Non Una Di Meno, quando la marea diventa tempesta

LOTTO MARZO. 40 piazze con alta partecipazione. 50mila a Roma: «La città femminista è antifascista». No alle politiche neoliberiste e razziste, sì al reddito di autodeterminazione. Ritiro immediato del Ddl Pillon.

Sono quattro ragazze che avranno sì e no sedici anni, si sono disegnate – con il rossetto rosso – il simbolo femminista sulle guance e stanno sull’autobus che deve portarle al corteo. Hanno preparato un cartellone, scritto con una penna, ciò che non vogliono sono mimose e auguri. Ridono e cominciano a intonare canzoni e brevi slogan. Dal fondo una voce dice di smettere di cantare. Allora, ma dove siamo? Le ragazze sicure rispondono che siamo a Roma, stiamo andando alla manifestazione. Sono amiche che stanno andando a un appuntamento emozionante che le diverte, perché il femminismo è una festa. Sentono che non possono stare da nessun’altra parte, come le 50mila presenze che oggi da piazza Vittorio sono arrivate a piazza Madonna di Loreto.

QUARANTA LE CITTÀ in tutta Italia ad aver aderito allo sciopero globale organizzato da Non Una Di Meno che, per il terzo anno, è riuscita a mostrare quanto capillare, solido e radicale sia il lavoro politico svolto sui territori e contesti. Più di cinquanta i paesi del mondo che ieri si sono ritrovati nelle strade e nelle piazze.
È un percorso politico cruciale quello portato avanti dai movimenti delle donne nel mondo, dalle lotte femministe che al momento – come in altri momenti precedenti – hanno parole efficaci per leggere il proprio tempo e orientarne il passo. Chi non lo capisce o lo minimizza è fuori dalla storia, come chi cerca di strumentalizzarne la potenza pro domo sua. Ma le femministe che ieri hanno invaso pacificamente tante città anche in Italia esorbitano e continueranno a farlo da ogni eventuale moderazione, anche partitica. Se l’anno scorso vi sono stati cortei partecipati, è altrettanto importante segnalare quanto ieri si siano sfiorati numeri ragguardevoli. A Milano più di 20mila, ma anche a Genova, Bologna, Torino, Pisa e tante altre, a guardare le dirette streaming moltiplicate durante il corso della giornata l’indicazione è apparsa subito certa e condivisa da tutte le piazze: il ritiro immediato del Ddl Pillon, «una vendetta», hanno detto dal camion che attravesrava a Roma via Cavour; una interruzione di gravidanza sicura insieme al diritto alla salute; un secco no alle politiche neoliberiste, alla precarizzazione delle esistenze, alla miseria. Ma, più di ogni altra cosa, la riaffermazione della libertà femminile e di una lotta ormai più che matura intrapresa a livello trasnazionale con altre donne a cui sono stati lanciati messaggi di importante sostegno; curde, palestinesi ma anche tunisine, argentine e tante altre. Con una gratitudine e una reciprocità che sono la nervatura di una politica delle donne che, nonostante le differenti materialità riesce a parlare la lingua dei viventi e non dei portatori di morte.

L’ASPETTO INTERSEZIONALE si intravvedeva anche negli slogan presenti, a Roma come nelle altre città, dalla violenza che «non ha passaporto» per ribadire che non c’è strumentalizzazione razzista plausibile sui corpi delle donne; fino al volerci «contare vive» e l’insistenza sul fascismo che non può avere udienza in nessuna forma. Le realtà territoriali di Non Una Di Meno sono da tempo in dialogo, quando non già del tutto amalgamate, con altri movimenti; non è strano dunque come a Venezia si sia detto no alle grandi opere inutili e che vi sia stata consonanza con i movimenti ambientalisti. Così come è comprensibile che a Roma si sia prestata attenzione a casi come quello di Lucha y Siesta e la Casa internazionale, luoghi insieme ai centri antiviolenza che presidiano la libertà femminile e che, come nel grande lenzuolo fatto calare giù lungo le mura di via Cavour, illuminano fino a riempire di ardore una città intera. È la temperatura esatta delle relazioni tra donne e di una pratica politica dei corpi che stanno l’uno accanto all’altra con una gioia da cui c’è solo da imparare. Così come da quelle ragazze sull’autobus oggi, che si preparano – a ogni latitudine – a incontrare se stesse. E le altre con cui poter attraversare il mondo.

di Alessandra Pagliaru

dal Manifesto del 9 marzo 2019

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