Urgano Sandy: film o realtà?
Ogni anno le inondazioni e le alluvioni causano migliaia di vittime e decine di migliaia di senza tetto in tutto il mondo.
La scorsa settimana i media e i giornali di tutto il mondo hanno raccontato minuto per minuto, in diretta, neanche fosse un film catastrofico di Hollywood, la preparazione ed il passaggio dell’uragano Sandy nella città di New York.
L’attenzione per la città di New York ha sovrastato quella per altri paesi limitrofi, nel quali lo stesso fenomeno naturale ha causato danni ben peggiori: Haiti, Giamaica e Cuba, che si sono ritrovate, quasi come ogni anno, sommerse da fiumi di fango e detriti, allagate dalle loro stesse acque reflue, colpite nelle proprie, già fragili, infrastrutture e attività economiche.
Il fenomeno dei cicloni è una delle maggiori piaghe che l’essere umano conosca, anche oggi, nel 2012.
I Caraibi ne soffrono da anni, ma anche paesi come l’India e il Bangladesh detengono il triste primato dei molteplici morti annuali per questi “flagelli” della natura che, tuttavia, la mano dell’uomo non ha fatto che aggravare.
Le cause dell’intensità dei danni e delle conseguenze subite da alcuni paesi sono molteplici: la prima è l’urbanizzazione incontrollata (si veda questo articolo), che porta all’accrescere dei fattori di rischio in territori già soggetti a fenomeni naturali di questo tipo. La seconda è senza dubbio la scarsità di prevenzione e misure di sicurezza, dovute a loro volta dalla precarietà dei governi di alcuni paesi: chi ha seguito, anche con la coda dell’occhio, la vicenda dell’Uragano Sandy a New York, potrà notare che sono state messe in atto misure straordinarie di sicurezza, dal costo molto elevato: misure che nessun governo, a parte quello degli Stati Uniti, può permettersi. Misure finalizzate alla riduzione dei rischi per le vite umane (evacuazioni, prevenzione, messa in sicurezza, paralisi delle attività economiche, informazione). Infine, elemento da non sottovalutare (seppure banale) è la localizzazione dei fenomeni: in una città come New York, dotata di infrastrutture, materiali di costruzione di qualità, apparati tecnico-logistici adeguati, l’impatto non può essere paragonabile a quello delle zone rurali, ricche di vegetazione, senza solide costruzioni, e spesso, come detto prima, sovra popolate.
Eppure, perché l’urgano Sandy a New York ha fatto tanta paura, mentre nessuno ha pensato ad Haiti, paese, tra l’altro, già flagellato non solo dal terremoto del 2010, ma anche dal colera del 2011 (tuttora presente e favorito da situazioni di circolazione di acque inquinate, come nel caso dell’alluvione)?
La risposta potrebbe sembrare superficiale: perché la telecronaca dell’arrivo dell’uragano Sandy sulla città di New York è stata quella di un film.
Come nel peggiore incubo in cui le telenovelas e i film degli zombie diventano realtà infatti, i media di tutto il mondo (italiani per primi) si sono sfregati le mani commercializzando l’immagine da “colossal hollywoodiano” della Grande Mela flagellata dalla catastrofe da fine del mondo. Dopo anni ed anni di film tutti uguali sulla grande onda, il grande freddo, la discesa dei marziani, l’invasione degli alieni, degli zombie e delle cavallette sulla più grande metropoli del mondo infatti, non è parso vero ricalcare un immaginario collettivo (costruito dalle stesse industrie cinematografiche USA) e farne un bel prodotto di (dis-) informazione.
Film o realtà?
Sempre più spesso capita di chiederselo leggendo e guardando come vengano veicolate le notizie in tutto il mondo (soprattutto in quello occidentale).
L’uragano Sandy nei Caraibi non fa notizia, nelle bidonville di Cuba o Port au Prince, tra quegli stessi sfollati per cui mezzo mondo “ricco” ha donato un euro nel 2010, illudendosi di cambiare così le loro sorti: non fa notizia nella isole della violenza e della malnutrizione, dove comprare un revolver al mercato è probabilmente più semplice che procacciarsi un lavoro, dove la casa è un telo di plastica da due anni, dove la scuola e il bagno in casa, ma anche un banale ambulatorio per farsi curare, sono un privilegio per pochi.
A gran parte del pubblico occidentale la “tragedia” fa impressione solo se è in un posto concepito nella loro immaginazione, dove si sentono “simili” alle potenziali vittime: ed ecco che si vivono ore di terrore pensando alla gente che corre con un caffè di Starbucks in mano inseguita da King Kong, dalla navicella spaziale planata su New York in Independence Day, o allo “tsunami” sovrannaturale e anomalo che colpisce gli States.
Sarebbe molto diverso, e ben più educativo, se si parlasse dell’uragano Sandy spiegando che per molti popoli, dall’India al Centro America passando per l’Africa e, soprattutto, per le zone caraibiche e monsoniche (esposte a fenomeni naturali sempre più violenti anche a causa dei cambiamenti climatici), questa è una routine, un fenomeno ciclico di morte, distruzione e tragedia, a causa della povertà e della mancanza di risorse e di responsabilità dei loro governi.
Sarebbe stato diverso se si fosse parlato dei rischi che il popolo haitiano correrà a causa dell’impatto dell’uragano, che come gli scorsi anni ha invaso le tendopoli, spazzato via baracche e soprattutto sparso per tutta la città le acque infette, che in assenza di fognature esporranno migliaia di uomini, donne e bambini al rischio del colera, epidemia oro-fecale che solo nel 2011 ha ucciso migliaia di persone.
Sarebbe stata informazione: invece è stato, come sempre, solo un film.
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