Il sistema sanitario in USA e la sfida di Obama

A quasi tutti è nota la “particolarità” del sistema sanitario americano.

Particolarità messa bene in mostra dalle serie televisive di importazione dedicate al mondo dei dottori e della medicina che ci hanno travolto dagli anni ’90 in poi.

La base del sistema sanitario USA, in soldoni, è che se non sei assicurato (e non paghi) non hai diritto alle cure mediche (come denunciato, tra gli altri, dal regista Michael Moore nel suo film “Sicko” del 2006).

Approfondiamo la questione.

Il Social Security Act è una legge del 1935 introdotta dal Presidente democratico Roosvelt, che conteneva anche indennità di vecchiaia, di malattia e di disoccupazione.

Prima dell’amministrazione democratica e della Grande Depressione del’29 esplosa sotto la presidenza del repubblicano Hoover, infatti, lo stato sociale americano praticamente non esisteva.

La cosa non deve stupire, poiché gli Stati Uniti si basavano sul mito del “self-made man” (l’uomo che si è fatto da solo) e dell’affermazione dei migliori: una concezione ideologica ancora molto forte.

In un trionfo del più duro darwinismo sociale, per gli Americani, qualunqueintervento dello Stato nelle questioni private dei cittadini era concepito come un gesto autoritario, da combattere con ogni mezzo.

Negli anni ’80 il Presidente Reagan, fervente seguace dell’economista liberista Von Hayek , sosteneva: “Il governo non è la soluzione del nostro problema, il governo E’ IL problema”.

Intervenire sul sistema sanitario è dunque stato sempre un tabù (per non dire un’impresa), per le varie amministrazioni che si sono succedute alla guida degli States.

La prima grande riforma del Social Security Act arriva sotto la presidenza del democratico Lyndon Johnson. E’ Johnson, nel 1965 a creare i due programmi di assistenza Medicare e Medicaid.

Medicare assicura la copertura sanitaria gratuita alle persone con più di 65 anni (con una serie di esenzioni e casi particolari).

Questo programma medico viene finanziato dal governo federale e dai datori di lavoro.

Medicaid fornisce invece assistenza alle famiglie povere ed a quelle a basso reddito e viene finanziato sia a livello federale che a livello di singoli stati.

La sua applicazione è stata lunga e faticosa. Moltissimi stati del Sud si sono opposti e solo progressivamente la rete di protezione sanitaria si è estesa a tutto il paese.

Nei decenni successivi al 1965, di fatto, nulla si è mosso.

Richard Nixon ha tentato una riforma sanitaria naufragata.

Poi è stato il turno di Hillary Clinton, moglie del Presidente democratico Bill, mettere in campo un tentativo di riforma mandato a picco dai Repubblicani e da tanti “franchi tiratori” democratici negli anni ’90.

 Nel 2010 Barck Obama, dopo infinite trattative ed una selvaggia opposizione da parte del Partito Repubblicano, delle lobby farmaceutiche ed assicurative e del Tea Party riesce a far passare la sua riforma sanitaria (detta Obamacare). La riforma ampia notevolmente la quantità di cittadini coperti dal sistema sanitario.

I due cardini dell’Obamacare sono il divieto per le compagnie di assicurazione di negare la stipula di assicurazioni per alcuni tipi di malattia (prassi molto diffusa) ed una serie di incentivi e sanzioni per spingere i cittadini ad acquistare una polizza sanitaria.

 La riforma sanitaria di Obama, oltre ad essere stata al centro di un contenzioso giuridico e costituzionale (nel giugno di quest’anno la Corte Suprema ha infatti decretato la costituzionalità della riforma contro il ricorso di ben 26 Stati federali), ha rappresentato senza dubbio uno dei perni, nonché uno degli atti più discussi, controversi e significativi dei suoi primi quattro anni di presidenza.

Tuttavia è evidente come la mancanza del diritto alla salute come principio universale (similmente all’Europa) all’interno della costituzione americana renda ancora difficoltosa la sfida della costruzione di un sistema di assistenza pubblico che garantisca il diritto alla cura per tutti.

La battaglia di Obama è appena iniziata e si spera che sia solo un primo passo per un’effettiva trasformazione di un privilegio a beneficio di pochi in un diritto collettivamente garantito ed accessibile, soprattutto in un contesto come quello statunitense, nel quale la crisi ha messo in luce i drammatici disequilibri e le contraddizioni profonde della sua società.

 

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