La fantastica signora Maisel, quando il successo si conquista a spinta

Con l’estate che giunge al termine, vogliamo segnalare una serie diventata iconica nel mondo delle piattaforme: La fantastica signora Maisel, un’incredibile successo di cinque stagioni che narra le avventure (e disavventure) di Miriam “Midge” Maisel lungo la sua scalata al successo nel mondo della comicità made in USA tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

È difficile, quasi un’impresa scrivere una recensione organica di una serie così lunga e ricca di spunti, ecco perché daremo solo qualche linea guida per destare l’interesse di chi ancora non si fosse addentrato nella visione.

Si può iniziare dicendo che The Marvelous Mrs. Maisel, con alcune altre produzioni, potrebbe rappresentare l’apogeo (momentaneo o meno sarà il tempo a dirlo) della grande avventura delle serie da piattaforma. Si nota infatti una certa stanchezza generalizzata e, dopo il boom legato alla pandemia che ha costretto in casa per lungo tempo decine di milioni di persone, vi è stata una diminuzione delle produzioni e un deciso taglio dei costi, conseguenti a un calo del numero di abbonati. Il recente sciopero di Hollywood potrebbe aver dato un’ulteriore mazzata a un genere che aveva un po’ il fiatone.

La serie prende il via nella New York della seconda metà degli anni Cinquanta, quando il sogno americano, sotto la spinta di una crescita economica in apparenza inarrestabile e di un ottimismo intaccabile, è più che mai vivo e sembra trasudare da ogni centimetro di pellicola dell’opera di Amy Sherman-Palladino.

Nella prima stagione assistiamo su binari che corrono paralleli al naufragio del matrimonio di Midge, figlia di una famiglia dell’intellighenzia ebraica e liberal della East Coast, con il marito Joel e al suo progressivo emergere come protagonista nel mondo della comicità newyorkese partendo dai piccoli (e sudici) palchi di locali underground per approdare, via via, a spazi più grandi e importanti.

Per Midge il momento di svolta sarà l’incontro con quella che diventerà la sua agente: Susy Maierson. Uno degli aspetti meglio riusciti della serie è proprio la descrizione dell’incredibile rapporto Midge-Susy in un susseguirsi in stile montagne russe di alti, altissimi, bassi e bassissimi tipici di quelle vere amicizie capaci di durare una vita.

Altra colonna portante della narrazione è la lotta per emergere di una donna brillante in un ambiente prettamente e solidamente maschile (e maschilista) come poteva essere quello della comicità nella società americana appena uscita dalla caccia alle streghe del maccartismo. Tutto quello che ottiene Midge deve “prenderselo a spinta” superando come prima cosa i pregiudizi all’interno della sua famiglia che è sì liberal, ma non così liberal quando si tratta del futuro della propria figlia femmina.

Se la strada che porta all’Inferno è lastricata di buone intenzioni, è altrettanto vero che quella che porta al successo è lastricata di quelli che proprio gli americani, con terminologia militare, definirebbero “danni collaterali”. Prime e più grandi vittime della lotta per affermarsi di Midge (e del parallelo percorso nel mondo degli affari legati alla vita notturna dell’ex marito Joel) sono i due trascuratissimi figli: Ethan ed Esther. Tuttavia, la stessa Midge, dotata, oltre che di uno straordinario talento comico, anche di quella fame di gloria che dev’essere nutrita di un necessario egocentrismo, dovrà sperimentare l’altra faccia della moneta della fama vivendo un’esistenza caratterizzata da una certa solitudine che si fa più profonda con il progredire delle stagioni.

Una storia sulle luci e sulle ombre dell’autoaffermazione e dell’emancipazione perfettamente riuscita, quindi, con attori ottimamente calati nella parte, dialoghi efficaci (e spesso surreali o stranianti) e, non da ultimo, colonna sonora e costumi notevoli. E come tutte le grandi serie, il finale lascia l’amaro in bocca…

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