L’ Ilva: un avvertimento per l’Italia
A rimetterci sono in primis gli operai.
Lo stabilimento infatti chiude.
Questa la risposta all’intervento della magistratura in relazione alla contraffazione dei dati sull’inquinamento dell’area.
La chiusura dell’Ilva non finisce con lo stabilimento di Taranto..
Se l’Ilva chiuderà definitivamente, infatti, la tragedia sarà molteplice.
5000 posti di lavoro in un Sud Italia dove il tasso di disoccupazione è alle stelle e la crisi affonda il coltello, e decine di migliaia di posti in tutta Italia.
E’ una vicenda che coinvolge non solo la sicurezza di migliaia di posti di lavoro in tutto il paese, bensì l’economia italiana in generale, in quanto lo stabilimento copriva quasi la metà della produzione d’acciaio nazionale e buona parte di quella europea e riforniva tutte quelle fabbriche legate alla distribuzione di Taranto.
La vicenda dell’Ilva è davvero complessa.
Da una parte il sacrosanto diritto di lavorare con delle condizioni e garanzie sanitarie minime, presupposti che mancavano a Taranto, dall’altra, l’altrettanto sacrosanto diritto al lavoro, a poter sopravvivere in quest’estrema fase di crisi (oggi l’OCSE ha paventato la necessità di possibili ulteriori manovre, Monti accenna con fare vago all’entrata dei privati nella sanità …).
E’ proprio in questo intermezzo che si rischia di rovinare al suolo e rimanere con un pugno di mosche in mano.
Ed il rischio, per gli operai, è alto.
A rischiare, infatti, è sempre chi è motore della società, che porta sulle spalle la responsabilità REALE del lavoro e deve sempre subire la scelleratezza gestionale di chi dirige senza coscienza.
Da ieri, Monti e Napolitano lavorerebbero ad un decreto che tenti di salvare in extremis la situazione.
Siamo in Italia.
Uno degli stabilimenti più grossi e portanti di una parte dell’economia interna versava in condizioni sanitarie pietose con livelli imbarazzanti di inquinamento. Nessuno fa nulla finché non si grida allo scandalo …
Si scandalizzano tutti.
Viene da chiedersi e ipotizzare che,come al solito, la notizia non era cosa del tutto inedita alla classe dirigente.
Viene da ipotizzare che non basterà un decreto per sciogliere il nodo fondamentale in questa storia: diritto al lavoro e sicurezza, anche sanitaria, sul lavoro.
Se la protesta sarà invece capace di cogliere questa crepa e rivendicare i diritti negati per anni, potrebbe essere occasione per la riappropriazione non solo del lavoro e di reddito, ma della qualità della vita, un concetto che nel nostro paese passa sempre in ultimo piano.
Questo perché in Italia stanno mancando letteralmente le basi da cui si dovrebbe partire per rivendicare standard di vita alti, o per lo meno umani.
Se non c’è lavoro, il cibo e la casa, purtroppo la salute e la sicurezza passano in secondo piano.
Per chi pensa quindi che la lotta per il diritto al lavoro all’Ilva sia monca in quanto manca una mobilitazione grossa per il diritto alla salute, deve considerare che questi sono compiti dell’agenda governativa, e non lacune dei singoli lavoratori e operai.
Il fatto che non ci sia questa attenzione è indicativo e tipico di quei paesi che nella vecchia dicitura si sarebbero chiamati “sottosviluppati”, in quanto salute, alimentazione sana e basso livello di inquinamento sono parametri non considerati per la crescita interna.
Questa è l’Italia di oggi.
Ed il fatto che ancora non tutti abbiano perso il lavoro o facciano la fila alla mensa dei poveri, è solo questione di tempo.
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