La narrazione mancante: che fare?
Gli articoli che mi hanno preceduto sono riusciti gradualmente ad ampliare il focus della nostra riflessione coinvolgendo la produzione culturale in tutti i suoi aspetti. Proprio a partire da uno dei primi interventi la domanda che emerge è: quale è oggi la capacità dei movimenti sociali di produrre controcultura e di essere rappresentativi in questo ambito?
Forse dovremmo prima analizzare il campo d’azione nel quale si colloca l’iniziativa di spazi come i nostri centri sociali e come è cambiato il panorama culturale intorno a noi.
L’arte probabilmente non è mai stata così importante all’interno della società come lo è oggi. Il riscontro più banale di questo lo si può avere osservando la continua costruzione di nuovi musei come principali attrazioni delle città e dal crescente numero di biennali e fiere che popolano sempre più luoghi differenti in ogni parte del mondo, diventando un fenomeno di massa. Allo stesso tempo la produzione artistica rischia sempre di più di essere assoggettata all’industria creativa e da un paradigma dominante.
In Italia parlare di cultura significa fare i conti con un paese in crisi che blandamente cerca la sua via di uscita, nel quale il dibattito più acceso si colloca tra le pagine de Il Sole 24 Ore, totalmente incentrato sull’annoso problema privati sì privati no. Siamo in un paese in cui il ministro Bray dichiara che il suo Decreto “Valore Cultura” è il primo dopo anni a non aver effettuato dei tagli, ma allo stesso tempo dobbiamo firmare petizioni per ripristinare l’insegnamento di storia dell’arte nelle scuole.
In una città come Venezia, che rappresenta un caso decisamente particolare ma emblematico per capire come la politica culturale può influire su un territorio, decidere di estendere in maniera decisiva il raggio di azione e di lotta è venuto quasi da sé. Una città dove il successo e l’efficacia dell’iniziativa culturale vengono misurati in base al numero dei visitatori della Biennale (che quest’anno sono stati oltre 475.000), dove si parla sempre troppo poco di quello che c’è dietro a questi grandi eventi: dall’alta precarizzazione del lavoro alla speculazione immobiliare.
Se questo è quello che ci troviamo di fronte, che cosa significa oggi produrre cultura alternativa, passatemi il termine, e qual è l’importanza di continuare a farlo?
In un ambiente come quello delle arti visive nel quale sempre più gli artisti procedono sul filo del rasoio, tra rimane outsider di un sistema totalmente espanso e l’essere assoggettati e strumentalizzati nella dinamica del grande evento, la questione non è da porsi sul piano dell’attivismo di per sé, ma piuttosto riguarda le modalità attraverso le quali gli artisti fanno proprie queste tematiche. La storia dei centri sociali, delle lotte che sono state portate avanti negli anni, i riferimenti politici e teorici che abbiamo costruito stanno diventando un bacino dal quale gli artisti possono attingere nella creazione di un immaginario collettivo. Le modalità che fino ad ora abbiamo promosso e continuiamo a ripensare stanno diventando un punto di riferimento e d’ispirazione nella produzione artistica e nel nuovo modo di concepire il format di mostre e festival.
Quello che possiamo fare è portare avanti il nostro modus operandi, la capacità di creare spazi di rottura nel tessuto urbano in grado di costruire in maniera collettiva e condivisa delle produzioni di qualità, di dare vita a un modello alternativo di ricerca culturale che esuli dall’autosfruttamento. Continuare, nonostante tutto, a essere spazi di riferimento per la comunità artistica locale e non solo, convogliando tutta una serie di urgenze: dalla precarietà del lavoro in campo culturale, all’esigenza di una formazione differente da quella offerta dalle nostre università. Forse dovremmo concentrarci sempre più sulla nostra capacità di fare rete, di costruire proposte su territoriali in merito alla distribuzione della ricchezza e delle competenze, di ideare spazi di partecipazione attiva nel processo di produzione culturale e di offrire luoghi di autoformazione. Giocare, quindi a proprio favore con le capacità di attrazione dell’arte contemporanea.
Continuiamo allora il dibattito per non lasciare le infinite possibilità che una discussione come questa può portare, a patinate riviste d’arte o grandi enti e istituzioni.