Patrimonio Comune: proprietà in funzione della città
La congiuntura politica che stiamo attraversando vede lo spazio urbano come il campo di battaglia dove si dispiegano le lotte di tanti movimenti che attraverso l’autogestione e l’autorganizzazione cercano di trovare risposte collettive alla morsa di ferro della crisi economica. La città è il terreno umano per eccellenza dove, al giorno d’oggi, possiamo riconoscere da una parte i sintomi della crisi della democrazia (e in un orizzonte più ampio del “politico”) svuotata di senso dai dispositivi economici globalizzati, dall’altra nuovi germogli di “fare città” i quali diventano veri e propri tentativi altri di ricostruire spazi democratici di libertà.
Lo scenario urbano della città si trasforma sempre più nello spazio umano d’eccellenza dove rinasce la “vera politica” nel conflitto dei rapporti di forza fra due desideri che Machiavelli nei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” aveva indicato nel “desiderio di dominare” e nel “desiderio di non essere dominati”. Pare che la teoria del conflitto ideata da Machiavelli molti secoli fa’ non sia oggi molto cambiata. La città interseca cambiamenti urbani ed evoluzioni della produzione dello spazio che noi tutti viviamo, con forti ripercussioni nei tentativi di riscrittura di un senso nuovo dell’ideale democratico.
Questi movimenti di nuove occupazioni (nati per far fronte alla crisi economica che ci attanaglia) evidenziano pratiche di riappropriazione comune dal basso, costruite nell’orizzontalità della collettività che vive e partecipa alla dimensione democratica collegialmente costruita. L’uso, il riutilizzo e la fruizione di beni dismessi o abbandonati viene rivendicato come diritto anteposto al diritto privato proprietario o al privilegio del godimento privatistico di alcuni beni pubblici demaniali. Com’è noto tanti spazi pubblici abbandonati se non sono lasciati tout-court al degrado sono sottoposti ad una gestione privatistica che non si differenzia in alcun modo dalle modalità attraverso le quali la proprietà privata vorrebbe sottrarsi alla sua “funzione sociale”.
La governamentalità capitalista – come ha ben descritto Hannah Arendt nel libro “Vita Activa” – costituisce un processo di contaminazione e invasione della sfera pubblica; siamo di fronte ad un progressivo dilatarsi del “privato” il quale sottomette – con mezzi dispotici – lo spazio pubblico collettivo al regno delle necessità economiche della competizione. L’universo neoliberista danneggia la dimensione pubblica della città, introducendo l’idea che sono gli interessi economici particolari a dover avere degno spazio di agibilità fra gli uomini e non la costruzione collettiva del “bene comune” di tutte e tutti.
Tante nuove occupazioni (o “liberazioni” di spazi come sono state ridefinite dagli stessi attivisti) in Italia hanno intravisto questi processi e hanno provato ad incanalarli in un progetto politico alternativo. È il caso del Municipio dei Beni Comuni di Pisa che nonostante il rischio del terzo sgombero in un arco di tempo di circa quattro mesi, da tre settimane ha liberato dall’incuria l’ex distretto militare di Via Giordano Bruno riscoprendo nel centro storico della città un polmone verde di circa 7500 metri quadrati da ventanni “sequestrato” dalle forza armate. “Sequestrato” perché l’ex distretto ha svolto per molto tempo il ruolo di spazio demaniale militare, molti pisani infatti hanno fatto la prima visita di leva in questo luogo, poi chiuso per due decenni, diventando il parcheggio personale di diversi militari e loro conoscenti.
Dal 15 febbraio – data dell’ingresso nel Distretto 42 – il Municipio dei Beni Comuni sta subendo una forte mancanza di ossigeno per l’aria pesante di repressione che si sta diffondendo in città. Una repressione del dibattito pubblico, del confronto politico nella pubblica piazza dal quale il Sindaco e la sua Giunta continuano irreversibilmente a rifiutare. Una repressione della quale sono responsabili la maggioranza di CentroSinistra composta da PD e SEL. Le motivazioni addotte riguardano il fatto che con degli occupanti abusivi non si debba discutere. Una motivazione ufficiale del Partito Democratico pisano, che ha paragonato l’illegalità di Berlusconi all’illegalità della disobbedienza civile delle lotte sociali rifiutando la mozione d’ordine del consigliere comunale Ciccio Auletta (Una città in Comune) la quale chiedeva semplicemente di praticare tutti i mezzi possibili per fermare la spirale poliziesca dello sgombero riducendo una questione sociale come quella dell’ex distretto militare a semplice problema di ordine pubblico.
Un’aria pesante costruita ad arte anche dall’assessore di SEL Dario Danti (ovvero colui il quale aveva nelle sue mani la mediazione politica per la questione della precedente occupazione del Municipio dei Beni Comuni: l’ex colorificio toscano) il quale sostiene di aver pattuito un accordo segreto con la multinazionale J-Colors per destinare parte dell’area di Via Montelungo alle attività sociali del Municipio dei Beni Comuni. Una tesi falsa che entra nel dibattito cittadino solamente per il potere mediatico di chi l’ha proferita e diffusa nei quotidiani locali. Falsa per il fatto che è da mesi che il giudice ha disposto l’obbligo per gli attivisti del Municipio di riprendersi le proprie cose rimaste nell’area; falsa perché dopo la rottura dei sigilli e il conseguente sgombero la multinazionale J-Colors non ha mai aperto canali di dialogo in questo senso nonostante la progettualità proposta. Falsa perché la segretezza che oggi viene dichiarata cozza con precedenti dichiarazioni di richiesta di trasparenza nell’ottica di un’urbanistica partecipata attraverso la legge regionale che disciplina la partecipazione della cittadinanza attiva (http://benvenutesinistre.blogspot.it/2013/11/botta-e-risposta-pasquino-danti-sullex.html).
Un’aria pesante costruita ad arte perché tutto questo avviene mentre l’ex distretto militare ribattezzato dagli occupanti “Distretto 42”, ogni qual volta alzi gli occhi, vede una spada di Damocle che pende sulla sua testa: lo sgombero. Un’aria pesante costruita ad arte perché i più alti funzionari dell’Agenzia del demanio a Roma hanno ricevuto una delegazione del Municipio dei Beni Comuni dichiarando ufficialmente che non vi è urgenza di sgombero, ma che servirebbe invece un ruolo protagonista dell’amministrazione comunale la quale continua a nascondere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Un’aria pesante costruita ad arte quando si è perso qualsiasi strumento – tranne una foglia di fico – per difendere le proprie ragioni nel dibattito pubblico, infatti la cittadinanza a Pisa non ha ancora compreso perché l’Agenzia del demanio dialoghi con il Municipio dei Beni Comuni nonostante il netto rifiuto e la criminalizzazione che il medesimo Municipio subisce da chi siede negli scranni della maggioranza in Consiglio Comunale. Una questione però è chiara: l’amministrazione comunale tifa per lo sgombero e lo fa apertamente!
Per questo clima irrespirabile a Pisa e per altre ragioni ben più meritorie giovedì scorso presso gli immobili del Distretto 42 si è tenuto un dibattito alla presenza di Alberto Lucarelli (professore ordinario di diritto costituzionale) e Sandro Medici (Repubblica Romana) con la volontà di discutere gli strumenti che le amministrazioni locali hanno in potere per favorire ed aiutare esperienze politiche nate dal basso come il Municipio dei Beni Comuni.
Il professor Lucarelli ha ricordato l’uso strategico che dobbiamo fare della Costituzione e in particolar modo dell’articolo 42 il quale circoscrive il diritto di proprietà entro i limiti della funzione sociale. Il Municipio dei Beni Comuni infatti mette in discussione la proprietà laddove vi è abuso, laddove vi è strapotere posseduto al giorno d’oggi dalla proprietà (pubblica e privata) proprio per l’inapplicazione del concetto di “funzione sociale”. Le case sfitte e le persone sfrattate, lo stupro del territorio e dell’ambiente, i beni culturali chiusi e abbandonati sono realtà quotidiane che viviamo a causa dell’assoluta protezione che gode l’ideale possessorio della proprietà.
I padri costituenti infatti avevano pensato a dei dispositivi che limitassero l’opulenza dell’accumulazione del capitale e delle rendita, oggi invece l’ideologia liberale, sotto la maschera del riformismo, ha attuato una controrivoluzione snaturando i principi di libertà ed eguaglianza sui quali si sarebbe voluto costruire la nuova Repubblica Antifascista.
Un immobile come l’ex distretto militare abbandonato all’incuria, ai piccioni e ai topi che funzione sociale svolge? Il parcheggio per le forze armate e i loro conoscenti, avendone conservate le chiavi, è forse un utilizzo per il bene della collettività? E se tale “funzione sociale” non è garantita ne applicata, una comunità di persone che vede sottrarsi un suo diritto garantito nei limiti posti costituzionalmente alla proprietà, perché non sarebbe legittimata ad applicarlo nella sua concreta pratica politica? Fin dall’occupazione dell’Ex-Colorificio Liberato il Municipio dei Beni Comuni ha scelto questa via: l’attuazione pratica di principi legittimi inscritti nella Costituzione antifascista non temendo il braccio di ferro del conflitto politico che evidenzia la discrasia fra la legittimità costituzionale e le leggi dell’ordinamento dello Stato.
Le norme del codice civile devono essere reinterpretate alla luce delle norme fondamentali contenute nell’articolo 41 e 42 della Costituzione, secondo le quali “l’iniziativa economica è libera ma non può essere in contrasto con l’utilità sociale” ovvero non può “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e il diritto di proprietà non può essere garantito e riconosciuto dalla legge se non “assicura lo scopo di funzione sociale”. Sandro Medici ha ricordato come a partire dalla sua esperienza nell’amministrazione di un Municipio di Roma abbia praticato ed attuato atti legittimati entro questo solco giuridico-politico, requisendo case sfitte e assegnandole ai bisognosi. Alberto Lucarelli invece citava l’esperienza del Comune di Napoli che ha utilizzato queste interpretazioni del diritto per riqualificare numerosi spazi pubblici abbandonati attraverso il coinvolgimento dal basso della cittadinanza attiva.
In un periodo di crisi economica, sociale e soprattutto in una congiuntura che vede in crisi la legittimità delle medesime istituzioni proprie della democrazia rappresentativa, un’amministrazione comunale ha molti strumenti per ascoltare i movimenti sociali che dal basso rivendicano i propri diritti e chiedono un’espansione orizzontale del potere di incidere e di decidere delle sorti della propria città. Non può solo fermare uno sgombero, ma ha anche in potere di praticare direttamente i dettami costituzionali sottraendo gli immobili pubblici alla speculazione e alla rivalorizzazione finanziaria.
Per concludere: il filosofo e sociologo urbano Henri Lefebvre nel libro “La produzione dello spazio” ha parlato di “urbanistica dei promotori di vendita”, analizzando il processo in cui il valore di scambio dello spazio si impone sul valore d’uso della collettività. In modo particolare egli distingue due concetti: la “rappresentazione dello spazio”, ovvero quei dispositivi predisposti dal potere per definire gerarchicamente la città assegnandola agli speculatori, e lo “spazio di rappresentazione” ovvero la possibilità utopica di immaginare ed iniziare a praticare un’organizzazione spaziale della città che nasca dai bisogni e dai desideri di ciascuno, in modo particolare da chi rimane escluso nella ridefinizione dell’urbano decisa dalle élite economiche e politiche.
Sempre Henri Lefebvre riconosceva con il neologismo che aveva coniato nell’espressione “diritto alla città” la possibilità di agire in comune rimodellando collettivamente lo spazio urbano in cui viviamo. È l’esercizio di quel potere collettivo che viene applicato orizzontalmente ridonando piena dignità alla gestione partecipata degli spazi urbani. Questa opportunità oggi si ridefinisce sempre più nel quadro delle possibilità di rivendicare anche veri spazi di democrazia. È la lotta del Municipio dei Beni Comuni e di tanti altri spazi sociali che da nord a sud mettono in discussione la gestione governamentale neoliberista delle nostre città.