“Sconti contro la crisi”, riflessioni (alle) critiche

Molti hanno “condiviso” l’azione di domenica 18 esprimendosi entusiasticamente in rete, su facebook, nelle chiacchierate informali. Siamo felici di questo successo e speriamo possa essere utile per riproporre iniziative sempre più efficaci e diffuse contro la crisi. Qualcuno invece l’ha criticata, spesso con una superficialità intrisa di luoghi comuni che non merita risposta (il solito “andate a lavorare”…come se non lavorassimo già troppo, malpagati e senza diritti! – e come se tutto ciò non fosse la causa principale di ciò che facciamo…), a volte invece argomentando con educazione e tesi che riteniamo utili affrontare.

L’azione “sconti contro la crisi” ha indubbiamente avuto un risalto mediatico molto forte e questo è sicuramente un primo dato su cui ragionare. Questo era l’obbiettivo principale dell’azione ed è per questo che la riteniamo essenzialmente riuscita.

A volte capita di dar vita ad azioni e iniziative politiche che hanno (o provano ad avere) un effetto diretto, materiale e tangibile sulla realtà. Un esempio? Un lavoratore metalmeccanico che picchetta una fabbrica in sciopero mira a far si che la fabbrica quel giorno rimanga deserta, la produzione quindi ferma e di conseguenza il messaggio che manda è semplice quanto concreto “se volete che la fabbrica riprenda a lavorare dovete fare…”.

Ma per tutti quelli come noi che normalmente, pur lavorando, non hanno un contratto, o se ce l’hanno è di quelle tipologie precarie che non permettono le forme classiche dello sciopero, come si fa? Qual’è la nostra fabbrica, il nostro ufficio da bloccare?

Queste domande fanno parte di un dibattito complesso, sia dal punto di vista dell’analisi politica sia per ciò che concerne “la pratica”, dibattito che non inventiamo ne abbiamo la pretesa di risolvere noi. Ci limitiamo, al momento, a mettere semplicemente in discussione alcune critiche che ci sembrano più che altro fondate su luoghi comuni e fraintendimenti.

1-”avete solo creato casino e fatica in più per chi ha lavorato alle casse” dicono alcuni. Beh sicuramente è vero! Lo sappiamo bene che i ragazzi e le ragazze che lavorano in cassa si saranno trovati di fronte a situazioni imbarazzanti e faticose, e sapete perchè lo sappiamo? Perchè anche tra di noi c’è chi ha fatto o fa quel lavoro!

Sappiamo cosa significa fare lavori faticosi, per niente stimolanti, con paghe infime e orari del cazzo, senza garanzie ne certezze. Non siamo certo felici d’aver reso più faticosa la giornata di quei lavoratori (quasi sempre precari come noi) ma sappiamo anche che da sempre ogni iniziativa di sciopero ha degli “effetti collaterali”: quando scioperano i dipendenti del trasporto pubblico c’è un disagio ed una difficoltà che ricade su tanti altri viaggiatori, quando incrociano le braccia i dipendenti degli uffici pubblici ci sono certamente tantissime persone che avrebbero bisogno d’usufruirne e in quell’occasione non possono. Non per questo è bene rinunciare alla possibilità di rivendicare i propri diritti o di protestare contro ciò che non si ritiene giusto. Certo ci piacerebbe in futuro riuscire a fare iniziative che coinvolgano anche i lavoratori precari e sfruttati di questi luoghi, c’è capitato di farlo in passato, ci sono gruppi simili e vicini ai nostri che lo fanno già e speriamo che anche grazie all’enorme risonanza mediatica di quest’azione tutto ciò diventi ancor più possibile prossimamente.

2-”ma la gente è riuscita poi ad acquistare i prodotti con lo sconto?” Non lo sappiamo con certezza ma in linea di massima crediamo che se qualcuno c’è riuscito si tratta per lo più di casi isolati. Non vogliamo fare “gli sboroni”, ci piacerebbe raccontare mirabolanti imprese di centinaia di acquisti con super sconti ma saremo sinceri e diciamo tranquillamente che non è stato così e del resto non era nelle intenzioni. L’obbiettivo era far parlare dell’azione, far parlare della crisi, delle difficoltà a tirare a fine mese o comunque a vivere in modo dignitoso, far pensare le persone, soprattutto quelle magari assai “lontane” abitualmente da noi e che non sono solite porsi domande, magari anche attraverso un po’ di delusione di fronte ad uno sconto che sembrava miracoloso e che invece si scopriva non esistere.

3-”non credete che i clienti una volta scoperto il trucco ci possano esser rimasti male o magari anche incazzati?” Certo, possibilissimo, anche probabile. La gente ha talmente disimparato a indirizzare la propria rabbia e il proprio malcontento verso la giusta direzione che è assai probabile che ci sia stato chi se l’è presa con l’azione e “l’illusione” da essa creata. Però magari ci sarà anche chi ha capito e ha sorriso, o chi è stato al gioco e ci ha “assecondato” rinunciando ad un acquisto inutile e costoso o scambiando due parole col cassiere o col vicino di turno. E ci sono i tanti che magari non sono stati coinvolti ma che, venendo a sapere dell’iniziativa, hanno avuto uno stimolo a farsi qualche domanda, magari addirittura a darsi da fare su questi temi.

4-”in questo modo alimentate la logica del consumo e dello spreco” Mah, a dire il vero l’iniziativa ha coinvolto persone che non sono andate appositamente a fare acquisti per il “miraggio” dei nostri sconti bensì clienti che erano già dentro i luoghi del consumo di propria iniziativa. Ci piacciono molto i ragionamenti sulla decrescita, sul consumo critico, sull’opportunità di mettere in discussione i nostri criteri e le nostre abitudini consumistiche e ci sono diverse occasioni in cui proviamo a farlo. Diciamo che in quest’occasione sicuramente non c’era questo obbiettivo ma non crediamo assolutamente di aver passato un messaggio d’incentivazione al consumo indiscriminato.

5-”create solo un danno economico alle aziende che si ritorcerà sui lavoratori” Avete letto i luoghi in cui siamo andati? Non s’è trattato del negozio a conduzione familiare ne dell’esercizio commerciale di un singolo privato. Siamo andati nelle grosse catene commerciali, nelle cattedrali del consumo in cui le proprietà sono grandi gruppi, spesso multinazionali, i cui profitti non vengono messi in crisi da ciò che abbiamo fatto (e ovviamente men che meno redistribuiti tra i lavoratori). Anche in questo caso saremo sinceri: ci piacerebbe assai creare un danno economico alle proprietà di queste catene! Non confondiamo gli interessi di chi si arricchisce sul lavoro precario altrui come se fossero i nostri interessi e non crediamo assolutamente che i loro enormi guadagni siano la condizione necessaria per elemosinare le briciole di ciò che ci spetterebbe. Ma anche in questo caso, al di là dei ragionamenti più generali, resta il fatto che questi luoghi con la nostra azione non hanno subito alcun danno. E men che meno le persone che vi lavorano all’interno.

6-”siete figli di papà, andate a lavorare” (è la più bella e ce la siamo tenuta per ultima!).

Siamo figli di papà e anche figli di mamma. A volte potremmo essere figli della provetta, o figli di nessuno. Sicuramente siamo figli del nostro tempo. Siamo figli della precarietà di vita, nessuna certezza per il presente e ancor meno speranze per il futuro. Siamo figli di una realtà che ci ha tolto progressivamente ogni conquista sociale del passato senza sostituirla con nulla. Siamo figli dei centri sociali, bistrattati e attaccati ogni giorno, dei collettivi studenteschi e universitari, delle esperienze d’autorganizzazione sociale tra precari, certo siamo quindi figli di una presa di parte, di posizione, di uno schierarsi di cui siamo fieri ed orgogliosi.

Lavoriamo, come già detto, anche troppo per come siamo trattati sui posti di lavoro che questo sistema ci offre. Lavoreremmo volentieri meno, a volte meglio, sicuramente in altro modo, per altri scopi e finalità diverse dal solo accumulare ricchezza per pochi. Certamente, tra le nostre tante diversità v’è comunque una certezza: non vogliamo passare la vita a lavorare per sopravvivere. Per questo, quando possiamo, prendiamo la parola. E, badate bene, con quello che facciamo, ogni giorno, si tratti dell’azione “sconti contro la crisi” piuttosto che nelle mille altre occasioni in cui ci mettiamo in movimento, facciamo parlare anche voi. Anche voi critici, anche chi tra voi ci vomita addosso insulti stupidi e banali senza essersi interrogato nemmeno un secondo, anche chi inconsapevolmente ha spento il cervello e sta vivendo passivamente senza porsi mai una domanda su che senso abbia questo sistema e se subirne supinamente ogni atto sia l’unica vita possibile.

Ci sporchiamo le mani cercando di cambiare le cose che ci circondano, di lanciare messaggi ad altri perchè la partecipazione, l’attivarsi comune per gli interessi, i diritti, i bisogni e i desideri di tutti sia un processo sempre più ampio e collettivo. Facendolo a volte si rischia di fare degli errori, altre volte di non fare esattamente al meglio ciò che si mette in moto, altre ancora di non essere capiti. Ma a volte si tratta anche di scegliere se stare dalla parte ci chi ci prova o di chi s’è arreso (o non ci ha mai provato). Una canzone a noi molto cara diceva “o ti batti o ti fai battere”.

Noi non abbiamo dubbi sul da farsi.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *