Gambia: rischio guerra civile
Perché è importante parlare di quello che accade in Gambia? Al di fuori di quello che può essere l’interesse individuale rispetto alla politica internazionale e a ciò che accade in Africa, è importante conoscere la situazione del Gambia perché in un certo senso ci riguarda più da vicino di quanto potremmo immaginare. Nonostante le limitatissime dimensione del paese, dopo Nigeriani e Pakistani, le persone provenienti dal Gambia sono alla terza posizione per numero di richieste di asilo politico, protezione sussidiaria o umanitaria in Italia. Il Gambia è quindi una delle nazioni da cui arriva il maggiore numero di immigrati in Italia negli ultimi anni.
Il Gambia è uno dei paesi più piccoli dell’Africa, è situato all’interno del Senegal e prende il nome dall’omonimo fiume che il piccolo stato costeggia nella parte finale, fino allo sbocco sull’oceano. Il Gambia conta circa 1.800.000 abitanti, è grande poco più delle Marche e la maggior parte della popolazione vive in villaggi. L’unica città significativamente grande è Serakunda, con circa 300.000 abitanti. La capitale è Banjul e conta circa 35.000 abitanti. L’etnia principale è quella dei Mandinga, seguono Fula, Jola e Wolof, mentre più del 90% della popolazione è di religione musulmana. Le etnie e la religione sono le stesse del Senegal, il motivo principale per cui i due stati sono divisi è che il Gambia era una colonia inglese, mentre il Senegal, nell’ultimo periodo prima dell’indipendenza, è stata una colonia francese. I Gambiani sono quindi anglofoni di seconda lingua.
Come dicevamo all’inizio il Gambia è un paese a fortissima emigrazione. Il boom di arrivi è dovuto principalmente a due fattori: in Gambia da più di 22 anni c’è una dittatura, in Gambia c’è una situazione di povertà estrema che tende sempre più a peggiorare. Per capire l’attuale situazione è utile fare un passo indietro nel tempo.
Senza voler andare troppo in là, il Gambia è stato un punto strategico, prima per i Portoghesi, poi per gli Inglesi, rispetto al commercio di schiavi, che sarebbero stati poi trasferiti nel ”nuovo mondo”. In seguito, senza entrare troppo nel dettaglio, ciò che è importante sapere è che sotto la guida di Dawda Jawara, leader del Partito progressista popolare, il Gambia ottiene nel 1965 l’indipendenza dall’Impero britannico. Jawara ha studiato medicina a Glasgow e durante il periodo di studi entra a far parte del Labour Party. Ciò influenzerà decisivamente le posizione politiche di Jawara nel momento della fondazione del Partito Progressista Popolare al suo ritorno in Gambia e le decisioni maturate nel processo di transizione che ha portato il Gambia ad ottenere l’indipendenza. Nonostante non siano mancate critiche nei suoi confronti e nonostante abbia governato ininterrottamente il paese dal 1965 al 1994, Jawara è sempre passato per le urne elettorali e sono quasi tutti concordi sul fatto che non sia stato né un leader autoritario né un dittatore. Ovviamente non si può valutare la situazione politica di paesi come il Gambia con schemi e categorie delle democrazie occidentali, non siamo di certo qua a dire che con Jawara era tutto rose e fiori e che in Gambia si stesse bene. Il Gambia era un paese martoriato da secoli di colonialismo in cui la maggior parte dell’economia era fondata sull’agricoltura di sussistenza. Durante i 6 governi Jawara il Gambia pur avendo avuto una certa stabilità politica non è riuscito a superare più di tanto le condizioni di povertà estrema in cui versava il paese prima dell’indipendenza.
Nel 1994 Jawara viene spodestato con un Colpo di Stato e Yahya Jammeh, ufficiale dell’esercito gambiano, a soli 29 anni prende il potere. Jammeh, conservatore musulmano, tiene in scacco il paese con un regime autoritario dando largo potere all’esercito e perseguitando qualsiasi opposizione. Chiude le porte all’Occidente, mette al bando giornalisti dissidenti e ONG e apre ulteriormente le porte a Libano, Siria ed Emirati Arabi, spostando l’asse di alleanze internazionali rispetto al suo predecessore. Da quando Jammeh ha preso il potere, uno dei suoi obiettivi principali è stato quello di portare il Gambia a diventare uno stato islamico con in vigore la Sharia. Le libertà civili sono state decisivamente limitate ed è stata introdotta la pena di morte per gli omosessuali. Dal 1996, Jammeh chiama le prime elezioni bandendo praticamente qualsiasi partito di opposizione e fonda il partito ”Alleanza patriottica per il riorientamento e la ricostruzione”. Nelle successive elezioni Jammeh vince con evidenti brogli elettorali. Inoltre il sistema elettorale gambiano prevede votazioni fatte con biglie al posto che con schede elettorali che rende molto facile irregolarità nel momento del conteggio. Da allora è stato riconfermato presidente altre 4 volte. Lo strapotere conferito all’esercito ha reso i militari una casta inattaccabile nel paese, il livello di corruzione è uno dei più alti di tutta l’Africa e ogni forma di manifestazione e opposizione è stata repressa nel sangue.
Negli ultimi due anni, in parte per l’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita, in parte per la repressione inflitta a ogni forma di opposizione, il Gambia ha assistito a un vero e proprio esodo da parte soprattutto dei cittadini più giovani. Questo ha ulteriormente delegittimato Jammeh e verso la fine del 2015 decine di manifestazioni molto partecipate hanno chiesto la sua destituzione. La risposta è stata di reprimere, arrestare, torturare e uccidere gli oppoistori. Ousainou Darboe, Il leader dell’United Democratic Party, il partito laico e filo-progressista gambiano, è stato incarcerato con l’accusa di aver organizzato una manifestazione non autorizzata. In questo clima si sono annunciate le elezioni dello scorso 1 Dicembre. Durante il periodo di campagna elettorale sono stati arrestati decine di membri dell’UDP e uccisi altrettanti.
A sorpresa però, nonostante la paura di ulteriori brogli elettorali, il cartello elettorale dell’opposizione, prima rappresentato da O. Darboe e in seguito alla sua incarcerazione da Adama Barrow, ha vinto le elezioni. Il clima il giorno delle elezioni non lasciava presagire nulla di buono. La sera delle elezioni la TV nazionale trasmetteva clip musicali al posto che dire i risultati delle elezioni e tutti i media sono stati oscurati. Dall’estero le notizie trapelavano solamente grazie a un network di dissidenti scappati in USA o Europa che tramite radio indipendenti raccoglievano informazioni da informatori nel vicino Senegal. Subito dopo l’annuncio della vittoria di Adama Barrow, Jammeh ha stupito tutti annunciando con una telefonata resa pubblica di voler accettare la sconfitta. Sia in Gambia che nel resto del mondo coloro che erano state vittima dei soprusi dell’esercito e dei 22 anni di dittatura erano increduli, in molti, dall’estero, annunciavano di voler far ritorno nel paese. Dopo poco più di una settimana però Jammeh non si è smentito, sostenendo che ci siano state irregolarità nei conteggi ha annunciato di voler tornare nuovamente alle urne, non accettando la sconfitta. Per molti questo è dovuto soprattutto dalle pressioni che Jammeh ha subito dalla casta dei colonnelli gambiani, che senza di lui vedrebbero a rischio molti dei loro privilegi. Sicuramente ha influito molto anche l’annuncio di Barrow di voler far giustizia per i 22 anni di soprusi da parte dell’esercito e di Jammeh.
In questo clima di tensione l’esercito senegalese temendo una possibile guerra civile ha fatto posizione le truppe speciali sul confine gambiano. Le Nazioni Unite hanno condannato le dichiarazioni di Jammeh e intimato di rispettare le decisioni elettorali. Ad ora la situazione rimane incerta, il rischio di una possibile guerra civile esiste e la situazione si potrà chiarire solo a Gennaio nel momento in cui Jammeh dovrà passare il testimone al suo successore.
Dave
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