La narrazione mancante: Ibridare ed ibridarsi

imagesNon avrei mai pensato di innescare tante risposte con il mio primo articolo. La discussione sta diventando molto interessante e credo non solo per chi ha alcune “fisse” e investimenti nella sua attività militante o lavorativa. Mi sento di dover scrivere nuovamente qualcosa prima di tutto perché a breve partirò per tornare in Chiapas e festeggiare i primi 20 anni della lotta Zapatista e quindi non potrò più seguire assiduamente l’evolversi (se avrà un evoluzione) del dibattito un po’ perché vorrei dare il mio contributo ora per la sua continuazione. Apprezzo molto come gli ultimi 2 articoli arrivati abbiamo saputo spostare l’asse della discussione da esempi a generi musicali ad un livello più ampio e complessivo. Per me è fondamentale spiegare una cosa: i due esempi portati da me, ovvero l’hip hop con le posse e la musica trash con i sound system trash sono stati fatti solo ed esclusivamente perché sono stati il primo e l’ultimo esempio (almeno per me) di esperienze musicali che nascono o attraversano i centri sociali ed esondando dalle loro mura si riproducono anche in altri spazi. Nessuna mitizzazione o demonizzazione, solo esempi temporali. Lascio definitivamente l’esemplificazione e spiegazioni ed entro nel merito della questione. Penso ci si debba porre tre quesiti rispondendo ai quali si può capire se narrazione, immaginari e contro-cultura siano legati assieme, se siano un elemento qualificante nella vita dei movimenti e dei centri sociali e se sia un elemento da mettere a riflessione oggi.

  • Estremizzando la posizione possiamo assumere che abbiamo un buco di narrazione collettiva degli/negli ultimi anni? Dico estremizzando perchè non è che non ci sono esempi e tentativi di narrazione ma questa purtroppo non ha dati maggioritari.
  • Assieme alla difficoltà di narrazione possiamo assumere che ci sia stata anche una mancanza di creazione di immaginari condivisi da ampi spettri di popolazione?
  • Tra crisi sistemica, maggiore diffusione di luoghi ludico/aggregativi e l’atomizzazione delle vite i centri sociali stanno facendo fatica a dare impulsi a nuove esperienze e produzioni contro-culturali?

Bene io credo che la risposta semplice ai tre quesiti sia si. Si però non basta. Penso servirebbe almeno un articolo per poter rispondere ad ogni singola suggestione. Non abbiamo lo spazio però per farlo ora e quindi mi limito a proporre una chiave di lettura che tenga assieme tutto. Ci provo: Parto da alcune considerazioni generali:

  • dopo tanti anni è fondamentale riprendere in mano una discussione seria a articolata su narrazione/immaginari/cultura trovando un percorso virtuoso che tenga tutto assieme.
  • “un movimento spinge avanti sempre” quindi inutile guardare indietro e pensare di riproporre qualcosa che ha funzionato decadi fa. Gli anni ’90 non torneranno, sono stati un decennio ricchissimo di narrazione, immaginari e cultura dal basso in tutto il mondo. Dobbiamo guardare avanti!
  • L’ambizione maggioritaria nel fare politica non può che essere una necessità.

Una prima valutazione da fare è mettere nero su bianco è che narrazione, immaginari e capacità di produzione culturale o contro culturale siano cose diverse ma in qualche maniera anche collegate. Flavia ha ragione quando nel suo articolo scrive “ Accettare le sfide che ci pone la complessità in cui siamo, immergerci fino in fondo nelle contraddizioni, guardare al nostro passato come una ricchezza impressa nel nostro DNA, ma spingendoci sempre più in là nella ricerca e nella contaminazione con le forme di produzione che avvengono anche al di là di noi e trovare dentro questo magma terreni comuni di rottura e conflittualità. Solo così possiamo riprendere i fili frammentati di una nuova narrazione del comune.” ed in parte risponde anche alle mie suggestioni prima proposte. Però manca un passaggio:. La capacità di essere soggetti capaci di ibridare e di lasciarsi ibridare. Può sembrare scontato come passaggio ma viviamo una fase storica in cui subiamo un attacco revisionista alla cultura e al fare cultura. Forse siamo già in fase post-attacco dove, anche grazie alle pratiche neoliberali omologanti, la sconfitta culturale è servita sul piatto e dobbiamo ricostruire addirittura una grammatica dei movimenti e dell’alternativa. Condizione necessaria per ripartire. Ed è proprio per questo che credo sia arrivato il tempo di discutere seriamente e mettere al centro del nostro dibattito politico la creazione di nuovi spazi, fisici e politici, che abbiamo come focus la produzione culturale, di narrazione e di immaginari. Oggi fare e agitare cultura con ambizione maggioritaria è pratica assolutamente conflittuale. In questo vuoto trovano spazio le pulsioni di simpatia per fenomeni come i forconi ed il movimento 5 stelle ed in questo vuoto credo che anche noi facciamo fatica ad essere percepiti come portatori di istanze ibridanti e rischiamo di ibridarci per necessità. Il legame tra i tre item credo sia proprio quello sopra esposto, e so che il legame è flebile e non da soluzioni, ma penso con forza che la capacità di fare narrazione e creare immaginari passa dalla capacità di attivare vitalità culturale. L’attività culturale però non deve solo attraversare i nostri spazi ma anche viversi i nostri spazi. Contemporaneamente l’attività culturale e la vita culturale passa dalla nostra capacità di farci portatori di narrazione ed immaginari. Nessuno nasce artista però nemmeno tutti si ha la capacità di sintesi necessaria a raccontare una storia o formare un immagine. Come e cosa fare? Non lo so. Continuare questa discussione è un passaggio fondamentale, magari anche superando la fase scritta e promuovendo un momento pubblico di confronto e discussione. Sale prove, studi di registrazione, sale di montaggio video, studi fotografici, spazi di condivisione di lavoro e genio immateriale devono essere una parte consistente nell’intervento politico negli spazi. Ritornare a sperimentare e guardare avanti: la nostra forza è sempre stata il dinamismo di saper elaborare ed arrivare prima, essere tendenza, non subire la tendenza. Quindi pensare a programmazioni coraggiose che tengano assieme il nuovo, che potrebbe anche non essere vincente (ne per forza piacere), con ciò che già esiste e funziona (senza mettere in discussione ciò che c’è, esiste e piace) provando anche ad alzare il livello qualitativo dell’offerta. Cioè essere spazi capaci di creare competizione artistico culturale non essere solo palchi aperti dove tutto può passare. Non ne sono sicuro ma questo, assieme ai ragionamenti e all’attenzione a queste tematiche, potrebbe darci nuovi stimoli. Torno a quello che scriveva Flavia, nel suo articolo vedo molte cose importanti, e credo che sostenesse che non è importante che nuove narrazioni, nuovi immaginari e cultura debbano nascere dentro il nostro solco d’azione e ragionamento ma è importante che noi si scavi un solco che spinga a mettersi in gioco, noi ibridiamo e ci facciamo ibridare. Sono molto daccordo. Dobbiamo arrivarci a questo punto. La sfida è aperta.

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