Noi scioperiamo! Report assemblea nazionale 3 Febbraio

L’assemblea nazionale di Non Una di Meno si è riunita ancora una volta, questa volta a Milano, per dare corpo vivo alla tessitura delle lotte che continua da più di un anno.

Nel corso della giornata si sono susseguiti gli interventi delle moltissime assemblee territoriali presenti (e non solo) che hanno ribadito come l’8 marzo sarà un momento in cui continuare a mettere in pratica il passaggio dal #metoo al #wetoogether, dalla forza della denuncia alla potenza della lotta collettiva, iniziato il 25 novembre a Roma. Questo passaggio risponde, anche, alla parola d’ordine dello sciopero femminista che sta animando processi di mobilitazione in moltissimi paesi del mondo, scavalcando i confini per riaffermare non soltanto la dimensiono onnipervasiva del patriarcato, ma anche la transnazionalità delle forme di resistenza e di solidarietà.

Per questo Non Una di Meno rilancia un nuovo 8 marzo di sciopero, che sappia mettere in discussione ogni forma di sfruttamento che agisce sui nostri corpi e sulle nostre vite. Lo abbiamo scritto nel nostro Piano e continuiamo a ribadirlo: la violenza è sistemica e strutturale e combatterla significa anche lottare per la liberazione dalla violenza economica, dalla precarietà e dalle discriminazione e rivendicare strumenti materiali di autodeterminazione. Per questo lo sciopero femminista travalica anche i confini dello sciopero stesso: l’8 marzo sarà uno sciopero dal lavoro produttivo e da quello riproduttivo, uno sciopero politico, sociale e culturale, uno sciopero globale.

Sciopereremo per contrastare le molestie sul lavoro, che non sono un’eccezione (come hanno mostrato i racconti del #metoo), ma la norma di un mondo basato su rapporti di dominio e di sfruttamento e su forme di lavoro sessuato e genderizzato, in cui ogni differenza di genere viene riprodotta e messa a valore. Per questo non pensiamo che si possa tracciare una linea netta tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo: due sfere che si intersecano e che si rafforzano a vicenda, due poli che sfumano l’uno dentro l’altro nelle infinite forme di lavoro gratuito richiesto ad ognun* di noi per ottenere un salario in condizioni sempre più precarie. Se le nostre soggettività sono messe a valore, quindi, è a partire da queste che scegliamo di sottrarci ai ricatti e alle violenza. Lo sciopero femminista, quindi, mette in discussione le modalità classiche di sciopero non per sostituirsi ad esse, ma per potenziarle, immaginando nuovi strumenti di lotta e consentendo di scioperare anche a chi si troverebbe esclusa dal diritto di sciopero.

Già lo scorso 8 marzo, infatti, lo sciopero femminista ha messo in luce la costante e progressiva erosione del diritto di sciopero, riconosciuto soltanto a pochissime forme contrattuali e stretto in molteplici paletti legali. Lo sciopero femminista denuncia queste limitazioni e rilancia, riappropriandosi pienamente, anche in maniera inaspettata, del diritto a sottarsi dal lavoro, da ogni forma di lavoro, per affermare la propria autodeterminazione. Anche per questo, come già nel Piano, rivendichiamo l’esigenza di un reddito di autodeterminazione non come una misura assistenziale, ma come un primo momento di redistribuzione di quella ricchezza che costantemente produciamo e come uno strumento per sottrarci al ricatto di un salario che possiamo ottenere soltanto se sottostiamo alle regole di un mondo del lavoro patriarcale e sessista. In questa cornice è stata lanciata, dal tavolo “terra, corpi, territori e spazi urbani”, la campagna “rigeneriamoci liberamente” per rimettere in discussione, in ogni ambito, i ruoli di genere imposti e rivendicare la depatologizzazione e depsichiatrizzazione dei corpi e delle soggettività che eccedono le norme.

Le modalità di sciopero possibile immaginate durante la giornata sono state moltissime, e molte sorgeranno da qui all’8 marzo, e vanno dall’esporre bandiere sui propri luoghi di lavoro e segnalare il proprio sciopero attraverso #iosciopero, dallo sciopero sessoaffettivo a quello dei consumi. Ma anche la possibilità di rendere visibile e condiviso il lavoro riproduttivo e di cura che viene svolto gratuitamente dentro le case attraverso momenti in piazza che ci permettano di uscire dall’isolamento e dai ricatti, anche affettivi, insieme. Inoltre è stata rivendicata con forza la necessità di mettere in campo pratiche di inchiesta e di autoinchiesta per indagare le forme di violenza e sfruttamento sui luoghi di lavoro, ma anche per mettere in luce forme di resistenza e sovversione. Ogni territorio, infine, declinerà lo sciopero a partire dalle proprie esigenze e dalle lotte esistenti, dando corpo, ancora una volta, al Piano Femminista contro la Violenza sulle Donne.

Sappiamo che questo sciopero è un rischio e una sfida non solo per le condizioni materiali in cui molte di noi si trovano a vivere e che rendono difficile e oneroso lottare. È una sfida anche perché reso ancora più difficile dalla esclusione dal diritto di sciopero per alcune categorie che segue il periodo elettorale: un altro tassello di quell’erosione del diritto di sciopero che denunciamo. Per uscire dall’isolamento che questa frammentazione produce, perciò, è necessario dotarsi di nuovi strumenti e di nuove conoscenze, attraverso un gruppo che possa e sappia mettersi a disposizione di chi vuole scioperare e non sa come farlo (e se può farlo), aggiornando il vademecum sullo sciopero, e dotandosi di strumenti materiali che possano sostenere le spese delle sanzioni che già l’anno scorso si sono abbattute su alcune lavoratrici che hanno scioperato. “si parte e si torna insieme” per noi non è solo uno slogan, ma un tratto distintivo di un’azione politica radicale che agisce nella piena consapevolezza dei rischi che comporta. Non sarà una passeggiata, ma coi nostri tacchi a spillo, scarpe da ginnastica, anfibi, ciabatte e ballerine avremo il passo sicuro perché insieme.

Nel corso dell’assemblea abbiamo manifestato la nostra solidarietà ad Afrin e al popolo curdo in lotta sotto i bombardamenti di Erdogan, con uno striscione che recitava: “le donne in lotta scrivono la storia”. Questo gesto si lega alla forza con cui abbiamo ribadito, in tutta la giornata, che essere femministe significa essere antifasciste, antirazziste e antispeciste, capaci, cioè, di criticare le strutture di dominio e gerarchia in qualsiasi forma si presentino. Mentre discutevamo arrivavano le notizie da Macerata, che con ancora più urgenza ci hanno spinte a rifiutare ogni strumentalizzazione razzista e fascista sui nostri corpi. Con le nostre pratiche femministe rifiutiamo ogni politica securitaria e identitaria e ogni retorica di tutela che nasconde soltanto nuove forme di controllo e oppressione. Per questo lo sciopero dell’8 marzo non può che essere antifascista e antirazzista, e in questo quadro riaffermiamo la necessità di spazi femministi nei nostri territori.

Non accetteremo, infine, strumentalizzazioni elettorali: non vogliamo piccole riforme in un solo paese, ma una trasformazione radicale della società e la sovversione di rapporti di potere che travalicano i confini nazionali. Abbiamo un Piano e non ci fermeremo finchè non lo avremo realizzato.

Anche per questo lo sciopero dell’8 marzo è un nuovo punto di svolta e non un punto di arrivo. Rilanciamo già nuovi appuntamenti: ad aprile saremo a Ventimiglia, a portare solidarietà alle donne che sfidano la violenza dei confini e che incontrano la violenza patriarcale in tutto il loro viaggio inseguendo condizioni di vita migliori; e il 22 maggio, che segna i 40 anni della legge 194 e coincide con la data del referendum per l’aborto in Irlanda, per ribadire che sui nostri corpi decidiamo noi.

L’8 marzo saremo di nuovo nelle piazze e nelle strade, non solo a sottrarci da ogni forma di lavoro e sfruttamento, ma anche a dare corpo ai nostri desideri: ci riapproprieremo dello spazio e del tempo per sperimentare una giornata senza di noi che significa anche una giornata in cui noi stiamo dove e come vogliamo stare.

 

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *