Sulle elezioni in Messico

Elezioni in Messico: brogli e forse qualcosa di nuovo

Il 1° luglio scorso in Messico si sono svolte le elezioni presidenziali e ad urne ancora aperte capi di Stato, primo fra tutti Barack Obama, e stampa internazionale hanno salutato il “nuovo” presidente Enrique Peña Nieto, il macellaio della repressione di San Salvador Atenco.

Secondo il primo spoglio, visto che è in corso il riconteggio del 54,5% delle schede, Peña Nieto è stato votato da 17,5 milioni di messicani, su una popolazione di 100 milioni, con un astensionismo vicino al 40%. In pratica, hanno votato 46 milioni di aventi diritto, ma i principali giornali del mondo occidentale democratico non fanno quasi menzione del dato dell’astensionismo perpetrando la menzogna del “governo eletto” quale espressione della maggioranza del Paese e continuare a dipingere il Messico come una democrazia, magari un poco turbolenta, tutta “nuvole e cielito lindo”.

Anche questa volta Andrés Manuel López Obrador, candidato di sinistra del PRD, è arrivato secondo non superando i 14,7 milioni di voti, ed esattamente come nel 2006 l’Istituto Federale Elettorale (IFE) è travolto dalle accuse di aver manipolato i numeri per favorire un candidato. Ma, a differenza di allora, questa volta le prove dei brogli sono state immediatamente raccolte e diffuse attraverso la rete. Solo un esempio: su 143 mila verbali elettorali controllati, in 113 mila sono state riscontrate irregolarità. Le cifre riportate nelle tabelle fornite dall’IFE non coincidono con i dati originali, e sempre a sfavore di Andrés Manuel López Obrador, che ha chiesto il riconteggio dei voti.

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Le reti e i media alternativi hanno diffuso centinaia di video, migliaia di immagini e testimonianze che dimostrano la mole di irregolarità a favore del candidato del PRI. La vendita di voti in cambio di generi alimentari, denaro contante e addirittura buoni spesa da spendere nella catena di supermercati Soriana è orami documentata tanto che i giornali già parlano del “Sorianagate”, e molte delle persone che hanno venduto il loro voto dietro la promessa di denaro, denunciano alla stampa di non essere ancora state pagate. Milioni di voti sono stati comprati con denaro in contanti e c’è da chiedersi da dove vengano tanti milioni di pesos cash, quando solo pochi individui, se non i narcos, dispongono di tanto contante.

Di democratico e trasparente queste elezioni non hanno nulla, come sostengono i ragazzi del movimento #YoSoy132 che insieme a molti cittadini comuni hanno vigilato sulle elezioni fotografando i tabelloni riassuntivi di ogni seggio per confrontarli con i dati ufficiali dell’Istituto Federale Elettorale (IFE) che, infatti, non coincidono. Centinaia di persone, a costo anche di essere aggredite, con i loro cellulari e macchine fotografiche hanno ripreso e mandato in rete le immagini di militanti del PRI dare fuoco alle urne per impedire il conteggio definitivo delle schede.

Rispetto alle presidenziali del 2006 la cosa più interessante è la mobilitazione della società civile che da subito ha ripudiato il nuovo presidente e il processo elettorale. In Messico sembra essere in atto una presa di coscienza, soprattutto tra giovani e studenti che non accettano più le imposizioni di una classe dirigente che, nel caso del PRD ancora una volta ha usato i movimenti sociali solo come cinghia di trasmissione per le proprie aspirazioni presidenziali, o cementata nell’autoritarismo del PRI che dal 1929 ha messo in atto quella che in America Latina è conosciuta come la “dittatura perfetta”.

E come nel 2006, quando negarono il loro sostegno a Manuel López Obrador, inimicandosi l’intellighenzia di sinistra interessata al potere e alle poltrone e non al vero cambiamento, gli zapatisti non hanno partecipato al circo elettorale. Come da anni gli zapatisti e l’EZLN sostengono e praticano, il voto non cambia la struttura economica, sociale e politica del Messico, e la democrazia non si manifesta nel rito elettorale ma nella partecipazione dei cittadini che si ribellano e si riprendono in mano il proprio destino.

 

 

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