Caro DIS, ti scrivo…
Ti scrivo perché nella tua relazione 2012, pubblicata settimana scorsa, parli di me. Parli di me mettendomi tra camorra, Al Qaeda, cybercriminali cinesi, spie industriali, nazisti dell’Illinois.
Parli di me quando dici che “l’incremento delle difficoltà occupazionali e delle situazioni di crisi aziendale potrebbe minare progressivamente la fiducia dei lavoratori nelle rappresentanze sindacali, alimentare la spontaneità rivendicativa ed innalzare la tensione sociale”. Certo, la crisi è un problema, e causa problemi tutti i giorni a milioni di lavoratori, studenti, precari. Ridurre questi problemi a ordine pubblico, però, è pericoloso. È pericoloso e sbagliato: se la crisi e l’austerity alzano la tensione sociale, la soluzione non è reprimere la tensione sociale, ma invertire la rotta sulle politiche economiche. Se licenziamenti e riduzioni dei salari mettono in mezzo alla strada i lavoratori, la soluzione non è manganellarli più forte, ma evitare licenziamenti e riduzioni.
Parli di me quando parli dei NoTav, quando dici che “la protesta, già connotata in chiave ambientalista e antigovernativa, ha assunto una specifica valenza nell’ottica antirepressiva, a seguito dei numerosi arresti di attivisti no Tav”. È vero. Ma, ancora una volta la soluzione non è arrestare sempre più NoTav, la soluzione non è assurde carcerazioni preventive, processi nelle aule bunker, pene spropositate. La soluzione, mi spiace, non è nemmeno recinzioni e gas CS.
Parli di me quando, partendo dal Tav, dici che ”ulteriori fermenti di lotta si registrano contro la linea Verona-Brennero, in Trentino Alto Adige, e la tratta Genova-Milano, nell’ambito del progetto denominato Terzo Valico per la linea Genova-Rotterdam. Ciò a testimonianza di una contaminazione dello schema contestativo anche in relazione ad altri interventi infrastrutturali che interessano il Paese”. Lo schema contestativo NoTav si amplia a tutte quelle opere realizzate, proprio come il Tav, dall’alto, senza alcun rapporto coi territori, cementando con l’aiuto delle mafie. Forse è colpa nostra, certo. O forse è colpa di come sono state progettate e messe in cantiere queste opere, che non a caso causano reazioni identiche sui diversi territori che vanno a colpire.
Parli di me quando dici che abbiamo “focalizzato l’impegno propagandistico sulla crisi economica, considerando la difficile congiuntura come un’occasione propizia per il rilancio della ‘lotta di classe‘”. Però la crisi per me non è propaganda, non è una “scusa” per allargare il numero dei miei amici. La crisi è la realtà di tutti i giorni in Italia, e se la congiuntura rilancia la lotta di classe, io ne sono contento, ma non è “colpa” della propaganda, semmai dell’austerity.
Insomma, caro DIS, mi compiaccio che io e te vediamo gli stessi problemi, là fuori. Ecco, forse dovresti fare ancora qualche passo per capire quali sono le soluzioni, perché il tuo mantra “reprimere, reprimere, reprimere” non ha dato grandi risultati. Ma niente paura: ti allego qui sotto il mio rapporto sul 2012, da confrontare col tuo per aiutarti a capire meglio cosa intendo…
«La lettura degli avvenimenti susseguitisi nel corso del 2012 consegna alla storia un anno caratterizzato dall’acuirsi di alcuni fenomeni già tipicamente presenti sul territorio italiano il cui grado di intensificazione sembra volere prendere un andamento esponenziale, i.e. repressione.
Uno il principale processo di vasta portata che ha inciso su tale scenario: il costante aumento del dissenso cui ha fatto seguito una progressivo interscambio tra i poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, informativo e, non ultimo, finanziario.
Tre gli ambiti in cui si è in prevalenza espressa questa azione coordinata, seppur non sempre efficiente: la consueta e scenografica repressione di piazza, le aule dei tribunali e i media di maggior tiratura.
Repressione di piazza
Frange sempre più estremiste, apparentemente legate ai crescenti fenomeni di violenza, di membri delle forze dell’ordine hanno infatti partecipato in diverse occasioni a eventi in cui hanno messo a rischio la sicurezza e l’incolumità della loro controparte. A questi episodi è sempre seguita, nei modi consueti ma spesso in tempi insolitamente rapidi, la solerte azione dell’apparato investigativo che costituisce quella che potremmo chiamare la “seconda linea” del sistema di dispositivi polizieschi.
Per quanto riguarda la parte per così dire “frontale” dell’operato poliziesco, si è notato il ritorno di una preoccupante tendenza che indica chiaramente un evocazione di miti e stilemi del passato, sempre agognati da diversi esponenti di questi ambienti, con l’utilizzo anche in ambiente urbano di strumenti gassosi di natura lacrimogena. La tendenza, che negli ultimi anni appariva dimenticata, non è da sottovalutarsi, in quanto è chiaro indice della dimensione sempre maggiore che le azioni di questo gruppo, che non è isolato come appare ma anzi ben radicato e con profondi legami anche a diversi livelli delle istituzioni, potranno assumere in futuro.
Al di là di questa nuova tendenza, si sono mantenuti uguali nelle forme, seppure in dimensioni sempre maggiori, a volte addirittura su scala nazionale o europea, i modelli di reazione a manifestazioni e dimostrazioni: manganelli variamente impugnati, cariche di dubbia opportunità, percosse a soggetti immobilizzati e tutto il consueto armamentario di cui l’estetica di questi gruppi si fregia da tempo. Si è accentuata ulteriormente la tendenza dei gruppi più violenti ad agire in difesa di soggetti a vario titolo coinvolti in disegni criminosi di varia grandezza, a volte con l’inclusione delle principali organizzazioni criminali presenti sul territorio nazionale, in particolare nel milanese. Altre azioni, anche se non rivolte direttamente alla difesa di soggetti coinvolti con la criminalità, ne hanno di fatto agevolato gli interessi, specificatamente per quanto riguarda il settore dell’edilizia popolare. Sono tendenze che, alla luce anche dei risultati delle ultime elezioni locali, non potranno che espandersi negli anni a venire, e che probabilmente richiederanno da parte di questo ufficio un alto livello di attenzione e di monitoraggio continuo.
Da sottolineare anche la sempre maggiore diffusione delle azioni tali apparati anche al difuori degli ambiti tradizionalmente ad essi più cari. Calzante in tal senso la riscoperta dedizione alle azioni repressive nell’ambito di feste aggregative musicali in spazi all’aperto o in grandi strutture industriali dismesse. Possiamo in altre parole affermare senza troppe esitazioni che è oltremodo preoccupante il crescente interesse delle forze di polizia per tutte quelle occasioni di ritrovo che se pur non direttamente caratterizzate da una forte politicizzazione, possono costituire una minaccia per l’innescarsi di processi di riflessione, condivisione e azione politica.
Aule dei tribunali
Alle azioni di questi gruppi, quasi in uno schema di causa-effetto bilaterale, sempre si accompagna l’azione di altri apparati noti ai più come Digos e magistratura, in talune fasi operanti attraverso azioni in minor parte volte all’aspetto estetico, in talaltre fasi operanti con un’attenzione non indifferente all’aspetto mediatico, leggi “processi trasferiti nelle Aule Bunker”.
Tali gruppi fungono spesso di fatto da coordinamento delle azioni solo apparentemente spontanee dei gruppi più violenti, i.e. forze dell’ordine. Le azioni, in questo caso, hanno presentato diversi aspetti di novità, dalla riscoperta di strumenti legislativi quali il reato di devastazione e saccheggio, all’adozione di tempistiche sempre più rifinite, ottimizzate e adeguate a calendari quali quello studentesco.
Molte delle istanze di questo apparato sono ancora nel pieno svolgimento del loro corso, ed è al momento impossibile stabilire in che direzione si evolveranno e in che modo andranno ad influenzare le dinamiche tanto interne all’apparato quanto l’interscambio con la repressione di piazza. L’attenzione su questi aspetti sarà quindi massima e si baserà su una presenza massiccia e riconoscibile ogni qualvolta si manifesterà la presenza di questi atti. Ci riserviamo di servirci di consulenti esperti, esterni ma vicini al nostro ufficio, per una più efficace azione di contrasto e limitazione dell’apparato secondario.
Media e spettacolarizzazioni.
Per quanto riguarda l’attenzione all’aspetto mediatico, riteniamo sia da notarsi la scelta dei luoghi in cui questi gruppi scelgono di celebrare i loro minacciosi riti: sempre più spesso infatti si tende a una voluta spettacolarizzazione e alla scelta di luoghi altamente simbolici ed evocativi, le c.d. “aule bunker”, nella speranza di ottenere un effetto intimidatorio nei confronti della controparte, ma anche di evocare furbescamente nel pubblico il panico e le reazioni di distacco solitamente associate a chi frequenta abitualmente tali luoghi.
Allargando invece il punto di vista, appare evidente la collusione di molti, se non tutti, gli organi di stampa a maggior diffusione con questa cricca di facinorosi. Non mancano infatti, nei giorni immediatamente successivi ai fatti più incresciosi e cruenti che li vedono coinvolti, articoli, articolesse e c.d. “inchieste” che altro non sono se non vere e proprie “pezze giustificative” per questi gruppi, che di fatto vantano da parte del mondo dei media una copertura senza eguali nè precedenti. Questo criminoso intreccio tuttavia non si limita alla copertura e alla giustificazione delle azioni violente, effettuate sia dal primo che dal secondo livello repressivo: appare evidente come diversi articoli sembrino, di fatto, “dettati” dai grigi interni delle questure più buie della penisola, e pubblicati senza alcuna remora, verifica o controindagine. Non esitiamo a definire questo come un “terzo livello” della repressione, da tenere particolarmente sotto controllo in quanto subdolo e poco appariscente, ma di straordinaria efficacia se non contrastato adeguatamente. Tra gli strumenti che principalmente ci sentiamo di indicare per un più efficace contrasto di questa deriva, la lettura assidua di media indipendenti e liberi.
La nuova frontiera finanziaria internazionale.
Analizzando congiuntamente l’azione dei tre diversi e complementari livelli di questa repressione, non si può non notare come il loro agire appaia sempre più come l’emanazione, più o meno diretta, di precise e segretissime direttive sovranazionali originate da luoghi che tendono a coincidere con le concentrazioni di potere finanziario ed economico sul continente. Questo aspetto sovranazionale rappresenta la vera novità in atto, in quanto mentre precedentemente i dispositivi venivano applicati su scala nazionale in nome di interessi prettamente caratteristici dei soggetti che di volta in volta si sono susseguiti al potere, a un apparente cambio nella governance di questi poteri (sempre più svuotata, a livello nazionale) è corrisposta una modifica degli interessi da tutelare e delle centrali da cui si emanano gli ordini. Gli interessi tutelati appaiono sempre più coincidenti con quelli delle cricche terroristiche espressione del mondo tecnoeconomicofinanziario, in una preoccupante spirale che, seppur presente in forma latente già negli scorsi anni, mai si era espressa su questi livelli per quanto riguarda il rapporto col pubblico. Sempre più, infatti, le azioni repressive avvengono a difesa degli assi tracciati da queste pericolose e ancora poco indagate organizzazioni sovranazionali (qualora non esplicitamente sovralegali), e si concretizzano nella messa in pratica diretta delle loro direttive sul territorio, in nome di principi riassumibili nel tristemente noto concetto di “austerity”, nella cui applicazione e difesa l’apparato repressivo si mostra ogni giorni più abile e spietato, ma sempre efficacemente ostacolato dai nostri emissari.