La ricetta di Errani per le macerie del terremoto: diventeranno materiale per la costruzione della CisPadana

Mettete in una terrina un’autostrada da costruire, le macerie di un terremoto e qualche milioncino di denaro pubblico.  Amalgamate il tutto con un mestolo fatto di tutta la miopia, la pavidità e l’obsolescenza che un’amministrazione può avere nella gestione di un territorio.

 

A seconda dei gusti, aggiungete all’impasto un alto rischio di infiltrazioni mafiose nel settore del movimento terra, un decreto legge di dubbia accortezza che dispone la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali a rifiuti urbani, e l’ombra della speculazione edilizia su un territorio da ricostruire.

 

Stendete l’amalgama così ottenuto in una teglia fertile e pianeggiante del diametro di circa 70 chilometri e cuocete a fiamma alta, il più in fretta possibile, sull’onda di un’emergenza.

 

Sfornate, e guarnite il tutto con la scomparsa di centinaia di ettari di terreno, con l’annientamento di una moltitudine di piccole imprese agricole – già in difficoltà per il terremoto, per la siccità e per la concorrenza della grande distribuzione – e con la proliferazione di poli logistici ai margini dell’autostrada.

 

Versate nei piatti e servite, ricordandovi che questa pietanza mal si sposa con il parmigiano e l’aceto balsamico DOP che avete in tavola.

 

 

La ricetta sopradescritta è una trovata del presidente della regione Emilia Romagna e commissario delegato Vasco Errani e fa riferimento a un’ordinanza emessa lo scorso 2 settembre, in cui si dispone che le macerie del terremoto che ha colpito la Bassa siano utilizzate per costruire l’autostrada Cispadana.

 

Il provvedimento, che prevede un finanziamento di 7,5 milioni di euro, viene descritto dai suoi fautori come una “sperimentazione” lungimirante che ambirebbe a risolvere due problemi in uno: quello dell’accumulo di macerie e quello della costruzione di una nuova infrastruttura, peraltro fortemente contestata dai cittadini della Bassa.

 

L’opera, giustificata da una apparentemente irrinunciabile necessità di collegare la bassa reggiana da Reggio fino a Ferrara, prevede un tracciato di 67 Km, 4 autostazioni, 2 aree di servizio, per un investimento pari a 1 miliardo e 150 milioni di euro, di cui circa 180 da parte della Regione

 

Ma siamo sicuri che per l’Emilia – una terra già ferita dal terremoto, famosa per i propri prodotti agroalimentari, che produce il 17% della frutta italiana e che vanta il primato nella produzione da agricoltura biologica in Italia – la ricostruzione debba partire dalle grandi opere?

 

I dati Istat 2010 relativi all’Emilia Romagna parlano chiaro: il numero delle aziende agricole è in calo (- 31%) e in particolare sono in diminuzione quelle di piccole dimensioni. Così come è in contrazione la superficie agricola utilizzabile e trasformabile (Sau), ridottasi del 5,5% rispetto al censimento precedente.

 

Il tentativo di “convertire” i mattoni dell’Emilia pre-terremoto in asfalto per la Cispadana, non stupisce. Si tratta di una scelta in perfetta sintonia con quanto avviene ogni giorno in tutta la penisola: dalla Tem alla BreBeMi, dalla Pedemontana alla Tirreno-Brennero, sono ben 32 la autostrade in costruzione o in progettazione in tutta Italia. Con una concentrazione dei cantieri particolarmente alta in Pianura Padana. Lo spiega bene Luca Martinelli in un suoarticolo su L’Altreconomia.

 

Lo schema è sempre lo stesso, sempre la stessa l’ossessione: richiamare attraverso ilproject financing nuovi investimenti. Poco importa per che cosa saranno utilizzati, da chi arriveranno, chi ne trarrà benefici. L’importante è costruire, descrivere come indispensabili reti di collegamento grandi opere che in realtà frammentano il territorio e perseverare nel puntare tutto sulla proliferazione di nuovi cantieri e nuovi poli logistici. Come se l’obiettivo finale fosse costruire e basta. I cittadini vengono tranquillizzati dal fatto che lo Stato, direttamente, ci investe poco o niente, e intanto si dà il via libera a un processo pressoché irreversibile: la cementificazione del suolo. E con essa la perdita di migliaia di piccole e medie realtà imprenditoriali che da sempre sono state il motore dell’economia italiana.

 

Chi giustifica la costruzione di nuove autostrade sostenendo che si tratti di opere necessarie per stare al passo con l’Europa, dice il falso. Perché la rete autostradale italiana è di gran lunga più densa rispetto alla media europea (2,2 chilometri di rete ogni 100 kmq di superficie, contro 1,5). Eppure, soprattutto di questi tempi, non sembra che in Italia ce la si passi poi tanto bene. L’assioma per cui la ricchezza di un Paese sarebbe direttamente proporzionale alle sua rete autostradale andrebbe quindi rivisto…

 

La frammentazione del territorio attraverso la costruzione di nuove infrastrutture non è la terapia di cui la Pianura Padana, una delle aree più inquinate d’Europa, hanno bisogno per far ripartire l’economia.

 

La sindrome di Nimby, l’integralismo di certi ambientalisti e gli ideologismi non c’entrano. C’entrano l’agricoltura, il lavoro, il benessere, la salute e, sì, anche la cultura degli emiliani. C’entrano gli interessi della maggior parte dei cittadini. C’entra un’altra idea di sviluppo e la difesa della terra: un bene irrinunciabile non tanto, o non solo, per romanticismo, ma perché ci dà da mangiare. C’entra l’esclusione dei cittadini dalle scelte che riguardano il territorio.

 

C’entra, per tornare all’Emilia, il fatto che il terremoto può e deve fare della Bassa un luogo dove incoraggiare nuove forme di produzione, distribuzione, autogestione e consumo. E non un laboratorio per sperimentare la conversione delle macerie in asfalto.

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