Elezioni USA: ci siamo
E così ci siamo.
A breve sapremo chi siederà alla Casa Bianca per i prossimi 4 anni.
Qui una breve carrellata delle presidenze americane negli ultimi 40 anni.
Un grande anno di cambiamento per gli Stati Uniti, dal punto di vista simbolico e non solo, sono le elezioni presidenziali del 1968.
Elezioni che vedono la risicatissima vittoria del repubblicano Richard Nixon di fronte ad un Partito Democratico diviso e scosso dalle contestazioni dell’ala radicale e pacifista (proprio la Convention democratica del ’68 a Chicago era stata teatro di violentissimi scontri di piazza).
La vittoria di Nixon pone di fatto fine al trentennio progressista e keynesiano negli Stati Uniti. Un periodo iniziato nel 1932 con la vittoria del democratico Roosvelt alle presidenziali.
Un periodo partito con la Grande Depressione che porterà negli Stati Uniti riforme sociali mai viste e che mai più si vedranno. Riforme iniziate col New Deal roosveltiano proseguite sotto Kennedy e terminate
col progetto di “Grande Società” di Lyndon Johnson. Strano e contraddittorio personaggio Johnson. Fautore della guerra in Vietnam e pragmaticamente progressista in politica interna. Texano e
democratico allo stesso tempo, dopo aver firmato l’ennesima legge sui diritti civili pronunciò una celebre battuta: “Con questo ci siamo giocati il Sud per una generazione”. E fu così Il Sud da roccaforte
democratica (i bianchi poveri erano fedelissimi sostenitori del partito dell’asinello) divenne roccaforte repubblicana.
Ma torniamo al 1968.
Con la vittoria di Nixon, prima timidamente, ma poi, via via sempre più impetuosamente, iniziò a spirare il vento della controrivoluzione neo-liberista.
Le più grandi “imprese” di Nixon e del suo geniale (diabolicamente geniale) Segretario di Stato Henry Kissinger, sono quasi tutte a livello internazionale. Sarà Nixon a porre fine alla dispendiosa guerra del Vietnam che verrà poi vinta sul piano economico, tanto che a 40 anni di distanza, gli
Stati Uniti sono il più grande partner economico del Vietnam comunista. Sarà Nixon col golpe in Cile a porre la parola fine alle speranze di rinnovamento in America Latina dando il via ad un altro trentennio di dittature ed oligarchie rapinatrici.
Sarà Nixon a far saltare gli accordi monetari di Bretton Woods slegando il dollaro dall’oro e permettendo una folle politica di emissione.
Sarà Nixon infine, ad immettere il gigante cinese nell’arena del capitalismo internazionale creando un nuovo, gigantesco mercato dalle immense potenzialità e spingendo la Cina contro l’Unione Sovietica.
Dopo lo scandalo del Watergate e la parantesi incolore di Gerald Ford e del democratico Carter, ecco arrivare in scena un altro pezzo da 90 conservatore: si tratta di Ronald Reagan.
Ferocemente anti-comunista tanto da definire l’URSS come “Impero del Male” fu un alfiere delle politiche liberiste.
Taglio delle tasse (soprattutto per i più ricchi), privatizzazioni, politica anti-sindacale, tagli alla spesa sociale ed aumento delle spese per gli armamenti.
In Europa gli epigoni di Reagan furono Margaret Thatcher in Gran Bretagna ed Helmut Kohl in Germania. In Italia, i primi promotori della nuova vulgata saranno il socialista Bettino Craxi e gli eterni democristiani (ma in Italia le politiche neo-liberiste troveranno massima legittimazione negli anni ’90 con l’uno-due Amato-Ciampi).
A Reagan seguì Bush senior, ex-direttore della CIA ed esperto di geopolitica.
Sotto la sua presidenza si è assistito al crollo del socialismo reale e dell’avversario strategico sovietico.
In aggiunta a ciò, con la prima guerra contro l’Irak, gli Americani si sono insediati in una zona di interesse strategico fondamentale come il Golfo.
La riconferma di Bush senior viene però minata dalla recessione dei primi anni ’90 ed inaspettatamente, nelle elezioni del ’92 vince il democratico Bill Clinton.I due mandati di Clinton, ammantati dalla retorica dei diritti umani non si discostano dai dettami dell’ideologia neo-liberista.
La popolarità del presidente democratico degli anni ’90 è determinata da quella che negli States viene considerata l’ultima “età dell’oro”.
Anni di crescita economica guidata dall’esplosione della new-economy.
Anni di arricchimento basati sulla politica del debito, dei mutui facili, della bolla immobiliare e della finanziarizzazione dell’economia.
Insomma, milioni di posti di lavoro creati basandosi su quelle che, 10 anni dopo saranno le cause della crisi.
Sulle elezioni del 2000 si potrebbero scrivere mille libri.
Bush junior, sconfitto in base ai voti popolari, risulterà eletto presidente grazie ai voti determinanti della Florida (governata, guardacaso dal fratello). Il riconteggio dei voti della Florida ha sollevato più di un sospetto (per usare un eufemismo).
L’attacco terroristico dell’11 Settembre permette a Bush ed al suo gruppo di potere neo-conservatore (in poche parole l’immenso apparato militar-industriale) di dispiegare un vero e proprio progetto imperiale
con la crociata della “Guerra al terrorismo”. Nel 2001 si assisterà all’invasione dell’Afghanistan seguito, nel 2003, dall’Irak.
Nonostante l’immenso potenziale bellico americano le due campagne si rileveranno un disastro mettendo in primo piano l’incapacità degli Stati Uniti ad agire come soggetto imperiale.
Il 2008 sarà un anno disastroso per le ambizioni statunitensi. La guerra d’Agosto tra Russia e Georgia porrà fine a 20 anni di “ritirata strategica” del gigante russo ponendo uno stop all’allargameto della NATO. Nell’Autunno la crisi economica esploderà con virulenza.
Ma passiamo ai giorni nostri.
Nel Novembre 2008 Barack Obama verrà eletto presidente.
Si tratta di un evento simobolicamente di immensa portata. Il primo presidente nero nella storia di un paese schiavista e segregazionista.
Se Obama riuscirà ad attuare importanti riforme come la regolamentazione di Wall Street e la riforma sanitaria, non riuscirà però ad emanciparsi dagli obblighi imperiali del dettame liberista. In
politica internazionale si assisterà ad una maggiore attenzione ad una politica multipolare, al ritiro dall’Irak ed all’appoggio (interessato) alle Primavere Arabe. D’altro canto niente chiusura di Guantanamo e niente ritiro dall’Afghanistan però.
Quattro anni contraddittori quindi quelli di Obama.
Tra poche ore ne sapremo di più anche sui prossimi anni.