monopolio. È per questo che anche nella crisi la loro raccolta continua a dar lavoro, anche se in continua diminuzione.
La raccolta delle arance è invece ormai al crollo. Nelle campagne intorno a Rosarno centinaia di aranceti restano abbandonati o sottosviluppati. L’economia agrumaria di tutta la Calabria vive ormai da decenni un processo di impoverimento e di progressiva scomparsa, che riguarda anche le colture più fortunate e che fonda le sue radici nelle speculazioni del mercato e in lunghe storie di cooperative e finanziamenti pubblici che si sono resi terreno fertile per i traffici della malavita organizzata. Ne sono stati esempi le cosiddette “arance di carta” delle cooperative dai conti gonfiati, o le truffe ai danni dell’Inps per la registrazione di migliaia di contratti a falsi braccianti.
Un produttore di arance spende circa 38 centesimi al kg per la lavorazione e la raccolta del frutto, oltre ai costi di gestione aziendale. La grande distribuzione e le industrie di trasformazione acquistano a prezzi che oscillano tra i 25 cent/kg (per esempio la Coop) e gli 8 cent/kg (per esempio la Coca Cola, che fu protagonista l’anno scorso dello scandalo sollevato dalla rivista inglese The Ecologist). E’ chiaro che questo tipo di sistema impedisce al piccolo produttore non solo di avere un ricavo dignitoso dal proprio lavoro, ma anche soltanto di sostenerne le spese se non ricorrendo allo sfruttamento di manodopera a basso costo.
Gli appezzamenti nella Piana sono relativamente piccoli e le proprietà si distribuiscono su un territorio frammentato, la cui storia risale alla suddivisione degli aranceti a conduzione familiare di un tempo. Oggi però ai piccoli produttori costa di più produrre e vendere le arance che abbandonare la coltivazione. La soluzione più semplice è lasciare che il commerciante rastrelli il prodotto direttamente sulla pianta, aprendo la strada alle economie di scala in cui gli interessi della GDO s’alleano con quelli dell’impresa speculativa locale, criminale e non.
Un po’ di numeri
Il comparto della Piana, con 5.207 aziende agrumicole, investe una superficie di circa 7 mila ettari e produce 207mila tonnellate di arance l’anno con un potenziale produttivo di 517mila quintali di succo. Nel suo rapporto economico finanziario 2012, Ismea fissa a 0,51 euro il valore medio degli agrumi all’origine, a 1,01 all’ingrosso e a 1,39 al dettaglio. Questi dati sono opinabili: calcolare il valore medio degli agrumi significa accorpare valori diversi, per esempio tra diverse tipologie di agrumi che hanno consistenti differenze di prezzo; inoltre quest’anno le clementine vengono acquistate a 20-26 centesimi, la metà dei prezzi indicati da Ismea. In ogni caso è evidente che il costo triplica durante la filiera. In realtà, l’unica fase in cui i prezzi sono aumentati rispetto a 10 anni fa è nella vendita ai consumatori finali (+19% rispetto al 2001).
La Campagna SOS Rosarno
Da qualche anno una rete di produttori, braccianti e autoctoni calabresi si sta impegnando per organizzare la raccolta e la distribuzione etica delle arance e di altri prodotti. Equosud ha infatti lanciato la Campagna SOS Rosarno, che grazie al coinvolgimento di diverse realtà, gruppi di acquisto, associazioni e singoli solidali, riesce a distribuire prodotti a filiera corta in tutta Italia. I circuiti di distribuzione alternativa, anche se ampiamente insufficienti a competere con la GDO, sono un segnale di solidarietà molto utile sia per i piccoli produttori che riescono a immettere sul mercato prodotti che altrimenti manderebbero al macero o che avrebbero difficoltà a vendere, sia per i braccianti che vengono assunti con regolari contratti e possono lavorare in condizioni dignitose.
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