Tre citazioni e altrettanti buoni motivi che vi convinceranno a guardare Fleabag (se non l’avete già fatto)

Solo tre, direte voi. In realtà ci sarebbero molte ragioni per guardare questa serie prodotta dalla BBC, vincitrice in ben due categorie (migliore commedia e migliore attrice protagonista) agli Emmy Awards 2019.

Tra queste, come conferma la premiazione, c’è proprio l’incredibile performance dell’attrice protagonista, Phoebe Waller-Bridge, che è anche la produttrice esecutiva della serie, nonché l’autrice della sceneggiatura teatrale originale da cui la serie tv è tratta. Una sceneggiatura che nel 2013 le è valsa la vittoria all’Edinburgh Festival Fringe.

La Waller-Bridge interpreta una 33enne londinese irriverente, ironica, affascinante e insieme esilarante. Un personaggio così ben definito da non aver nemmeno bisogno di un nome, cosa di cui ci si rende conto solo dopo aver guardato le 12 brevi puntate che compongono le due stagioni tutte d’un fiato. “Fleabag”, letteralmente, significa “sacco di pulci”.

La giovane donna si barcamena nella gestione della sua un po’ triste e trasandata (si scoprirà il perché) caffetteria, aperta con la sua migliore amica recentemente morta in un incidente, le cui circostanze arriveranno a chiarirsi, come una pugnalata nello stomaco, solo nell’ultima puntata della prima stagione.

L’altra metà della sua vita è invece impegnata nel tentativo di gestire la sua famiglia disfunzionale, anch’essa in cerca di un nuovo equilibrio dopo la morte della madre. Abbiamo quindi una sorella maniaca del controllo e insicura, che ha sposato un individuo piuttosto squallido dal quale proprio non riesce a separarsi, seppure ciò significhi azzerare le proprie aspirazioni da donna d’affari di successo. E poi, un padre totalmente anaffettivo, o  meglio, del tutto incapace di esprimere verbalmente i suoi sentimenti e sul punto di risposarsi con la madrina delle figlie, ex-allieva della defunta moglie.

In questa famiglia, pare che la nostra protagonista svolga un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio psicologico di tutti i sui membri: il capro espiatorio. Sono tutti talmente impegnati a spiegarle quanto non sappia vivere la sua vita da non aver tempo per metabolizzare il fallimento della propria. La sua più grande colpa, pare, è l’aver ereditato tutti i difetti della madre, primo tra tutti la tendenza a una forma del tutto inappropriata di femminismo, che si manifesta in forma di testardaggine (per sua sorella Claire insopportabile) a volersi sempre arrangiare nel gestire i problemi personali e di un’innata pulsione e disinibizione sessuale (che la sua madrina/matrigna vorrebbe tanto possedere, ma non può che accontentarsi di millantare spacciandosi per artista libertina).

Dopo la morte della madre e il nuovo fidanzamento, il padre, forse per pulirsi un po’ la coscienza ma anche in segno di “tributo” all’ex-moglie, ha cominciato a regalare alle figlie i biglietti per una serie di seminari tenuti da autorevoli femministe, accompagnati da una visita annuale di controllo al seno, essendo la madre morta di cancro alla mammella.

E qui veniamo alle nostre tre citazioni.

1.

La nostra protagonista e sua sorella Claire sono sedute in una sala congressi, pronte per uno di questi incontri per “brave femministe”. Entra la relatrice che, con appeal da oratrice tipicamente anglosassone, apre il suo sermone con una domanda al pubblico tutto femminile:

“Quante di voi hanno pensato almeno una volta che avrebbero volentieri dato 5 anni della propria vita in cambio del corpo perfetto?”.

Inutile dirlo. Le uniche ad alzare la mano con grande entusiasmo e senza nemmeno pensarci, sicure non solo di essere autorizzate a farlo in virtù del luogo in cui si trovano, ma che sarebbero state in buona compagnia, sono le due sorelle. Che si ritrovano così puntati addosso una ventina di sguardi di sufficienza e giudizio.

E allora, il primo motivo che ci spinge a consigliarvi di guardare “Fleabag” è il suo essere una serie dissacrante. Non si prende sul serio e non prende niente e nessuno sul serio. Se pensate che sia un manifesto al femminismo tout court, allora potrebbe deludervi. O potreste invece trovarvi a riflettere su quanti tipi di femminismo ci possano essere e su cosa voglia dire essere “femminista”.

2.

“Non so…”.
“Non sai quello che vuoi? È normale. Tu…”.
“No, io so cosa voglio adesso”.
“Che cos’è?”.
“È brutto”.
“Non importa”.
“Qualcuno che mi dica cosa indossare la mattina”.
“Ahah, beh, ci sono persone che…”.
“No, qualcuno che mi dica cosa indossare ogni mattina. Voglio qualcuno che mi dica cosa mangiare, cosa amare, cosa odiare, per cosa arrabbiarmi, cosa ascoltare, quale band seguire, che biglietti comprare, su cosa scherzare, su cosa non scherzare. Voglio qualcuno che mi dica in cosa credere. Per chi votare, chi amare e come dirglielo. Io voglio che qualcuno mi dica come devo vivere la mia vita, perché finora ho sbagliato tutto”.

Se sei incasinata, depressa, abbattuta, confusa non sei una donna degna di questo nome. Sei solo una ragazzina immatura, che non sa come si sta al mondo e quali sono le cose importanti.
Se sei forte, ti rialzi sempre dopo ogni scivolone – non importa con quanta fatica e dopo quanti rospi ingoiati – e combatti la tua piccola battaglia giorno per giorno a suon di affilata ironia, beh. Sei immatura e insensibile, non ammetti i tuoi limiti. Sei una ragazzina che non accetta di diventare donna.
“Insomma, in entrambi i casi, non vinci. Se non rispecchi il ruolo femminile che Madre Natura e Papà Società ti hanno assegnato, se esci dagli schemi non sei degna di essere definita donna.
Questa serie si interroga e ci interroga proprio su questo. C’è un modo giusto di essere donna? O è proprio l’idea di “essere donna” a essere sbagliata?

3.

-“Premi alle donne…”
-“ Congratulazioni.”
-“Ah, è solo una stronzata puerile.”
-“Cosa? Non credi sia giusto?”
-“No, è discriminatorio, una sottocategoria del successo. È come sedersi al tavolo dei bambini.”
-“E perché sei venuta?”
-“Sarei passata per una stronza.”
[…]
-“Quanti anni hai?”
-“58. E tu?”
-“33.”
-“Oh. Tranquilla, andrà meglio.”
-“Me lo giuri?”
“Te lo giuro. Sai, ero in aereo l’altro giorno e pensavo… Non osavo dirlo ad alta voce, ma… Le donne nascono con il dolore dentro di sé. È il nostro destino. Dolori mestruali, tette gonfie, il parto… Capisci? Siamo destinate a sentire il dolore per tutta la vita. Gli uomini no, devono cercarselo. Così si inventano qualsiasi tipo di demone per sentire i sensi di colpa, cosa che a noi invece viene del tutto naturale. Creano le guerre per poter provare qualcosa, e quando non ci sono le guerre c’è il rugby. Invece noi sentiamo tutto quanto qui, dentro di noi, continuiamo a soffrire per il ciclo per anni e anni e anni, e quando finalmente impariamo a sopportarlo, indovina un po’. La menopausa, la cazzo di menopausa arriva e quella è… la cosa più meravigliosa del mondo, in assoluto. E sì, l’intero pavimento pelvico cede, senti un fottuto caldo e non interessa a nessuno. In compenso, sei libera. Non sei più schiava, non sei più una macchina con dei pezzi. Sei solo una persona in carriera.”
-“Ah. Credevo fosse un inferno.”
-“È orrendo. Ma poi è magnifico, qualcosa cui aspirare.”

Questa serie è un inno. Un inno alle donne, alla nostra imperfezione così perfetta, alla nostra innata capacità di andare avanti sempre e comunque, nonostante tutto.

Ma è anche un invito. Quello ad abbandonare i sensi di colpa se non riusciamo a entrare nell’abito che ci è stato cucito addosso, a non avere paura di mostrarci troppo fragili o troppo forti, troppo felici o troppo tristi. A fare del sorriso un’arma e non una maschera. Ad accettarci come siamo, a non auto-sabotarci, a non punirci incolpando la sfortuna o il patriarcato. Un invito a essere noi stesse, a essere fiere di essere donne e di portare dentro di noi tutte le sfumature che questo può significare.

Come diceva una donna molto saggia: “Ringrazio dio di avermi fatta donna, non avrei voluto nascere in nessun altro modo!”.

S_M

 

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