Test genetico o sfera di cristallo?

Nonostante tutti conoscano Mendel come padre della genetica la vera svolta fondamentale in questo settore risale al 1953, quando Crick e Watson chiarirono definitivamente la struttura tridimensionale del DNA, aprendo così la strada alla decifrazione del codice genetico. L’altro grosso passaggio fondamentale è quello di inizio anni ’70 quando la biologia molecolare vive una svolta epocale: il clonaggio molecolare. E’ il primo passo verso l’ingegneria genetica: diventa possibile isolare i geni, modificarne la natura, la funzione e la regolazione. Tra il 1990 e il 2000 nasce il progetto Genoma umano presieduto dal Consorzio internazionale che vede partecipi sette Nazioni tra cui USA e Cina per il sequenziamento del genoma. Per riuscire cioè a decifrare l’intero codice del DNA, comprendere ogni sequenza di basi nucleotidiche a cosa corrisponda.
Ma che impatto hanno avuto questi avanzamenti in campo scientifico sulla vita delle persone? Il primo e più immediato risultato è stato lo sviluppo dei test genetici ossia analisi molecolari di specifici cromosomi o geni, nonché qualsiasi altro tipo di indagine sul DNA finalizzata all’individuazione di mutazioni genetiche o di alterazioni fenotipiche associate a patologie genetiche. Ma poiché i test genetici non analizzano necessariamente condizioni patologiche le commissioni bioetiche sono arrivate a definirli come analisi mirate a conoscere la presenza, assenza o mutazione di un gene o cromosoma. Per fare esempi un po’ più concreti e capire di che test si tratti sono quelli che vanno dall’identificazione genetica, utilizzati per determinare il grado di consanguineità e nella medicina forense a quelli diagnostici per accertare la presenza di una patologia. Vi sono poi tutti quei test il cui impiego risulta molto più delicato come quelli presintomatici che servono a stabilire se un individuo asintomatico è portatore di una mutazione responsabile di una malattia che si manifesterà più tardi nel corso della vita, magari anche in età avanzata e quelli predittivi o di suscettibilità che consentono di identificare genotipi che, da soli, non causano una malattia, ma che, dopo esposizione a fattori ambientali favorenti o interagendo con altri geni, comportano un aumento del rischio di svilupparla. L’insieme di questi ultimi test presintomatici, predittivi o di suscettibilità costituisce la cosiddetta medicina predittiva che, proprio in quanto è finalizzata alla diagnosi presintomatica delle patologie genetiche, dimostra chiaramente come la medicina attuale sia sempre più orientata verso la prevenzione e l’attenzione del medico, tradizionalmente concentrata sulla malattia, si sia ora spostata verso il rischio di malattia.
Questo cambiamento, in sinergia con il rapido progredire delle conoscenze relative al genoma umano, con le tendenze espansionistiche dell’industria biotecnologica e il moltiplicarsi delle sequenze geniche sottoposte a brevetto, ha favorito la messa a punto di un grande numero di test genetici il cui utilizzo è sempre più frequente in medicina e il conseguente mercato è in continuo sviluppo. Nel 2007 sono stati eseguiti in Italia complessivamente circa 560.000 test genetici. L’Italia è il paese con la più alta concentrazione di strutture per la diagnosi genetica d’Europa!
Prevedere la comparsa di certe malattie prima che se ne manifestino i sintomi offre il vantaggio di rendere possibile l’adozione tempestiva di misure preventive nonché il ricorso anticipato all’uso di terapie. I benefici della genetica predittiva sono dunque innegabili quando, per la malattia preannunciata, esistono strategie preventive e terapie efficaci, ma la conoscenza “anticipata” di una predisposizione a contrarre una malattia grave e incurabile pone il problema di possibili rischi di natura medica, psicologica e sociale per gli individui che si sottopongono al test.
I test genetici utilizzano modalità di indagine probabilistiche: quando conducono alla identificazione della mutazione responsabile della suscettibilità genetica, si limitano ad una quantificazione del rischio al quale è esposto l’individuo.
La probabilità è però difficile da quantificare, soprattutto nel caso in cui la mutazione si esprime a diversi livelli in individui differenti e nelle malattie in cui sono implicati più geni gli individui che si sottopongono ai test predittivi non presentano alcun sintomo patologico e, di conseguenza, hanno aspettative diverse da quelle di chi sta già vivendo la realtà della malattia.
Secondo il filosofo J. Porée i test predittivi non costituiscono un mezzo che la scienza mette a nostra disposizione, ma piuttosto una possibilità di cui la scienza ci priva.
Infatti togliendo alla morte la sua qualità di certezza indeterminata, i test producono un’inversione della temporalità: l’esistenza non è più la realizzazione di un progetto, ma l’esecuzione di un programma (genetico). In effetti il risultato di un test genetico predittivo, soprattutto nel caso di malattie gravi per le quali non esistono forme efficaci di prevenzione né di cure, ha una portata pratica e simbolica di grande impatto perché può implicare una condanna, oppure, al contrario, essere estremamente liberatore.
Gli unpatients sono una nuova classe di persone all’interno della Medicina: non sono “pazienti” nel senso classico, in quanto non presentano sintomi; sono persone che condividono predisposizioni genetiche, che potrebbero vivere nell’attesa dell’ipotetica comparsa di qualche segno di malattia, organizzano la loro vita in funzione delle visite mediche o delle analisi di laboratorio, finiscono per sentirsi ammalati o addirittura sviluppano sintomi psicosomatici.

Test genetici sul posto di lavoro:
L’impiego dei test sul posto di lavoro vede da una parte l’interesse dello stesso lavoratore a non essere impiegato in attività nocive e l’interesse della collettività a non essere messa in pericolo dall’affidamento di compiti particolarmente delicati (pilota di aereo) a soggetti con forti “controindicazioni” genetiche. Dall’altra parte per valutare l’efficienza del lavoratore sono sufficienti normalmente gli strumenti tradizionali (curriculum, colloquio, test attitudinali, referenze, visita medica standard), senza contare che in genere è previsto un periodo di prova precedente l’assunzione definitiva, circostanza che costituisce un’ulteriore salvaguardia per il datore di lavoro.
Inoltre, la ridotta predittività dei test genetici e la loro scarsa affidabilità non permettono di considerare equa una decisione importante – come quella di assumere o promuovere un dipendente – che si basi sui risultati di tali test.
A questo proposito si è pronunciato il Gruppo Europeo sull’Etica nelle Scienze e nelle Nuove Tecnologie che nel settembre 2003 ha affermato: Il ricorso ai test genetici di screening deve costituire un’eccezione, al fine di garantire la tutela della salute dei lavoratori o di terzi, e deve essere effettivamente necessario, deve fondarsi sulla provata validita’ scientifica del test, deve essere proporzionato alle finalità da raggiungere e non deve comportare alcuna discriminazione per i lavoratori coinvolti.
I casi eccezionali nei quali è ammissibile effettuare test genetici di screening sul luogo di lavoro devono essere specificati espressamente per legge, eventualmente prevedendo il coinvolgimento di organismi sindacali e di enti indipendenti di controllo.

Un “Sicko” made in Europe:
Per quanto riguarda le compagnie assicurative sanitarie ci si potrebbe trovare in una situazione di vincolo incrociato: se non si affronta il test non si saprà il necessario per curarsi; ma proprio l’accesso al test potrà comportare l’effetto di vedersi ridotta o negata quella copertura di cui si necessita.
Da un recente monitoraggio sulle normative europee risulta che solo Italia, Francia, Belgio e Danimarca hanno previsto per legge il divieto di utilizzo dei test genetici nella stipula delle assicurazioni. Gli altri Paesi hanno scelto o la via di una moratoria (Finlandia e Germania) oppure l’impiego limitato a determinate soglie di valore delle assicurazioni (Inghilterra, Olanda, Svizzera, Svezia).

La sfera di cristallo della “bigfarma”:
Con la larga diffusione dei test genetici in vendita al dettaglio si è posto il problema di sancire una regolamentazione. Nel 2008 è stato infatti redatto il Protocollo addizionale alla Convenzione sui diritti per l’uomo e la biomedicina riguardante i test genetici a scopo medico. Nelle discussioni preliminari alcune delegazioni insistevano per la necessità di richiedere in tutti i casi la prescrizione medica, altre erano propense al libero accesso ai servizi offrenti test di libero acquisto, lasciando che sia la persona stessa ad assumersi la responsabilità diretta delle ricadute psicologiche e mediche dovute al test. Nell’impossibilità di raggiungere il quorum dei 2/3 di maggioranza, ma soprattutto per la considerazione che i test genetici vengono classificati per le norme internazionali del commercio nella categoria dei ”dispositivi medici” per i quali non può essere impedito il libero commercio, si arrivò alla formulazione dell’art. 7 che recita:
1. Non si può procedere a un test genetico a fini medici a meno che questo non si inscriva nel quadro di un’assistenza continuativa da parte del medico curante.
2. Eccezioni alla regola generale possono essere autorizzate dagli Stati parte a patto che siano applicate misure appropriate. Tuttavia, i test genetici avendo implicazioni importanti per la salute delle persone interessate o per quella dei membri della propria famiglia, ovvero assumenti implicazioni notevoli per la scelta in materia di procreazione, non possono fare oggetto di tale eccezione.
Il Comitato Nazionale per la bioetica in Italia, in un documento del 25 Luglio 2010 ha espresso il suo parere riguardo ai test genetici di suscettibilità: “il documento raccomanda il cauto impiego dei test genetici da parte del cittadino-consumatore e un’adeguata consulenza genetica”.

Considerando in ogni caso di prioritaria importanza l’autonomia del paziente penso che il giusto sia l’affiancamento di un supporto medico-psicologico a chi si avvale di questi test sperando in un clemente dio Ermes del ventesimo secolo che possa accontentarsi di una curiosità che non porti a invertire la temporalità della vita.

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