Covid-19 – Considerazioni di un tecnico
Buongiorno,
sono un anziano anestesista-rianimatore che ha lavorato per trentotto anni in un grande ospedale pubblico della Lombardia e che da quattro anni, andato in pensione, lavora per due giorni la settimana presso un ospedale privato-convenzionato, sempre in Lombardia.
Mi sono trovato, quindi, a svolgere la mia attività dal mese di marzo per pazienti affetti da Covid-19 essendo stata convertita totalmente la struttura in ospedale Covid-19 (tre piani di degenza per pazienti colpiti da questa epidemia, ogni piano con diversi gradi di gravità. Non essendo sufficiente la nostra piccola Rianimazione di 4 letti, le cinque sale operatorie sono state convertite in Terapia Intensiva; abbiamo avuto ricoverati fino ad un massimo di 11 pazienti).
Ho letto, debbo essere sincero, con molta difficoltà e partecipazione la lettera di Chiara sull’esperienza tragica della sua famiglia con questa epidemia, perché mi ha riportato al senso di avvilimento ed impotenza delle prime settimane di pandemia, quando ho visto andarsene completamente sole e avvolte in un sacco nero, anonime, tante persone affidate alle nostre cure.
Noi anestesisti-rianimatori abbiamo come compito quello di mantenere oppure ripristinare le condizioni generali si salute delle persone, anche in situazioni molto compromesse, per cui sentiamo come deprimente sconfitta la perdita di un paziente.
Sento, quindi, l’esigenza di fare alcune considerazioni.
La prima è ovviamente di tipo generale: chi ha governato la nostra nazione in questi ultimi trent’anni, purtroppo sia di destra che di sinistra, ha sistematicamente e deliberatamente smantellato la Sanità Pubblica, sia la parte ospedaliera, sia la parte territoriale. La Regione Lombardia, o meglio la destra ed in particolare Comunione e Liberazione che ha governato da sempre ( ma non bisogna dimenticare chi attualmente governa sia la
Regione sia l’Assessorato alla sanità), ha fatto ancora di peggio, perché, nel mentre affossava la Sanità Pubblica, ha spudoratamente e colpevolmente favorito la Sanità Privata, per mero interesse personale (la tanto sbandierata eccellenza della sanità lombarda, fatta in definitiva soltanto dalle persone!!!!!!!!!!).
La seconda considerazione deriva da quanto detto sopra: nessuno, né pubblico né privato, era pronto ed aveva la capacità, le conoscenze e le attrezzature per fronteggiare degnamente la pandemia.
(Piccolo inciso: probabilmente solo la Regione Veneto ha reagito bene fin dall’inizio, perché si era trovata, negli anni scorsi, a dover fronteggiare un focolaio epidemico causato da un altro agente patogeno e ne aveva fatto tesoro).
La terza considerazione è di tipo squisitamente sanitario; riguarda, purtroppo, gli errori che sono stati commessi e le conseguenze di questi errori.
Iniziando, e non dimenticando, il ruolo avuto da alcuni medici nel sottovalutare la situazione e nel dare (non credo che quanto dicevano gli operatori del 112/118 fosse farina del loro sacco) indicazioni errate (prima dicendo che il virus in Italia non c’era, poi dicendo di restare a casa controllando la temperatura, assumendo Tachipirina e solo quando si faceva fatica a respirare di contattare il 118 per essere trasferiti in ospedale).
Questo ha fatto sì che i pazienti arrivassero in ospedale già molto compromessi, con pochissime, anzi, quasi nulle riserve a cui attingere, mettendo i medici in generale e gli anestesisti in particolare in grossissime difficoltà.
Il virus ci ha messo anche molto del suo: all’inizio si pensava che determinasse solo una polmonite interstiziale, per altro molto resistente alle usuali terapie. Poi, anche grazie alle autopsie effettuate (i cinesi ne hanno fatte pochissime, anzi quasi nulla e molto superficiali) a Bergamo e a Milano, si è potuto capire molto di più sulle modalità di azione del virus. Si sono, di conseguenza, variate ed ampliate le terapie e i risultati sono iniziati a vedersi dalla terza/quarta settimana di marzo.
Questo non ha voluto dire, ovviamente, che da allora tutti i pazienti siano guariti (un episodio: in Terapia Intensiva abbiamo visto, assieme al cardiologo che stava effettuando un Ecocardio, formarsi nell’atrio destro del cuore del paziente un trombo che in pochissimi secondi ha occupato tutto l’atrio ed ha portato a morte il soggetto, che dal punto di vista polmonare stava andando discretamente, senza che potessimo fare alcunché per salvarlo), perché molto dipende anche dalle condizioni generali preesistenti all’infezione.
Aver lasciato i medici del territorio soli, senza mezzi per difendersi dall’infezione e senza indicazioni precise sul modo di combatterla è stato il più tremendo e colpevole degli errori da parte di chi aveva il compito e l’obbligo di sorvegliare e dare il via ad azioni concrete; solo ora mi sembra che stiano cambiando le cose, ma questo fa ancora più rabbia.
Ultima considerazione: il problema dei tamponi ed esami sierologici. Ancora adesso confesso di non aver le idee chiare: ha fatto bene sicuramente la regione Veneto a farli abbastanza a tappeto.
Ma c’era e c’è l’effettiva possibilità di farli a tutti indistintamente?
Quello che posso testimoniare è che al sottoscritto hanno iniziato solo dopo il 20 marzo a misurare la temperatura corporea prima di iniziare la giornata lavorativa, che solo l’11 maggio hanno fatto un prelievo di sangue per gli esami sierologici e che non ho mai fatto un tampone.
Devo, per onestà intellettuale, dire che nella mia struttura non sono mai mancati, nemmeno all’inizio della pandemia, i Dpi ( Mascherine chirurgiche, FFP2/FFP3, guanti, visiere e/o occhiali, camici in tessuto/non tessuto, tute etc.), come invece accaduto in altri ospedali.
Mi accorgo di essermi dilungato troppo, anche se l’argomento merita molta attenzione e discussione.
Spero solamente da una parte che le persone colpite molto duramente da questa pandemia riescano, con il tempo e l’aiuto di tutti, ad elaborare completamente e correttamente il loro lutto, mentre dall’altra la classe politica faccia tesoro dell’esperienza e cambi radicalmente la politica sanitaria e le Nazioni (argomento che non ho toccato per nulla, ma che ha grande rilevanza) siano più aperte e solidali tra di loro.
Un medico anestesista
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