Siria, profughi senza pace

yarmoukLa prima testimonianza delle violenze in atto nel campo di Yarmouk, in Siria, è arrivata a metà luglio: un attivista palestinese abitante del campo riportava a Milano In Movimento notizie di attacchi aerei e di terra, omicidi, sparizioni di profughi palestinesi compiute dall’esercito siriano.

Ieri (16 dicembre) giunge la notizia di un ennesimo, grave massacro, con il bombardamento di una moschea da parte delle forze siriane: le vittime sono decine.

Non è la prima volta che i campi profughi palestinesi in medio oriente (Libano, Siria, Giordania) vengono coinvolti nei conflitti in atto intorno a loro, pur essendo parti più che marginali di quelle stesse società.

Nonostante i palestinesi non ottengano la nazionalità dei paesi ospitanti (ad eccezione della Giordania, né il Libano né la Siria hanno avviato processi di integrazione), vengono puntualmente coinvolti nei conflitti, quasi come se i loro campi subissero le ripercussioni dell’instabilità dei paesi dove si trovano.

Una possibile chiave di spiegazione risiede proprio nella complessità della politica palestinese, delle sue numerose divisioni, alleanze e rivalità tra partiti, che spesso si collocano in modo diverso in relazione alle forze politiche e militari presenti nei contesti che ospitano i profughi.

Questo è il caso della Siria: la violenza crescente nel più grande campo profughi del paese è dovuta infatti sia al sostegno di una parte dei partiti palestinesi presenti nel campo alla rivoluzione siriana (OLP e altre brigate armate), sia all’acuirsi di un conflitto interno al campo con i gruppi armati favorevoli al regime di Assad (Fronte di Liberazione per la Palestina).

A rafforzare questa ipotesi il fatto che proprio il giorno prima dell’ultimo massacro, Ahmed Jibril, uno dei leader dei gruppi pro regime di Assad, abbia lasciato il campo profughi, per rifugiarsi, probabilmente, in un luogo sicuro, vista la crescente avanzata dei ribelli su Damasco. Subito dopo l’abbandono del campo da parte del leader politico, infatti, l’aviazione siriana ha bombardato la moschea, sperando di colpire i propri nemici.

Di fatto la popolazione civile, sia siriana che palestinese, è la principale vittima di questa guerra civile: la crudeltà nella scelta dell’obiettivo dell’attacco (una moschea, luogo di ritrovo di tutta la popolazione), che si somma ad una serie di atrocità compiute fuori e dentro i campi negli ultimi mesi (sparizioni, torture, minacce, uccisioni) non hanno mai risparmiato donne, bambini, ragazzi giovani e anziani.

La drammatica situazione della popolazione di Yarmouk non ha avuto risalto sui mezzi di informazione (già gravemente carenti sulla situazione siriana) né è stata diffusa dai molti gruppi di attivisti filo palestinesi, i quali sono oggetto di critiche per la scarsa prontezza non dimostrata, invece, quando Israele è coinvolto in episodi di violenza.

L’associazione Zaatar e Assopace, che già in passato avevano lanciato un appello di solidarietà e raccolta fondi per i civili del campo, rinnovano oggi la loro denuncia, sperando di poter tornare presto a svolgere le proprie attività di solidarietà e supporto ai profughi palestinesi di quel territorio.

L’appello: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=457571490970535&set=a.400642343330117.95477.357338924327126&type=1&theater

 

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