Una “sveltina” in ogni liceo!

Quest’anno come DeGenerAzione abbiamo deciso di intervenire nelle scuole e portare il nostro contributo al dibattito sulle tematiche di genere attraverso la proposta di un laboratorio.

Abbiamo deciso di intraprendere questo percorso consapevoli che la violenza e la discriminazione di genere non sono fenomeni emergenziali ma strutturali e sistemici, che riguardano tutti gli ambiti della vita sociale: dalle esperienze quotidiane alla dimensione economica e lavorativa, da quella istituzionale a quella del mondo dell’istruzione (e via dicendo).

Le violenze di genere si manifestano nella vita di tutti i giorni sotto forma di meccanismi di dominazione-subordinazione che vedono prevalere un genere sull’altro, il maschile sul femminile (manifestandosi come violenza dell’uomo sulla donna, dell’uomo sull’uomo, della donna sulla donna e oltre ogni binarismo di genere).

A fronte di questo gli interventi necessari non possono riguardare solo una macro dimensione (leggi, interventi istituzionali), ma devono prendere anche in considerazione una micro dimensione, come quella interpersonale, che permette di mettere in discussione proprio questi meccanismi a partire da ognuno e ognuna di noi.

Risulta quindi fondamentale educare sin da subito al rispetto delle differenze, in famiglia come a scuola. L’istituzione scolastica ricopre un ruolo di primaria importanza, è lo strumento che dovrebbe permettere di emanciparsi e formarsi innanzitutto come persone, a prescindere dal proprio sesso, genere, orientamento sessuale e provenienza geografica. La scuola dovrebbe essere un luogo dove sentirsi sicure e sicuri, in cui si deve essere liberi/e di sperimentarsi e di maturare sapere critico, invece che riproporre le stesse dinamiche di potere che ritroviamo al di fuori delle mura scolastiche. Purtroppo però la realtà è ben diversa e discriminazioni, bullismo, razzismo e marginalizzazione sono all’ordine del giorno anche tra i giovanissimi e le giovanissime.
Qualcosa però sta cambiando, lentamente ma inesorabilmente.

Negli ultimi mesi siamo state invitate da moltissime scuole in autogestione o cogestione, del centro e della periferia, a portare il nostro laboratorio “Sveltina-dialogo sui generis”, con la richiesta però esplicita di eliminare la parola sveltina, in quanto non approvata dai e dalle dirigenti scolastiche.

“Sveltina” suonava male.

Una richiesta a parer nostro singolare per un laboratorio che tratta e permette il dialogo su rapporti, sessualità, generi e sesso, argomenti che in adolescenza sono fondamentali da affrontare senza tabù, soprattutto attraverso il confronto libero e non giudicante.

Il fatto che a scuola non si affrontino in modo strutturato e organizzato questi argomenti è stato ancora più evidente quando ci è stato detto che la parola “stupro” sarebbe stata un problema da esporre all’interno della struttura: durante un laboratorio, infatti, avremmo voluto disegnare insieme la “piramide della cultura dello stupro” da esporre in corridoio (per chi non la conoscesse è una piramide che fa vedere come la cultura dello stupro parte dagli insulti sessisti –alla base- e arriva fino al femminicidio -al vertice-).
Nella stessa scuola, infatti, la dirigente aveva censurato altri concetti simili che le studentesse e gli studenti avevano provato a far emergere attraverso un lavoro fatto da loro nato sull’onda del Metoo – meTogether.

Parole come molestie, stupro e femminicidio vengono reputate troppo “violente” e inappropriate in un ambiente scolastico.
In questo laboratorio ci siamo proposte invece di decostruire tabù e paure rendendo questi argomenti chiari, fruibili e comprensibili da chiunque, attraverso una comunicazione non violenta, antisessista e antifascista.

Sottolineare questo aspetto primario è fondamentale perché ci possono essere quindicenni che usano “femminista” come insulto e che inneggiano al duce, come i ragazzi che hanno tentato di interrompere il laboratorio, o perché ci sono persone che di nascosto, tra un giorno di autogestione e l’altro, deturpano con delle svastiche il viso di Franca Rame. Ribadire quindi che un laboratorio sulle questioni di genere significa anche non concedere spazio ai fascismi è un dovere.

Essere andate in queste scuole per noi ha significato molto: ci siamo messe in gioco, abbiamo accolto stimoli e dubbi, abbiamo empatizzato attraverso ogni vissuto/storia e abbiamo avuto la fortuna di sentire ogni volta una meravigliosa energia corale impetuosa.

Soprattutto abbiamo riscontrato che le studentesse e gli studenti hanno davvero voglia di raccontarsi e confrontarsi. Durante l’attività, infatti, il dialogo a coppie iniziale introduce in un secondo momento una discussione collettiva, facilitando il confronto tra pari.
Attraverso queste due fasi, attraverso il confronto con l’altro, chi partecipa si sente meno sola/o, si rende conto che i dubbi o problemi che sorgono individualmente riguardano tante e tanti. Questo innesca un meccanismo virtuoso di empatia che è alla base della comprensione e accoglienza verso chi reputiamo diverso. Grazie alla pratica tutta femminista del “partire da sè” abbiamo costruito un rapporto paritario tra noi, le studentesse e gli studenti, generando un clima positivo che ha favorito una “messa a nudo”, una condivisione dei vissuti che ha riempito le aule di forti emozioni.
La partecipazione mista, inoltre, ha permesso di interfacciarci con diversi punti di vista e ci ha portate e portati ad approfondire diversi temi come la profondità sistemica della violenza maschile o il vasto mondo della sessualità: dalle esperienze personali (“quando è giusto fare sesso per la prima volta?”) alla varietà degli orientamenti sessuali, dal significato di consenso alla masturbazione femminile. La voglia delle ragazze e dei ragazzi di conoscere, imparare e comprendere questi temi sconfinati è stata insaziabile e spesso non è bastato il tempo che avevamo a disposizione.

Certamente abbiamo constatato che esiste confusione su molti temi, ma allo stesso tempo abbiamo potuto riscontrare una maggiore consapevolezza negli studenti e nelle studentesse sui ruoli che il nostro genere ci impone.
Una consapevolezza che, invece, spesso manca a molti genitori e insegnanti, i quali ripresentano le stesse dinamiche che con fatica figli/alunni cercano di decostruire.

Forse sarebbe il caso che la Scuola facesse di più, creando percorsi educativi permanenti e strutturati tanto per gli studenti quanto per insegnati e genitori. L’educazione infatti ha una grossa responsabilità per un vero cambiamento.
Contente dell’ottima riuscita di tutte le “Sveltine”, siamo consapevoli che la strada è ancora lunga ma non abbiamo intenzione di fermarci. Saremo in ogni scuola e in ogni piazza a ribadire che per cambiare il mondo dobbiamo cambiare il modo in cui ci relazioniamo: la rivoluzione è transfemminista o non sarà.

De Gener Azione

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