Racconti Zam

 

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto.

(Ludovico Ariosto, “Orlando Furioso”, Canto 1, Proemio)

 

 

…”Non mi convince”…

(le ultime parole famose pronunciate da T. all’indirizzo di E. davanti a Via Olgiati 12 un mese prima dell’occupazione)

 

 

…”Anche se, tutti ballano tranne te”…

(da “Tranne te” di Fabri Fibra, messa da dj Brega la prima notte di occupazione di ZAM)

 

 

…”La legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me”…

(Immanuel Kant citato da anonima davanti ai bagni di ZAM alle 2.15 di notte di una serata reggae)

 

Indice

  

Un nuovo inizio – Il Greco

Zam, centro sociale occupato – Sarzino

Zam – Mara

Ci sarebbe un posto in Barona… – Teo_buono

Dal mare aperto ad un approdo sicuro, Zam – Il Fungiatt

Laggiù in Barona, alla mattina…  – F.N.T.

Что делать? – Stioni

La nebbia – Andrea

Una luce strana – Frafrey

Un anno di Zam – T.S.

Solvente – Pietro Paolo Virdis

Un anno di Zam, il diario di una recluta – Gully

Una serata no – Sarkis

Insieme siamo invincibili – T.

23 Luglio 2011 – T.P.

AB – F.N.T.

Tolstoj si scrive con la J! – C.

  

 Milano, 29 Gennaio 2011

 

L’Avventura è appena cominciata: Zam, uno spazio nuovo in movimento e per i movimenti a Milano!

L’avventura è cominciata. Siamo dentro, da sabato. Stiamo lavorando, pulendo, imbiancando, aggiustando, costruendo. Passano vicini di casa a guardare, qualcuno entra, chiede, commenta, si propone, sostiene. Ci raccontano di questo spazio, abbandonato da tempo, dei migranti che in alcuni periodi vi hanno vissuto in condizioni indegne, al freddo e al buio, dell’infamia della Polizia Municipale che li ha sgomberati solo per continuare a lasciare muri vuoti a prendere acqua e a degradare in condizioni progressivamente sempre peggiori.

Abbiamo occupato uno spazio in Barona, un quartiere stimolante, a metà strada tra un’antica tradizione popolare e di sinistra (con diversi luoghi d’aggregazione come il Bitte ed il Barrio’s) e le trasformazioni urbanistiche che stanno cambiando tutta la metropoli.

Sabato siamo entrati in tanti, insieme, alla luce del sole. Nel corso delle prime due giornate sono venute a conoscere Zam in diverse centinaia, a ballare con noi, a far festa, a discutere e pensare.

In queste poche ore siamo invasi da idee, proposte e sorrisi. Gente che si preannuncia per la prima assemblea di gestione, persone che chiamano per offrire mobili da recuperare, spettacoli teatrali da proporre, gruppi musicali da far suonare. Tanti amici di vecchia data, tanta gente nuova e mai vista.

Non siamo bravi noi, non è un merito che possiamo rivendicare in esclusiva. Se abbiamo avuto una capacità è stata semplicemente quella di credere in Milano, nei suoi soggetti in movimento.

Diciamo le cose come stanno: ce ne vorrebbero almeno una alla settimana di occupazioni! Altro che gli isterismi di De Corato, altro che fantomatiche strategie che non ci sono (e il bello è proprio che non ci siano!)

Da un po’ di tempo a questa parte a Milano si respira un’aria diversa: merito delle lotte che hanno attraversato questa città, di chi le ha fatte vivere, dall’alto di una torre o di un carroponte come nei cortei contro la riforma Gelmini, merito di chi ha occupato scuole, facoltà universitarie, spazi sociali, luoghi di lavoro, strade e piazze.

Noi siamo e vogliamo essere semplicemente una piccola parte di tutto ciò. La disponibilità e l’entusiasmo che si stanno aggregando intorno a questo progetto sono il frutto di un processo sociale ricco e complesso, di mobilitazione e partecipazione, che per fortuna non comincia né finisce con la nostra collettività ed esperienza.

Siamo dentro uno spazio nuovo che sta già vivendo in queste prime ore in mille modi, siamo qui perché a Milano c’è ancora un’enorme carenza di luoghi d’aggregazione, di produzione culturale, sociale, politica, di spazi in cui alimentare il conflitto sociale. Ma siamo dentro uno spazio occupato e liberato per avere un’arma in più per far vivere tutto ciò non solo dentro queste mura ma anche più in generale dentro la città. Una base da cui partire, un avamposto per attaccare, uno spazio comune d’avanzamento per i movimenti.

In queste ore frenetiche ed entusiasmanti ci tenevamo a trovare due minuti per dire tutto ciò, per ringraziare chi c’ha aiutato da tempo e chi si sta coinvolgendo ora.

A breve proseguiremo con altre riflessioni, comunicazioni, proposte, iniziative.

Zam, uno spazio nuovo in movimento e per i movimenti a Milano. Ne sentirete delle belle.

Zam – Zona Autonoma Milano

VIA OLGIATI 12

BARONA, MILANO

 

UN NUOVO INIZIO

 

“Passa a fare due chiacchiere domani, si pensa ad un progetto che ti potrebbe interessare…”.

“Finalmente!” dico io, “Ci sarò…”.

Era tanto che non facevo più qualcosa di simile…la voglia di mettersi in gioco sentivo che ora tornava come un tempo…i progetti, le assemblee, la musica, i concerti, le azioni, gioia e delusioni…ahh…finalmente di nuovo il mio mondo…

Sì, ma quale luogo può essere adatto per una “TAZ” senza bruciarsi un bel posto per il futuro? Una scuola? No, troppo distrutta per renderla agibile in poco tempo… Una enorme fabbrica o una vecchia officina? Mh…una è troppo grande per monitorarla tutta e l’altra oltre che essere inagibile è piena zeppa di materiale nocivo…

“Guarda che bello questo posticino proprio qua, in questo luogo simbolo…”, mi dice il mio amico/compagno di notti insonni lungo le vie della città.…tutto composto e sempre determinato… “Bello, bello…” ribatto io, ma è troppo piccolo, e circondato da appartamenti della nuova metropoli della moda…

E allora è proprio difficile, e il tempo stringe, una TAZ deve spaccare, deve essere come un fulmine a ciel sereno, deve lasciare il segno, e di conseguenza un po’ di caos lo devi fare…

Ma il suggerimento giusto finalmente arriva: “Provate a vedere quello stabile…ma sì, pare sia un ex macello…”.

All’inizio non convinceva molto, ma dopo alcune accurate visioni del luogo abbiamo cambiato idea: è il posto giusto…!

Ci troviamo all’ora x il giorno x nei pressi dello stabile e a volto coperto entriamo…

Stupore…

Lo spazio è bellissimo (chiaramente non tutto agibile e provvediamo subito a mettere in sicurezza il salone principale), è grande, è lontano dalle case…dopo poco entrano gli studenti…ci guardiamo, ci abbracciamo…è il nostro luogo, almeno per tre giorni…

Ma tre giorni fanno in fretta  a passare…obiettivo raggiunto, certo, ma questi tre giorni hanno messo nella collettività la voglia di uno spazio liberato fisso, dove potersi esprimere e costruire insieme sul medio/lungo periodo, ci rimettiamo in moto…

Ormai anche se ancora giovane sento il peso dell’età che passa, e propongo di occupare in Primavera (è più sopportabile gestire i lavori e dormirci dentro), ma gli studenti, come è giusto che sia, spingono per farla entro Gennaio.

Un po’ contrariato sto alle decisioni del collettivo e riprendo il mio lavoro notturno con un ristretto gruppo di compagni fidati (anche se mi accorgo che con l’età che avanza è sempre più difficile, soprattutto se il giorno dopo si lavora).

Dopo tanti sopralluoghi insieme, troviamo un posto veramente agibile, con dei bei bagni, acqua corrente e saloni per le feste e per un’ipotetica palestra…stanze per laboratori, infoshop ed aule studio e udite udite…un bellissimo cortile.

“E’ lui!” faccio io “Assolutamente sì!” ribatte il mio compare…

E’ costato fatica, stanchezza, fughe e notti insonni, ma quando finalmente siamo dentro e ci guardiamo e capiamo subito che il lavoro collettivo e la determinazione uniti alla passione hanno funzionato e siamo di nuovo pronti per un’altra sfida, un nuovo conflitto, una nuova passione…

GRAZIE A TUTTI COMPAGNI E LE COMPAGNE

 

Il Greco

 

 

ZAM, CENTRO SOCIALE OCCUPATO

 

Quando ho iniziato a far politica ero entrato al Manzoni da poco e mi approcciavo a uno dei collettivi più importanti di allora con curiosità più che con convinzione. Ricordo che la scossa  arrivò quando in quinta ginnasio, con il collettivo, andammo, dopo aver picchettato la scuola, al funerale di Dax. Quell’esperienza me la porto dentro perché mi fece capire che chi fa politica come la facciamo noi si può trovare a dover dar tutto e a perdere tanto. Quello che mi colpì di più, oltre al dolore che i compagni provavano con estrema dignità, erano le facce sconvolte dei familiari ed il pensiero andò subito a mia madre, a mio padre, a come avrebbero reagito in quella situazione, se ne valesse veramente la pena, soprattutto se a pagare oltre a te doveva essere gente che non aveva scelto la tua vita. Quella domanda me la feci per tanto tempo e se adesso, dopo nove anni, sono qua che scrivo, la risposta che mi diedi la si può intuire. Non so esattamente dire tutto quello che imparai quel giorno. Di sicuro, oltre a far accrescere in me un sentimento antifascista viscerale, capii cosa per me voleva dire la parola compagno: è diverso da un’amicizia storica, anche se un amico può essere anche un compagno, è un legame interiore che nasce nelle esperienze comuni, nei momenti belli e in quelli brutti, nei problemi e nelle sbornie, nelle trasferte infinite in pullman e negli eterni sbattimenti, nelle delusioni e nelle soddisfazioni. E’ un qualcosa che ti obbliga a non deluderli e ferirli, a stargli vicino sicuro che loro farebbero lo stesso per te. Per prendere spunto dai 99 Posse “è un odio mosso d’amore“. Oggi dopo nove anni tutto è cambiato, prima di entrare nei Corsari, a parte la breve esperienza del Kasa, nessun progetto politico in città mi convinceva e nonostante fosse un collettivo chiacchierato scelsi di conoscere questo progetto e di farne parte. I Corsari mi diedero subito piccole e grandi soddisfazioni che mi convinsero di aver trovato la mia dimensione. Mi piaceva il gruppo, la sua concretezza nel porsi e raggiungere degli obbiettivi, il grande senso di appartenenza che ci portava a ridere degli insulti degli sfigati su internet e mi piacevano quegli scapestrati studenti della Rete con un talento particolare a mettersi nei guai (proprio come me alla loro età). Nel Settembre del 2010 in una riunione alla Coop di Via Lomellina si è arrivati alla conclusione che il collettivo aveva bisogno di rinnovarsi, di evolversi, di fare un passo importante: iniziare un percorso che ci portasse in breve tempo a occupare uno spazio in città. Come tutte le scelte importanti non fu facile. C’era la necessità di aumentare il numero dei componenti del collettivo ed anche di creare una nuova realtà rinunciando quindi ai Corsari. Oltre a ciò alcuni della vecchia guardia, con alle spalle anni di occupazione di spazi, comprensivamente, non avevano la possibilità di accollarsi il carico di lavoro che uno spazio comporta. Nonostante questo, grazie  al fatto che alle prime assemblee pubbliche per l’occupazione nuovi compagni si affacciarono al progetto, che la Rete Studenti e gli universitari spingevano per occupare e che alla fine anche la vecchia guardia si convinse, si è arrivati alla prova generale in Viale Molise. Tre giorni fantastici di dibattito, socialità, aggregazione e divertimento. Un’assemblea nazionale con i più importanti spazi d’Italia e una degli studenti medi da tutto il Nord Italia. Milano tornava per una volta a proporre qualcosa di nuovo che interessava tanti anche da altre città. Ce ne andammo dopo tre giorni a malincuore ma sicuri che senza un tetto ci saremmo stati ancora per poco. Nei mesi successivi iniziò un’intensa mobilitazione studentesca in cui molti di noi furono protagonisti e che ci diede ulteriore fiducia. Arrivò Gennaio e il giorno dell’occupazione ero nel gruppo che doveva aprire la porta e fu bellissima la sensazione che provai quando saltò la catena ed entrammo. “Zam torna per restare” recitava il primo comunicato e l’entusiasmo era alle stelle. I lavori incominciarono subito e dopo breve tempo una parte dello stabile era già molto carina. Zam nei mesi successivi diede vita a momenti di lotta e ad iniziative culturali e musicali e nel frattempo lo spazio piano piano veniva messo a posto. Gli ancora vivi Corsari non si fecero mancare le amate scorribande notturne come il festeggiamento del “licenziamento” dell’eterno nemico Riky De Corato sotto la sua dimora. Nel mese di Giugno in Val Susa, dopo lo sgombero del presidio a Chiomonte, si riaccese la lotta contro l’alta velocità. Il tre Luglio al corteo nazionale Zam organizzava tre pullman e anche se non voglio dilungarmi su quella fantastica giornata di lotta ci tengo a dire che siamo riusciti a toglierci delle soddisfazioni. Molti di noi per tutta l’estate sono andati regolarmente in valle a sostenere la lotta dei valligiani. Per l’anniversario della morte di Carlo Giuliani Zam riusciva ad organizzare altri tre pullman e così per il 15 Ottobre a Roma. Anche qui non mi voglio dilungare su queste giornate perche è stato già detto tanto anche da noi, ma posso dire tranquillamente che, aver aggregato tanta gente diversa per questi cortei mi riempie di gioia e soddisfazione, come del resto quello che abbiamo fatto da Settembre ad oggi e come abbiamo ricominciato l’anno: due dei collettivi che sono parte di Zam, Lab.Out e Rete Studenti, hanno avuto la capacità di dar vita ad importanti momenti di lotta che hanno avuto risalto nazionale come l’assedio alla Bocconi. Zam oltre ad aver stretto rapporti con le associazioni della Barona, aver supportato l’Anpi al presidio contro l’apertura della sede della Fiamma Tricolore ed i lavoratori dell’arte nella loro lotta, è diventato un importante punto di riferimento e di aggregazione a Milano. Quello che ci tengo a dire è che io sono soddisfatto e contento sia di essere stato corsaro che di essere adesso di Zam, perché nonostante quello che qualcuno può dire, abbiamo fatto tante cose belle e ci siamo sudati tutto quello che abbiamo senza che nessuno ci regalasse niente.

Sarzino

 

ZAM

Tutto iniziò per me in un tranquillo pomeriggio autunnale…

Sono rientrata da poco dal lavoro e sono stravolta, fa freddo, l’umore oggi non è dei migliori, appena apro la porta di casa volano via borsa, scarpe, giacca, tutto.

La giornata lavorativa e gli sbattimenti quotidiani me li butto alle spalle….è finita, e non vedo l’ora di rilassarmi, di leggere il Manifesto, di bere un the, rollare un joint e dimenticarmi che sono a Milano.

Tutto come sempre e nessun segno evidente che da lì a poco la mia vita farà un  giro di blues.

Nel tardo pomeriggio squilla  il telefono, chi cazzo è adesso mi dico, è mia madre, uh, che tutta contenta mi racconta che davanti a casa sua un gruppo di giovani sta occupando le palazzine liberty vuote da anni.

La notizia mi rimbalza nel cervello per qualche secondo.

Come occupando?

Le palazzine liberty …quelle che è un secolo che ci ho messo gli occhi sopra…!

Ma poi…chi occupa?

In tre nanosecondi prendo l’amica Tania che divide casa con me, la giacca, le scarpe, il joint e mi catapulto lì per trovare delle risposte e verificare che mia madre non abbia avuto un’allucinazione….e  cazzo no, hanno occupato davvero!

Ora l’allucinata sembro io!

Impazzita di gioia inizio a fare domande, mi presento a tutti, trascino l’amica per la giacca su e giù da scale infinite, cerco di capire che cosa sta succedendo nel mio quartiere.

Il mio quartiere, e sono ancora incredula.

L’occupazione è durata tre giorni…ed è solo dopo quei tre giorni che è iniziata davvero la mia relazione con Zam.

La chiamo relazione perché, la costruzione del percorso, il tempo e le energie spese, l’affetto che provo ora per i compagni e l’appartenenza che ho sentito in seguito per il luogo scelto, mi hanno impegnata  testa e cuore come in una relazione.

L’occupazione-liberazione di Zam in via Olgiati 12, quartiere Barona, è avvenuta il 29 Gennaio e in quei giorni passavo dalla mia vecchia casa a quella nuova, ospite ancora da amici, fresca di una serie di decisioni  difficili e significative per la mia vita,  ero proprio in una di quelle fasi in cui da una vecchia storia ti catapulti in una nuova e le chiavi di Zam nelle mie mani, ancora prima di quelle di casa, hanno avuto per me un significato particolare e speciale.

Se non rifletti mai sulla tua vita, e quando lo fai non agisci di conseguenza, se non ti metti mai in gioco, finisci per ingessarti, per perdere il senso delle cose, corri il pericolo serio di dimenticare di scoprire chi sei e cosa vuoi veramente, finisci per dimenticare di farti le domande giuste  e trovare, o almeno tentare di trovare, delle risposte.

Le tue risposte.

Zam è  una delle mie risposte, e come una terapia mi ha stimolata a farmi molte altre domande e ha contribuito a tutta una serie di cambiamenti che ho voluto e desiderato nella mia vita per lungo tempo, mi ha aiutata a dargli in parte concretezza, a farmi ritrovare entusiasmo e farmi sentire meno sola soprattutto nell’immaginare, nel progettare, nel resistere nel mentre che esisto.

Zam è stato ed è un viaggio, uno di quelli in cui l’importante è che sei in viaggio, tu con il resto della banda.

L’adrenalina di entrare fisicamente nella nostra zona autonoma, il piacere dell’idea che si concretizza, finalmente, il sorriso, ormai paralisi, che non riuscivo e non volevo togliermi dalla faccia, la prima notte trascorsa dentro, i cornetti caldi del giorno dopo e noi tutti intorpiditi ma felici, sono stati lo spartiacque tra un prima e un dopo.

Un dopo fatto di cinque, sei ore a notte, occhiaie, risate, conoscenze, scambi continui di idee, mediazioni, cambi continui di vestiti, via quelli del lavoro che mi mantiene economicamente e su i vestiti del buttare tonnellate di merda, del dipingere pareti fino all’autismo, del  pulire pavimenti, dell’inventare, del costruire, vestiti sporchi, molto sporchi,  ma che mi hanno mantenuta  spiritualmente, intellettualmente e socialmente viva come non mai.

Sono entrata in un tunnel dal quale è stato difficile uscire per un po’ di tempo, totalmente assorbita, rapita e appassionata da Zam.

L’avventura continua, tra gli alti e bassi della vita e le continue domande che mi pongo, le  risposte che trovo, quelle che mi sfuggono, ma va tutto bene.

Sono, siamo, parte di un progetto che spero continui a esistere e resistere nel tempo, a evolversi, a coinvolgere e avvolgere le persone proponendo modelli diversi di partecipazione,  spunti di riflessione sia umani che politici.

Il 29 Gennaio è nato un fiore, rosso e resistente alle intemperie.

Mara

 

CI SAREBBE UN POSTO IN BARONA…

Milano, quartiere Barona, 16 Dicembre 2010, tardo pomeriggio

“Non mi convince“.

“Ma che cazzo dici!!?? E’ bellissimo!!”.

“Sì…ma guarda quella cazzo di buca nel cortile! E poi è di fianco ad un asilo… Già mi immagino la prima pagina di Libero con le ironie sugli autonomi che si mangiano i bambini…”.

“Sei un coglione! Per me è perfetto“.

“Mmm…”.

“Vabbé…intanto pigliamoci un’altra birra dal cinese…che tu a far scendere l’entusiasmo sei fatto apposta!”.

“Pensa se vince Pisapia…finisce che ce lo teniamo per 20 anni…”.

Se adesso non capite questo breve siparietto niente paura! Alla fine del racconto tutto vi sarà chiaro…

Milano, Via Lomellina 14, primi giorni dell’Ottobre 2010, tarda serata

Entro in Cooperativa scazzatissimo, chiedo una birra a F. che serioso sovraintende dietro al bancone e mi siedo al tavolo. Dopo un po’ mi raggiunge C.

“Stiam vedendo un mare di posti, ma nessuno sembra adatto ad una TAZ“. Attacco io. “Mmm… Ascolta ma hai provato in Viale Molise?”.

“No! Dove?”.

“Ti ricordi quel posto dove eravamo passati in motorino per andare al Macello?”.

“No, non mi dice niente“.

“Ma sì dai! La palazzina liberty dietro l’Ortomercato. Quella dove Esterni fa uno spettacolo teatrale una volta all’anno!”.

“Cazzo! Non ci avevo pensato! Ma avrà una proprietà pessima…”.

“Sì, ma dobbiam starci dentro solo tre giorni!”.

“Vabbé… Allora stasera andiamo a vederlo“.

In passaggi successivi, con il V., N. e la M. ci rendiamo conto della bontà dell’ipotesi. Si tratta di una bellissima palazzina liberty dove un tempo c’erano gli uffici del Macello di Milano, a quanto pare poi, dentro c’era pure una banca che i compagni si sono fatti nei primi anni ‘80.

Lentamente i dubbi vengono superati ed i pezzi del puzzle vanno al loro posto. Ci rendiamo conto che il deposito auto rimosse è separato dal cortile della palazzina e che quindi non dovrebbero esserci problemi coi Vigili Urbani.

La ASL che sorge a lato di Molise 68 inoltre non è comunicante col “nostro stabile“. L’unico nostro (grande) problema è che la zona dell’Ortomercato è storicamente crocevia di ricchi appetiti criminali delle famiglie della ‘ndrangheta milanese. Il fatto che l’occupazione è temporanea però non dovrebbe crearci eccessivi guai. Ma anche Via Fleming era un’occupazione temporanea…e lì di problemi ce n’erano stati eccome…

Comunque la decisione viene presa.

Questo è il nostro posto!

Questo sarà Zam Racaille!

Milano, Viale Molise 68, 22 Ottobre 2010, primo pomeriggio

Ci caliamo i passamontagna ed iniziamo a correre.

In testa N. Neanche fossimo il commando di Via Fani!

Mi immagino le facce alibite della gente che ci vede passare.

In un balzo ci facciamo tutta la scalinata che tanto assomiglia a quella della “Corazzata Potemkin“.

N. ed il V. si avventano sulla porta del palazzo. Brutta sorpresa… La porta nasconde un bel muro di mattoni. Vedo i miei peggiori incubi concretizzarsi e passarmi in testa per un secondo. Li scaccio via. Non c’è tempo da perdere!

Ci lanciamo su una finestra che viene giù in pochi secondi. Questa è libera.

Io che sono il più magro del gruppetto entro. Mi segue il V. Correndo ci spostiamo su una porta laterale che tiriamo giù a calci. Dietro la porta le prime figure che vediamo sono N. ed il N. Sono raggianti!

Corriamo nell’immenso salone di questa splendida palazzina liberty.

Un selvaggio urlo di gioia rimbomba tra le pareti.

E’ nato Zam Racaille!

Con altri inizio ad esplorare il labirinto dei sotterranei…

Poi, come da tradizione, visitina sul tetto…

Milano, Bovisa, primi giorni di Gennaio del 2011, notte inoltrata

 

Devo ammettere che la Bovisa è il paradiso degli occupanti. Una quantità incredibile di stabili abbandonati uno dietro l’altro.

E’ tardi.

Questo è l’ultimo posto che dobbiamo vedere.

Parcheggio stancamente l’auto lungo il vialone. La radio trasmette “Behind blue eyes” degli Who.

La M. resta in macchina per controllare il passaggio. Anche perché non ha ancora fatto 18 anni. Lei scalpita e morde il freno. Vuole stare sempre nel cuore dell’azione come quel giorno in Viale Abruzzi… La foto dell’ufficiale dei Carabinieri che la prende a calci mentre è a terra ha fatto il giro d’Italia.

Con il V. ci incamminiamo per una vietta stretta, lunga ed assolutamente buia. Fa un freddo bastardo.

“Un po’ inquietante!”. Ridacchia il mio socio.

“Non è che troviamo un auto bruciata con dentro un cadavere?”. Aggiungo io. Arriviamo al cancello. Il posto è immenso. Il V. entra scavalcando. Io proseguo e mi piazzo in fondo alla via. Sono intirizzito… Dopo una decina di minuti mi squilla. Ci ricongiungiamo.

“Niente da fare – mi dice con tono professionale – E’ troppo grande. Andrebbe bene per un rave…”.

“Brrrr… Dio ce ne scampi!”. Scherzo.

“Beh…dai…sarebbe divertente!”.

“Sì, potremmo chiamare i Prodigy…”.

“Ti immagini!!??”.

“Vabbé rientriamo che domani si lavora“.

“Prima andiamo a prenderci un panzerotto da qualche parte però…”.

“Va bene… Un altra notte di gloria!”.

Milano, quartiere Barona, 16 Dicembre 2010, tardo pomeriggio

“Dai, passa al Bitte che ti offro da bere“.

“Arrivo“.

Quando fa così, di solito, il N. mi deve comunicare qualcosa di importante.

Dieci minuti dopo faccio il mio ingresso al Bitte dove sta lavorando come cuoco. “Cazzo! Che rabbia non essere stati a Roma due giorni fa!”. Esordisce lui.

“Già… Ma c’è una spiacevole impellenza chiamata lavoro…”.

“Ascoltando la diretta di Radio Popolare stavo impazzendo!”.

“Non dirlo a me…”.

Da buoni militonti stiamo a parlare degli scontri di Roma per un’altra mezz’ora buona, consci che si sia trattato di un evento in qualche modo “storico“.

Ad una certa, cautamente cerco di cambiare argomento: “Immagino che non mi hai chiamato qui solo per questo…”.

“Immagini bene. Adesso ti porto a vedere un posticino niente male“.

Saliamo in macchina e dopo un minuto siamo già arrivati.

“L’ho trovato una sera mentre ero in giro con M.”. Aggiunge conciso E.

Il posto è effettivamente molto bello. Un ampio giardinetto e due stabili. Uno basso ed uno alto a vetri. Praticamente nessuna casa attaccata. Due però i problemi: un’immensa buca transennata nel cortile ed un asilo praticamente attaccato… La buca nel cortile non lascia presagire nulla di buono. Con il mio consueto ottimismo mi immagino già scavi di qualche tipo per valutare la tossicità del terreno…

Dico ad E. che non mi convince.

Lui, ovviamente mi da del cretino…

Il tempo gli darà ragione.

Milano, metà Gennaio 2011, Stazione Garibaldi, mattina

“Sì buongiorno, sono Locatelli dell’immobiliare Gabetti, la chiamo per avere informazioni sullo stabile di Viale Marche 15. Dai dati in nostro possesso risultava essere un service point della DHL, ma abbiamo verificato che risulta ormai chiuso da qualche anno. Nulla, in vista di nuove acquisizioni in quella zona di Milano saremmo interessati allo stabile e se possibile ci servirebbero delle informazioni su come contattare l’attuale proprietà“.

Incredibile la professionalità con cui il M., chiuso nel magazzino della libreria si finge un agente immobiliare. In silenzio attendiamo una risposta dal vivavoce…

“No guardi, capisco le sue esigenze, ma non le faccio perdere tempo. Lo stabile non è più della DHL e nel giro della fine del mese inizieranno i lavori per farne uno studio radiofonico“.

Gelo e silenzio da parte nostra.

“Capisco… Grazie dell’informazione e scusi se l’ho disturbata!”.

“Si figuri…”.

Niente da fare. Lo stabile sul quale facevamo più affidamento è bruciato. Un successivo appostamento confermerà la veridicità dell’informazione. L’uscita di una squadra di tecnici dallo stabile di Viale Marche segna la parola fine su quel progetto. Restano un po’ di posti, ma nessuno è “perfetto” per un centro sociale. O meglio, nessuno è perfetto per una Zona Autonoma.

Il “gruppo di fuoco” li sta visionando uno dietro l’altro, ma i commenti del V. e di M. ad ogni uscita non sono mai entusiastici.

E. però non si è dato per vinto e, tornato da un viaggio, è ripartito all’attacco. Ha ripreso a spingere sul “suo” posto ed alla fine l’ha avuta vinta.

Obiettivo finale: Via Olgiati 12 nel quartiere della Barona.

Barona che non vede un’occupazione di uno spazio sociale da più di 30 anni. Dai tempi del mitico Collettivo Autonomo Barona distrutto a fine anni ‘70 dal dilagare dell’eroina arrivata dal Giambellino e dal dilagare degli arresti legati alla lotta armata di quel periodo.

Milano, 29 Gennaio 2011, Via Olgiati 12, primissimo pomeriggio

Siamo dentro. In 150 siamo finalmente dentro. Due mesi di sbattimenti hanno dato i loro frutti.

F. mi sorride. Sembra quasi contenta. Anche lei, come tanti di noi, è “orfana” di uno dei tanti spazi sociali chiusi a Milano in questi anni durissimi.

Da questa sconosciuta via della Barona però, i tempi della fine del Bulk sembrano ormai lontani. Ossigeno puro per tutti noi.

Ora inizia la parte più difficile.

Teo_buono

DAL MARE APERTO AD UN APPRODO SICURO, ZAM

Argh…corpo di mille balene!

Bei tempi quando lasciavamo il porto per assaltare la festa del Pdl o per abbattere quelle assurde recinzioni intorno al Monte Mom; eh sì…sono ancora vivi i ricordi di quando abbiamo portato battaglia a quel tale Ichino, e che belle le nostre sortite in giro per la città, passando da Via Bellerio al Manzoni…

Il tempo però scorre inesorabile e come spesso accade esso è foriero di cambiamenti, la nostra nave ha cominciato a soffrire le intemperie, la ciurma ha perso compagni e ne ha trovati altri, ma più di tutto in molti di noi è nata l’esigenza di trovare un rifugio sicuro, un luogo che ci potesse permettere di riposare e pensare alle prossime scorribande ed azioni.

Quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho…

Trovare un luogo che ci potesse fornire tranquillità però non era certo cosa facile, il nostro nome era conosciuto dal Mar Ticinese sino alle lande dell’Isola e per quanto fosse bella la vecchia locanda del Frizzi e Lazzi non era in grado di aiutarci questa volta; per molto tempo la nostra nave vagò senza meta fino a quando i venti non ci guidarono verso il nostro nuovo e provvisorio rifugio, il Bellezza, noto punto di ritrovo di persone dei tempi che furono ma, che, nonostante tutto ci accolsero con loro…

Dopo un breve periodo però la convivenza si fece più difficile, e qualcuno pensò anche di estrarre le  sciabole e di passare a fil di lama i nostri nuovi amici, ma poi non se ne fece nulla…e dire che una volta lo avremmo fatto senza esitare un solo secondo ma il tempo, come dissi prima, ci aveva cambiato; consapevoli che non sarebbe stato facile cominciammo nuovamente a guardarci intorno alla ricerca della nostra nuova meta e girando, parlando ed esplorando trovammo un luogo utile per fare tappa e riordinare velocemente le idee…

Accadde tutto in fretta, tre giorni alla Baia di Molise 68 ci caricarono di gioia ed entusiasmo e tutte le nostre forze, idee e desideri da quel momento furono volti ad un solo ed unico scopo, terminare i viaggi per trovare un approdo ed un rifugio sicuro!!

Aye la fortuna ci diede una mano, migliore di quella che offrì al vecchio Barbanera finito in pasto agli squali mentre beveva del buon rhum, e ci condusse, senza esitazione, verso il Mare della Barona, ed alla nostra futura casa: lo Zam, nell’insenatura dell’Olgiati…

Eh sì, davvero bello questo posto, bello e grande, forse anche troppo per una sola ciurma di corsari, e così a noi si unirono vecchi e nuovi amici…il 29 Gennaio è una data che molti di noi porteranno nella memoria per sempre, quel pesante cancello che si apre, il freddo pungente, ma anche il calore e l’entusiasmo di quanti la sera stessa sono accorsi a fare baldoria e a tracannare birra fino a scoppiare…

Certo i primi tempi non furono assolutamente dei migliori, bisognava pulire tutto, creare porte, costruire una taverna dove poter saziare le nostre gole (perché una compagnia come la nostra non avrebbe certo potuto farne a meno), e poi quel buco proprio in mezzo al cortile, per molto tempo valutammo se tenerlo o no, in fondo, una volta, avevamo la passerella e gli squali mentre ora non ci rimaneva che quello…e corbezzoli, alla fine si decise di chiuderlo…

Ahhhh siamo davvero cambiati!!

Il tempo e la nostra volontà di fare di quel luogo a volte ostile e duro la nostra dimora ci permisero di fare passi da gigante, in breve tempo creammo una sala per fare feste e serate, per quei pochi che sapevano leggere fu allestita anche una libreria o come molti usano dire infoshop; la ciurma proveniente dal Mar Ticinese ci aiutò prendendosi cura della palestra, e poi creammo ancora la sala per i grandi sabba sotto al Palazzo di Vetro e infine ecco la palestra per arrampicare, voluta e costruita dal nostro mastro Checco. Il nostro Zam divenne punto di ritrovo e aggregazione, e per Poseidone era davvero così!

Ah le serate trascorse passate ascoltando quei simpaticoni degli Assalti Frontali, il raggae o gli scoppiettanti Petardi!!

I ricordi di questo primo anno si mescolano e mi inebriano come fa il buon rhum del Frizzi e Lazzi; tante occasioni di fare festa, ma anche opportunità per dare colore ai nostri muri e a quelli dei nostri fortunati vicini, e fu così che colorammo le pareti di casa nostra e del quartiere; la nostra voglia di cambiare e lottare però ci spinse anche a tornare nuovamente in nave per le scorribande dell’adunata chiamata Mayday, mmmh…l’odore di poliuretano espanso, l’attacco alle sedi di chi priva il popolo di case e di chi vi lucra senza scrupoli, la musica ed i balli sfrenati sono cose che ci rendono vivi. Tornei di basket, visite ad Equitalia, viaggi fino alla lontana Roma o alla impervia Val Susa, luoghi e situazioni diverse, ma ovunque il nostro stile ci ha contraddistinti; la gola mi brucia, forse ho bevuto troppo, e ancora oggi nonostante l’originale equipaggio dei Corsari si sia sciolto continuo a parlare come se fosse ancora unito sotto quella bandiera, cosa che in parte è vera ed in parte no, poiché la ciurma fu sciolta per creare una famiglia ancora più grande, la collettività di Zam; ecco questa cosa accadde in tempi recenti, ma come ho detto i ricordi si mischiano ed io sono sempre più ubriaco…

Qui nella Barona abbiamo trovato amici con cui parlare e relazionarci ad esempio i ragazzi di Isla de Bitte, nostri vicini, sono gente simpatica e con cui ci si può divertire ed interagire, o i compagni di Isla ANPI anche loro persone a modo con cui ci troviamo bene…ma purtroppo non ci sono solo amici, ma anche nemici infatti recentemente sono comparsi i fascisti di Fiamma Tricolore, ai quali è stato fatto capire con un presidio partecipato che qui per loro non c’è spazio…

Siamo passati dalle visite al Pd alle scorribande sotto la casa di Ricky, dopo la sua caduta, ad incontri culturali, mi vengono in mente le presentazioni di fumetti e libri del prode Zerocalcare fino a mostre sugli anni ‘70, ma anche spettacoli teatrali, e tanti episodi di divertimento che generano in me sorrisi e nostalgia, come quando il nostro membro più saggio (anziani non si è mai) decise di accendere una torcia in casa nostra, un modo colorato e divertente per concludere una serata o quando la nostra Sararouge fu catapultata nella ghiacciaia…

Ricordare un intero anno è difficile, e forse nemmeno io voglio entrare troppo nei particolari, forse perché spero che questa nostra avventura continui ancora a lungo, forse perché spero di poter avere una seconda occasione di cimentarmi in un simile lavoro, forse perché certe cose bisogna viverle e perché io stesso mi rendo conto che per quanto un racconto sia ben scritto e ricco di dettagli ed aneddoti non potrà mai essere all’altezza delle emozioni e dell’esperienza che Zam ci sta facendo provare, sicuramente però posso dire che Zam ha avuto il merito di darci una nuova spinta, di renderci amici, compagni ed in qualche caso fratelli.

Non so cosa ci riserverà il futuro, se attraverseremo mari burrascosi o periodi di bonaccia e quiete, quello che però voglio credere e sperare è che oggi come domani possa contare su questa grande, passatemi il termine, famiglia e che essa possa fare altrettanto con me.

Il Fungiatt

 

LAGGIU IN BARONA, ALLA MATTINA

 

Altro che mattina, è una sera calda d’estate e sono come al solito in macchina per Milano a non fare nulla. Devo recuperare il tenente P. in stazione.

A dirla tutta è anche il mio compleanno, ma in una giornata come quella può benissimo passare in secondo piano.

Sono stanco, e parecchio, ho lavorato settimana scorsa e ieri sera ho decisamente bevuto troppo; stasera non bevo, no, stasera non tocco proprio un cazzo di alcool. Subito dimostro la mia forza di volontà infinita andando a bermi una birra con il tenente; vabbé, una birretta il giorno del mio compleanno me la sono pure meritata.

Mi raggiunge qualche mio amico, uno di quelli che non fanno politica e che sono distanti da questo mondo. Brindiamo, sbevazziamo, chiacchieriamo, ma la mia mente è decisamente restia a sedersi al tavolo con noi, sta svolazzando per valli e montagne. Ridendo e scherzando si sono fatte le 23, partiamo in macchina verso Via Olgiati 12. In quel periodo non avevo un buon feeling con quel posto, si insomma, esattamente come puoi non avere un buon feeling con casa tua. Certe volte vorresti correre via, smettere di vedere quelle mura, immaginare scenari completamente diversi. Altre volte ti mancano, le vorresti avere vicino e vorresti proteggerti al suo interno dalle bufere che regolarmente ci cadono addosso. Bhè, ero decisamente nel primo caso. Anzi, non ci volevo andare proprio, ma qualcuno tra cui il tenente, dormiva là, e le avevo promesso che l’avrei accompagnata.

Insomma, si va, ma il mio obiettivo era andare a dormire il più in fretta possibile, il giorno dopo sarebbe stata una giornata piena e volevo essere al 100%. Niente after, niente sbronze, niente compleanno. La sveglia era prestissimo non volevo rischiare di arrivare con il mal di testa o peggio ancora di non svegliarmi proprio.

Arriviamo, decido di entrare a fare un giro, salutare, vedere le facce, probabilmente per molti era una nottata tesa, le incertezze della giornata successiva erano tante. Siamo in realtà pochissimi, 3 o 4, c’è S. come al solito che vaga facendo finta di fare qualcosa, c’è E. che armeggia con le cose più svariate, Carbone, Nivea e Aceto facendo misture degne del più squilibrato degli alchimisti.

Mi prendo una birra, anzi un Cuba che decreta ufficialmente la sconfitta dei buoni propositi. Chiacchiero un poco con le persone per distendermi, la sensazione è quella della calma prima della tempesta. Parliamo del giorno dopo, mi azzardo anche in un “secondo me non succederà nulla”, ma forse non ci credo neanche io.

C’è uno scatolone pieno di bottigliette d’acqua con il Maalox disciolto, ci sono le maschere antigas pronte per essere caricate.

Siamo pronti.

Torno a casa a dormire, è tardi, domani mattina partiamo dalla Zona Autonoma Milano. “..apriamo spazi di libertà, apriamo spazi in ogni città…”

Il giorno dopo ho capito che ZAM non erano quelle quattro mura. Che Zam non erano dei murales o un edificio ad un indirizzo.

Zam sono persone e cose e sensazioni e idee.

Sono la S. che mi dice digrignando i denti “Almeno ti sei divertito? Buon compleanno”, sono F. e S. incazzati neri alle due e molto più rilassati verso le 18, è il tenente P. in fase soccorritrice, sono L. E. e M. sempre un passo avanti, insieme a tanti altri.

W le mura, W i bagni, W i manifesti, W le voci, W i suoni, W i colori, W le facce, W la fatica, W gli scazzi, W gli oggetti, W ZAM che è venuto con me in Val Susa il 3 Luglio 2011.

F.N.T.

 

 

Что делать?

 

Sveglia presto, doccia di mezz’ora per riprendersi dai postumi della sera prima e via di corsa per non fare tardi.

C’è il matrimonio dell’anno.

Zeta e la Tisi si sposano.

Ci sono tutti.

Amici e compagni, tutti vestiti bene, anche chi non indossava una camicia dal lontano ‘94.

La sposa è bellissima come sempre, Zeta nonostante i capelli più ingellati del solito fa anche lui il suo figurino, peccato per i 15 kg in più. La cerimonia è rapida e indolore, resa divertente dal discorso dell’avvocato. Foto di rito. Birrette al bar del parchetto.

Arriviamo ad un piccolo borgo medievale sulle colline nell’entroterra della Lunigiana. Il posto è fantastico, immerso nel verde con una vista spettacolare.

Si inizia a bere fin da subito ed all’orario di cena sono già bello alticcio.

Questi due giorni ci spacchiamo! – penso.

Tra alcool e sostanze sarà cosi un po’ per tutti.

Si mangia e si beve in compagnia, ci si diverte, inizia la solita sequenza di cori da stadio. E poi tutti a ballare, qualcuno più rigido degli altri. Siamo un bel gruppo -penso – siamo “belli” anche in queste situazioni.

Alle 5 quasi nessuno è più sveglio, ma io non ho sonno…strano…e inizio a vagare per il borgo. Prima alla zona tende per svegliare chi si era appena addormentato. Poi in zona piscina a fumare l’ultima sigaretta su una sdraio. Poi a vedermela male ed a cagarmi sotto con Z. che in chimica bestiale alle 6 della mattina mi “ruba” tre quarti di focaccia. Verso le 9 qualcuno inizia a svegliarsi. Caffè e colazione, bagno in piscina per ripigliarsi.

Intanto filtrano le voci dal Piemonte.

“Domani mattina – mi dice L. – gli sbirri molto probabilmente sgomberano il presidio della Maddalena, io, M., F. ed altri pensiamo di andare…tu che cazzo fai?”.

“Bho…non penso L.”.

Sono stanco morto. Non ho dormito un’ora, ho un martello alla testa e stavo per essere ammazzato da S., il mio corpo è a pezzi e ha bisogno di ricaricare le batterie. In più ho un esame tra 10 giorni e da domani mi sono promesso di iniziare a studiare.

“Ma a che ora partite per la valle?” gli chiedo.

“Tardo pomeriggio da Milano” mi risponde lui.

“Ok amen vengo anch’io…”

Come sempre non riesco a dire di no alla politica, mi frego sempre da solo.

Nel ritorno verso Milano riesco a dormire un paio d’ore. Mi faccio accompagnare in Porta Romana per aspettare le macchine di chi va in Val Susa. Siamo una 15ina.

Passiamo a prendere F. e prendiamo l’autostrada.

Primo autogrill, prima pausa, primo Camogli. 3 pacchetti di wiston rosse e solita razzia, soprattutto cibo e cose inutili.

Le prime montagne si vedono in lontananza.

Musica trash di sottofondo, mentre P e F. cercano di insegnarsi l’un l’altro i balletti di alcune canzoni.

Oddio – penso – ecco perché non vinceremo mai.

Stioni

 

 

LA NEBBIA

 

Ma c’era la nebbia?”

E che cazzo ne so?”

Ma non mi ricordo se c’era la nebbia. Cioè sicuramente non c’era alle 14,00.

Ma prima c’era?

Dopo?

Che mi importa se c’era la nebbia?

Però mi piacerebbe ricordare e non so perché. Non cambierebbe questa storia però voglio sapere se quel giorno c’era.

Cioè il 29 Gennaio a Milano la nebbia ci può essere no?

Sarebbe più romantica una storia ambientata nel vedo e non vedo di una fredda e umida giornata di nebbia, perché poi ognuno potrebbe raccontare cento particolari diversi un po‘, perché vedendo poco, chiunque potrebbe millantare di avere fatto cose inenarrabili, un po’ perché effettivamente con una scarsa visuale è impossibile che tutti abbiano visto tutto.

Forse più che volermi ricordare se c’era la nebbia avrei voluto che la nebbia ci fosse stata per non far vedere la mia faccia agli altri.

In fin dei conti la prima volta fa sempre male e ti fa tremare. E poi la prima volta già l’avevo rifiutata ad Ottobre.

E se ci fosse stata la nebbia non avremmo visto gli altri che giravano l’angolo, non avrei avuto l’ansia da prestazione, non mi sarei vissuto pochi secondi come attimi interminabili, mi sarei goduto quell’attimo idilliaco che, a differenza dell’attesa, è veramente breve e corto, e se sei concentrato sul non fallire non solo non lo godi ma quasi non lo percepisci e finisci per fare una brutta figura.

Ecco sai avrei voluto che alle 14.00 del 29 Gennaio in Watt ci fosse la nebbia, avrei voluto non vedere centinaia di persone conosciute, non avrei voluto incrociare lo sguardo curioso dei tavoli per Pisapia. Non avrei voluto forse nemmeno essere al Bitte. Sarei voluto svegliarmi dopo, vincitore, sereno e vedere il volto altrui soddisfatto.

Invece era il momento di non scappare. Ero già scappato ad Ottobre. Ero arrivato dopo, tardi. E me ne pento ancora. Ma non è ne un rimpianto ne tantomeno un rimorso. Gli attimi vanno vissuti per farsi del bene. Se doveva essere stress meglio non doverlo fare. Doveva essere piacere.

Cioè si è sempre quella cosa per cui quando non ci sei un po’ ne soffri. Io ne soffro di sicuro perché vorrei esserci sempre. Già negli anni è stata una lotta con me stesso capire che le parole di Roby “Tutti utili nessuno indispensabile“ erano verità assoluta. Non puoi essere sempre al centro della scena, non si può sentirsi sempre indispensabili. Bisogna capire che se si ottiene qualcosa lo si ottiene come gruppo. I protagonismi esasperati sono nemici delle comunità I protagonismi servono a far crescere le comunità, ma non si può pensare di essere il centro nevralgico di tutto, di sapere tutto, di controllare tutto. Sarà per questo che anche in questi giorni sto affrontando delle scelte difficili. I successi si ottengono come collettività. Senza chi sta in basso chi sta in alto non vale nulla. Altro che responsabili assoluti! Spesso i responsabili vivono sulle capacità degli altri e non se accorgono nemmeno.

Era il momento di affrontare me ed il mio passato, sconfiggere le paure, combattere l’ansia dell’attesa. Entrare in azione. Anche perché lo dovevo a me stesso. Era dalla tre giorni di Ottobre che lavoravo a quel momento. A raggiungere la pienezza di quell’attimo. E poi era la prima volta. Cioè no, era la prima volta che sarebbe stato per una cosa per cui avevo lavorato in prima persona. Non sarebbe stato il supporto ad un iniziativa di altri. Era una cosa mia. Mia nel senso più ampio del termine, mia non come proprietà privata, mia nel senso di cosa costruita con altri, mia nel senso di una cosa con cui mi sarei dovuto confrontare e spendere per un tempo illimitato.

Una sfida alla città di Milano, una sfida a De Corato, una sfida alle istituzioni. Sì, una cosa mia, cioè in parte mia, ma per una volta avrei occupato un centro sociale con la collettività di cui facevo parte, per la prima volta. Sì a 28 anni. Dopo 10 anni di movimento. Sì, la prima volta che c’è di male? Si può fare per la prima volta a 28 anni no?

Ecco avrei voluto nascondermi nella nebbia. Io odio gli specchi, riflettono quello che sei e ti mettono in discussione. Avrei voluto la nebbia e non specchiarmi nel vetro della mia macchina nel parcheggio del Bitte. Ma mi sa che la nebbia non c’era e dovevo quindi tenere la parte. O forse c’era e non mi ricordo?

Però mi ricordo tante altre cose. Piccolissime. Ma assolutamente fondamentali. Mi ricordavo tutto il gruppo d’azione. Mi ricordavo la scaletta della serata. Mi ricordavo chi doveva parlare con gli sbirri, fortunatamente non ero io. Quella non sarebbe stata la prima volta. Ma quel giorno lì volevo solo fare quello che non avevo mai fatto. Occupare un centro sociale con la mia collettività. E farlo dopo 3 mesi di iniziative e riunioni, dubbi, forzature, sorrisi e scazzi.

Era ora di darsi una botta di vita e affrontare la questione.

Però volevo la nebbia.

Io mi chiedo per esempio come deve essere fare gli scontri con la nebbia. Forse prima o poi lo chiederò a chi ha vissuto quest’esperienza. Ma chiederò anche se si sia mai occupato un posto in una giornata nebbiosa.

Che palle che sono con sta storia della nebbia! La smetto. Ma mi scapperà ancora? Nel cortile non parlo con nessuno ma saluto e abbraccio tutti. Ripasso mentalmente il manuale del buon compagno. Di che manuale parlo? Non lo so nemmeno io. Ma penso a tutto ciò che può accadere. Io odio il tempo dell’attesa, formulo ipotesi e mi sorgono dubbi. Vorrei che tutto accadesse senza avere il tempo di pensare che possa accadere. Quand’ero ragazzino ed andavo ai cortei non sapevo nulla, non facevo riunioni organizzative quindi non sapevo cosa e come sarebbe potuto succedere. Se succedeva mi mettevo. E così, che davanti al San Carlo nel ‘98, persi i miei compagni di classe perché scapparono mentre io rimasi lì davanti. E così mille altre volte. A volte vorrei non sapere. Sono fatto così. Non ho problemi a raccontarlo. Perché poi quando ci sono in mezzo alle cose non ci penso. Ma di solito è prima. Io odio l’attesa. Odio quel tempo morto.

Ma non era quello il momento di pensare a quelle cose. In un attimo mi riprendo. Incrocio con lo sguardo quei 4 occhi che non volevo vedere. Incrocio con lo sguardo F. e M. Spesso mi mettono in soggezione ma stavolta mi fanno reagire. Dopo mesi che non avevamo parlato io e F. grazie alla TAZ di Ottobre avevamo recuperato il rapporto. Un attimo fugace. Un sorriso da parte sua. E poi un poco dopo mi incrocio con gli occhi di M. Un rapporto diverso e molto mutevole negli anni. Una persona da cui ho imparato tanto. Però un rapporto quasi svanito nell’ultimo periodo. Cose che capitano. Ma anche qui, invece che soggezione, prendo tranquillità. E’ strano penso. Forse sto crescendo.

Sono sereno. Anzi di più. Parlottiamo con il gruppo d’ingresso.

E’ ora.

Partiamo.

Adrenalina a mille. 5 macchine da 2 persone. Partiamo ed in un quantitativo di tempo che sembrò lungo, ed ora so che è invece brevissimo e incalcolabile.

Arriviamo.

Parcheggio.

Scendo dalla macchina.

Mi tiro su un fazzoletto per coprirmi il volto ed il cappuccio.

Chissà cosa dovevo fare?

Cazzo sono in ritardo.

Sì ho parcheggiato 3 metri più in la degli altri e così sono un attimo in ritardo. “

Ecco sono un cretino penso. Niente prima volta.

Invece no.

La catena è resistente e così mi butto anch’io sulla cesoia.

Siamo in 8.

4 per parte.

Cazzo non si spezza. Sarà passato un attimo, a me sembra una vita, sudo. Giro la testa e vedo gli altri girare l’angolo. Vedi, se ci fosse stata la nebbia, non avrei visto nulla e i secondi restanti, sì secondi che sembravano ore però, sarebbero stati diversi.

Mi ricordo benissimo quel lucchetto che non voleva rompersi. Mi ricordo quella voce davanti a me che disse “Merda dovevamo prendere quello più grosso“. “No dai che riusciamo“.

Ad un certo punto penso di aver gridato qualcosa.

Stavamo facendo tutti un grande sforzo.

Il gruppone stava arrivando.

No cazzo. Dovevamo vincere. Dovevamo far saltare il lucchetto, la catena, il portone, insomma dovevamo aprire quella cazzo di porta.

Sudore, sguardi tesi ma allegri. Non posso ancora dimenticare le occhiate che da dietro i passamontagna ci scambiavamo.

In quegli attimi rivedevo le riunioni nel cortile del Bellezza, quelle in 4 in Scintilla, quelle di report nell’assemblea Corsari, mi ricordo i mesi di scazzo con F, i silenzi, i nervosismi, mi ricordo la conciliazione durante un post pranzo, mi ricordo la riunione al Metissage, le insistenze della Rete Studenti, mi ricordo che io volevo fare altre TAZ, un flash al concerto degli Ska-P dopo il corteo del 12 Dicembre.

Cioè in piccolo quello che si pensa si veda in un attimo prima di morire.

Ma io ero vivo.

Ero al massimo della mia vita, stavo trasformando in azione ed in realtà mesi di sbattimenti, sogni e bisogni.

Come si fa a vivere senza sogni?

Come si può camminare senza utopia?

Non sarebbe la mia vita. La mia vita è un sogno, o vivo la mia vita per raggiungere un sogno?

Un mondo degno per tutti. “Un mondo dove stanno tanti mondi” per dirla con parole di uno molto più bravo di me.

E poi un attimo, un istante, un rumore metallico tanto forte quanto ovattato dai nostri respiri diventati quasi uno solo.

Sì quel rumore. E quel lucchetto che si spacca, si gira, si apre, sfiliamo la catena. Giusto qualche secondo prima che il gruppo sia lì.

Accendiamo una torcia, poi 2, poi 3, poi 4.

Apriamo il cancello.

Entriamo tutti.

Raccolgo la catena.

E prendo la cesoia.

Voglio provare ad aprire una porta io.

Lo faccio.

Qualcuno mi grida dietro di portare indietro la catena.

Ho perso il controllo.

L’adrenalina ha vinto.

Mi sono perso in quello che stavo facendo.

Solo cuore e stomaco.

A volte ci vuole.

Tutto è velocissimo ora.

Corro al cancello.

Prendiamo un altro lucchetto.

Cateniamo il cancello.

Chiuso.

S. mi dice “Ora puoi anche scoprirti!”.

Non ci avevo pensato. Cazzo che bollito. Sono felice.

La prima volta non si scorda mai.

Dimentico tutto. Non so più nulla. Soprattutto mi dimentico di chi dice e diceva quando ero giovane io….” Ecco io stavo occupando per la prima volta a 28 anni. Che legittimità avrei di dire quando….?

Che poi io sono diventato grande tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000. Uno dei periodi storici più esaltanti per quel che riguarda le produzioni culturali, la crescita dei centri sociali ed il movimento. Da piccolo in televisione avevo visto il 10 Settembre, a 17 la battaglia di Seattle e la sconfitta del vertice del WTO, ho avuto la lotta Zapatista come maestra. Altri hanno visto l’11 Marzo o il G8 di Genova. Non voglio fare paragoni né dare giudizi ma l’immaginario creato è un altro.

Non è colpa degli studenti essere cresciuti in un periodo storico difficile, in un periodo di crisi dei movimenti. Non è colpa dei ragazzini se a Milano non ci sono state occupazioni per 10 anni. Non è colpa loro se nella metropoli si è vissuta la morte del centro sociale mentre si è vista una netta necessità di spazi autogestiti nella provincia. Basta con ‘ste pesantezze su di loro! Avevano, anzi no, avevamo, io per primo, la possibilità di imparare. Perché si impara a 15 come a 28, come a 40. Una persona intelligente cambia ogni giorno. Migliora, cresce, combatte e lotta per i suoi sogni, le sue utopie e per i suoi bisogni.

Siamo un gabbia di matti, ed io in questo momento del 29 Gennaio sono fuori di me. Sono ultra felice. Siamo matti tutti se non vivremmo le vite che viviamo. La nostra è una pazzia strana, una pazzia che fa mettere davanti un noi all’io, una pazzia che dice che noi staremo bene, quando tutti staremo bene. Siamo pazzi. Io amo i pazzi, la pazzia è una forma di resistenza alla consuetudine e alla pacificazione, la pazzia fa si che ognuno sia diverso, per cambiare il mondo ci vogliono i pazzi. Noi siamo pazzi. La sfida è appena iniziata ma io ho vinto una sfida con me stesso. Come si può cambiare il mondo senza cambiare se stessi? Le rivoluzioni partono prima dall’interno di se, dal mettere in discussione se stessi e la propria vita. Poi continuano all’interno dei gruppi. Se i collettivi prima al loro interno non combattono la gestione del potere, le discrepanze, i ruoli, il sessismo, il razzismo, le difficoltà, come possono ambire a cambiare l’esistente?

Era il momento che aspettavo e che non avevo mai detto a nessuno. Forse anche più di quando avevo lanciato il primo sasso seguendo la sua traiettoria per vedere se avesse colpito il bersaglio. Forse anche più della prima carica, della prima assemblea. Del primo corteo. Era il mio momento, così come di tutti quelli che erano lì per la prima volta. E non ero l’unico. E forse nemmeno il più vecchio a fare quella cosa per la prima volta.

L’umiltà di ammettere le cose è importante. Da un po’ l’avevo dimenticata. Ora era lì davanti a me e mi sorrideva a 32 denti. La nebbia non c’era ed io non la volevo più. Non dovevo nascondermi, non dovevo cercare il mistero, certo sarebbe stato comunque più romantico ed eroico occupare con la nebbia….sai che racconti poi si potevano fare!?

Ma tutto era ancora acerbo. Eravamo lì da due minuti. Nemmeno la Digos era arrivata. Ma per me era già tanto. Abbraccio F. Lo dovevo a lui e lui a me.

Sa che sono contento. Me lo vede negli occhi. Però mi dice “L’impianto?”. Ecco, vedi in quel momento mi è caduto il mondo addosso. Mi sembrava di essere lì solo perché sapevo montare l’impianto.

Ma ZAM mi ha fatto capire che non c’è nulla di male a saper fare delle cose. La politica di movimento è la giusta nemesi tra il fare cose e fare politica. Un posto non va avanti solo con i professori, così come non va avanti solo con i manovali. Ma poi soprattutto bisogna attaccare l’idea che ci siano professori e manovali. Perché “se una cosa va fatta va fatta e la faccio. Tutti devono pulire per terra ed intervenire in assemblea. Non c’è serie A e serie B. Non esiste in un collettivo, non esiste in una struttura autorganizzata, non dovrebbe esistere in tanti altri posti. Non può esistere in un centro sociale.

Poi certo è giusto che chi sa fare meglio di altri delle cose le faccia, ma le deve fare per aiutare chi è interessato a crescere ed imparare. L’autogestione è questa cosa qui. Meravigliosa. Il miglior metodo educativo mai esistito.

Un anno dopo siamo ancora lì. In Via Olgiati 12. ZAM o meglio Z.A.M. (Zona Autonoma Milano). E ci tengo anche a dire che Z.A.M. per me, che lo proposi, non doveva essere il nome, ma un nuovo acronimo per sostituire C.S., C.S.O.A. ecc ecc. Cazzo la discontinuità si crea con gli immaginari ma anche con i nomi. E’ diventato il nostro nome. Mi piace.

In barba a chi ci odia. Con affetto per chi ci ama. Z.A.M. è sempre lì.

Lo stridore di quel lucchetto che si spezza ha cancellato i pensieri di una notte, i film dell’attesa. Eravamo dentro, pardon siamo dentro più forti di prima, in mezzo a tutti i casini di uno spazio gestito con il sudore delle mani, con il coraggio nel cuore, con l’ardore negli occhi. Uno spazio in basso a sinistra.

Inizia la serata. Metto i dischi. Poi altri. Chiudiamo. Accendiamo delle torce dentro la sala. Qualcuno s’incazza. E’ il primo scazzo di tanti. Ma ridiamo.

Prendo la macchina e mi ricordo che, sì, a quel punto la nebbia c’era. Ed era bella. Non era nebbia, era “schighera“. Giusto per rendere più misteriosa e romantica la prima chiusura.

Sì! Finalmente mi ricordo! Quella notte c’era la nebbia. Il giorno no. La notte sì. Il mattino dopo no. Si c’era la nebbia ma era bella e delicata, una nebbia così non si vedeva da tempo. Qualcuno dice 10 anni. E’ venuta a festeggiare.

Milano non è Milano senza nebbia.

La nebbia mi dice che senza Z.A.M., senza i centri sociali, senza i collettivi, non vuole stare a Milano.

Quindi Milano non è Milano senza Z.A.M.

È la natura che lo dice, noi non ci possiamo esimere dall’accontentarla, è un dovere che verrà difeso senza tregua, fino all’ultimo momento.

Come sempre Con Carlo Nel Cuore!

 

Andrea

 

 

 

 

UNA LUCE STRANA

 

28 Gennaio 2011

squilla il cellulare..

che palle..

“Pronto? Ciao F.”

“Senti.. domani ci sarebbe quella cosa, vieni a fare le foto?”

“.. dai va bene, dove ci becchiamo?”

29 Gennaio 2011

h.16,00

Fa freddo,

vado a casa di V. ci sono altre persone, viste in giro, presidi, taz, cortei..corsarume..

siamo di fretta, c’è un puntello al Bitte,

i gruppi sono due, chi arriva con un corteo improvvisato al posto, e chi il posto lo deve aprire,

sono nel secondo gruppo, seguo loro, e mi congelo le dita a furia di scattare.

Siamo dentro, chiudiamo il cancello alle nostre spalle, scatto, giro, salgo e scendo, è enorme, però è freddo come posto, non conosco tutti, molti sì, ma non tutti, c’è gente che non avevo mai visto prima, non sono così presa bene come pensavo, T. mi sorride, lo aiuto a  portare fuori vasetti strani con terriccio contaminato.. lui mi obbliga a fotografarli tutti..

Arriva F. “E’ bello no?? Hai fatto le foto?? Tieni sto liquore che scalda”

h. 20,00

tre felpe e tre paia di calze dopo ritorno,

sembra che qualcosa sia cambiato.. la luce forse, scendo dalla moto

“Oh! Fra, ma sta nevicando?!”

entro,

e così, a un paio d’ore di distanza, con una luce fioca e la neve che cade, il freddo non lo sento più, mi devo fermare ogni due passi a salutare qualcuno che conosco, mi sento a casa, in quel posto che ha ripreso vita da un paio d’ore, come dopo anni di coma, di ibernazione.

Mani che si stringono, abbracci, presentazioni, birre che passano di mano in mano,

“Ma sopra cosa ci facciamo?”

“Dicono la palestra”

“Ma no che palle poi è pieno di sudore, lo spazio mostre è meglio sopra”

“Vabbé un posto lo troveremo, qua dentro è talmente grande”

“Senti ci becchiamo in questi giorni, buttiamo giù qualcosa da presentare in assemblea, cineforum, mostre, libri..”

nasce così il famigerato gruppo cultura di Zam..

E da lì è tutto un turbinio di vecchi amici e di nuovi amici, di assemblee enormi al freddo, di idee, e appunti, di lavori, di imbiancamenti, serate, aperture e chiusure..

Nuove relazioni che nascono e vecchie che si consolidano.

Un posto nuovo finalmente, un posto che sento anche mio, che sto creando anche io da zero.

E poi arriva l’estate, arriva la Valle, lo sgombero prima, il telefono acceso tutta la notte, i messaggi, la polizia che sfonda. E poi il 3 Luglio

“Ma come lavori?”

“Sì, cazzo, non penso di riuscire a venire”

e una giornata passata attaccata al cellulare e ad internet.

E la promessa di andarci. In quella valle.

Ma è Luglio, e per me c’è altro.

C’è il corteo del 20 a Genova e poi del 23, è importante,

importante fare qualcosa qui, a Milano, una mostra o dei video, rifacciamo il murales in Vetra?

sento qualche romano,

“Cosa?? Non fate niente voi???”

.. ancora di più dobbiamo sbatterci per far venire bene l’iniziativa in Vetra.

E’ appunto il 20 Luglio, sento Zc., lui a Genova non ci  vuole più venire, io non so, per sicurezza un giorno di ferie dal lavoro lo prendo, che fa sempre bene.

“Sì dai, segna un posto “frafrey”, ci vengo, che palle, dove ci becchiamo?”

due ore di pullman dove si ride quasi perché si deve, dove le battute a volte sono forzate_

che caso..gli sbirri stanno fermando, forse è il caso di uscire a Bolzaneto dice il conducente, e la mia faccia penso abbia assunto una smorfia strana..

ma fila tutto liscio e T. dice che ha una cosa da darmi..

Piazza Alimonda, incontro i fotografi, e qualche amico, i discorsi sono gli stessi,

“Ma ti ricordi?”

“Ma quanto eravamo piccoli?”

birre e focacce a fiumi appoggiati a quella cazzo di cancellata..

T. mi mette un pezzo di carta in mano, una piantina di googlemaps che dice via Cesare Battisti..

non so, non ho voglia_

mentre faccio le mie foto di rito, sento una mano che mi tira,

“Andiamo?”

non dico niente, va bene andiamo, penso.

risaliamo quelle vie, quelle strade che di colpo ricordo,

col mare che luccica e le case gialle, e forse, come dice qualcuno, è vero che Genova sembra d’oro e d’argento delle volte..

ma non ci penso, mi lascio cullare dal mare e dal caldo, cammino in silenzio, con la mia piantina in mano, che tanto non serve, la strada la so, non so come, ma la so.

Non ricordavo la via cosi stretta e le scuole cosi imponenti, sembrano soffocare, indago, guardo,

tocco la cancellata della scuola, come se toccandola potesse parlare.

sono passati dieci anni, il mio accompagnatore mi guarda in silenzio, con le birre in mano, io non riesco un gran che a parlare, non so nemmeno bene cosa dire..

finché arriva una signora, una mamma probabilmente,

“Ma il corteo non lo fanno qui quest’anno?”

“Signora non so, noi veniamo da Piazza Alimonda, non siamo nemmeno di Genova”

“Ah, perché io me lo ricordo cosa han fatto, io abito qui accanto, e me la ricordo quella notte, tutta quella polizia e quei ragazzi che dormivano..”

e io che da brava avevo trattenuto tutto con tutti, con gli amici, con i compagni, a Zam, a chi chiedeva, avevo trattenuto tutto anche davanti ai video e alle foto scelte per l’iniziativa del giorno dopo..

lì, davanti a una signora che poteva essere la mia mamma, scoppio a piangere,

forse piango come non avevo mai fatto, piango, mi scuso con la signora che si sente in colpa..

e poi c’è di nuovo Piazza Alimonda e tutti gli altri,  e poi quella bella iniziativa in Vetra che senza Zam non ci sarebbe stata e poi i tantissimi pullman per il corteo del 23 Luglio.. e poi..e poi..

e poi ringrazio Zam, non l’ho mai fatto, tutte quelle persone che senza fare niente, ma per il solo fatto di esserci mi hanno aiutato ad affrontare almeno un po’ i miei mostri, lo hanno fatto con discrezione, e che ci sono state, tenendo uno striscione, con me vicino alla polizia,  facendo cori improbabili, c’erano tra una birra e uno spritz, alle chiusure, alle assemblee, c’erano durante le trasferte folli chissà dove, per una valle o per la capitale_

 

Frafrey

UN ANNO DI ZAM

Oggetti, soggetti e idee di un giovane centro sociale.

(ndr: ho voluto che la Zona Autonoma Milano parlasse da sola, raccogliendo le parole chiave che hanno animato fino ad oggi la sua politica. Alcune rimandano a grandi eventi, altre racchiudono dell’ironia ma tutte riguardano questioni importanti di cui Zam e le persone che la animano si sono occupate. Un anno di vero lavoro e impegno per un mondo diverso. T.S.)

Più forti delle bombe Via Olgiati 12 Prime risposte da Passatel 148 Stefano Cucchi ARANCE DA ROSARIO gruppo cultura ZAM chiama i centri d’italia Drag me to jump Politica e tecnica Qualcuno ha fatto una gita pure in Scintilla. Fasci Performance antirazzistica Bomba carta 2011 l’anno dei movimenti Spazio Perquisizione Zerocalcare e libro Piazza Fontana Film ACAB occazzo Assaltato campo rom No TAV Norina Lavoratori dell’Arte e dello Spettacolo Operazione cazzuolata 130mila…Val di Susa Poq Gruppo programmazione dalla Grecia PARTENZA DA PIAZZA CAIROLI Alluvione Brugnato  Pioltello Report made in Barona  Capossela Serata benefit incendio Torchiera  ANTIFA!nzine la caduta di Silvio Gruppo promozione Antifalambrate  Occupazione sede centrale Unicredit Milano in movimento domani assemblea GENOVA Isola Black Blok Gorgona  Collettivo CoNtRO LA leGA Le verità su Roma 15 otto L’epilogo di internet Dibattito Pd General Levy  Ieri sera attacchinaggio  Climatecamp Arriva il Pacchetto Maroni sull’ordine pubblico Invito alle Associazioni Associazioni Culturali e Civiche DIOKAN flash mob E’ evidente che non riesco a stare dietro al blog Casarini su Repubblica Articolo del Manifesto Storia di una foto Digos ControInformazione Infoshop Palestina Situazione cassa Kermesse israeliana Alziamo il volume Anpi Immigrati rinchiusi in navi CIE Ultime da Lampedusa  Azioni, attacchinaggi, cortei, presidi STAI PER ESSERE CANCELLATO Sull’azione di venerdì Cantiere 11 Settembre inganno globale Presentazione lavori Ospitalità ai fotografi Incontri autoformazione Presentazione Quarto Rosso SCIOPERO DEI BRACCIANTI ALLA MASSERIA BONCURI  Delitto a zam  Confermati gli arresti di domenica  Zamici Sul benefit pro-Sid Coleottero amaranto evolution parte 1 Ecco il decalogo della nuova Milano Report assemblea Piedinudi Indignazione precaria Sito zam Contro la sanatoria truffa: la lotta continua!! De la transustanziazione zammica Aggiornamenti Segreteria Legale. Sei stato aggiunto a spazio milano.

T.S.

 

 

SOLVENTE

 

Sono fradicio, fa un caldo incredibile e stare col cappuccio e la maschera e per di più con k-way e casco in testa non aiuta certamente la situazione. Non mi sono mai trovato così bardato in un bosco, anzi una volta sì, in Toscana, giocando con degli Svizzeri con le pistole ad aria compressa, ero ragazzino e mi divertii tantissimo. Stiamo scendendo velocemente un sentiero molto scosceso dopo aver camminato per un’ora abbondante per i sentieri a mezza costa della valle, attraversando piccoli villaggetti, dove incontravamo sempre chi ci salutava col sorriso sulle labbra, sventolando la nostra bandiera; bandiera che ha saputo unire tante persone, giovani e vecchie, dal Nord al Sud del paese, dalle campagne alle città. Scendiamo veloci, il nostro piccolo gruppetto si è riunito all’inizio della discesa, chi non si è ancora coperto si barda definitivamente. Non siamo solo noi, per quel sentiero scendono  almeno duecento, trecento persone, il grosso ha seguito un’altra discesa. Nessuno è sorpreso di quello che sta succedendo, neanche le poche persone un po’ avanti con l’età che hanno comunque voluto dire il proprio no in maniera radicale, assediando i nemici dal bosco, scendendo dalle alture. Portiamo nelle mani machete per farci strada nel bosco ed arpioni per tirare giù le reti del recinto. Noi non ci arriveremo neanche vicini a quelle reti…

Dopo un paio di minuti di discesa, appena scorta la loro base, veniamo gasati da un lancio di lacrimogeni provenienti dall’alto. Ci hanno visti scendere ma non sanno esattamente dove siamo adesso, sparano a caso. I candelotti sono di quelli che si dividono in più parti, rendendo impossibile il rilancio e difficile l’operazione per renderli inefficaci. Ogni tanto quei maledetti dischetti hanno provocato focolai di incendi, prontamente spenti dagli assedianti. Ci accorgiamo di essere la parte più avanzata del gruppo sceso con noi. Ce ne accorgiamo perché ora ci sparano addosso ad altezza uomo. Per alcuni minuti non capiamo neanche da dove ci puntino, vediamo davanti a noi una piccola conca con un gruppo di massi che copre la visuale, a destra solo alberi. L’Albino, il Rocker, io e qualcun altro cerchiamo di raggiungere il gruppo di massi davanti a noi per capire la situazione.

Ok, ci sparano da destra, perché hanno la visuale su quella conca ma poi basta, si è coperti. Il  gas però ora si fa sentire e come al solito le maschere che abbiamo non sono proprio il massimo, qualcosa passa lo stesso. Torno indietro un attimo dagli altri, vedo Peppo con stampato sulla fronte un esagono perfetto. Sta chiedendo un casco, mi vien da ridere, gli dico che piuttosto gli servirebbe del ghiaccio. Penso che il segno che ha in fronte sia provocato da un proiettile di gomma, strana cosa visto che qui non si usa questo tipo di proiettile. Anche dietro l’aria è irrespirabile, la gola brucia tanto, in confronto la pulizia della palestra di Zam con decine di litri di solvente è stata una passeggiata, qui usano il cs, un’arma addirittura vietata dalla Convenzione di Ginevra per le regole di guerra. Fa venire il panico il cs, vuoi solo scappare. Per fortuna quel giorno fra vento e maschere gli effetti di quel dannato gas non furono così destabilizzanti.

Coperti da quel gruppo di massi battagliamo per un po‘, abbiamo fionde, braccia, migliaia di pietre e un valligiano è attrezzato con una specie di obice a molla. Dal nostro avamposto riusciamo a vedere anche la gente scesa dall’altro sentiero. Molto più di noi, più attrezzati e soprattutto su di loro si concentra la resistenza degli assediati che quando cercano di caricarli vengono però bersagliati dai nostri proiettili. Calù invece incomincia da dietro un masso una battaglia personale con un soldato nemico; lui fionda, l’altro lancia-lacrimogeni. Si va avanti così per una mezz’ora abbondante. Io un po’ sto davanti con l’Albino, sempre in prima fila, un po’ faccio spola indietro di qualche metro dove compagni e compagne ti accoglievano con maalox e limoni.

Della gente che è scesa con noi ne è rimasta ben poca. Qualcuno di noi, si vede bene, non ha tutta la grinta di prima e il fatto che siamo rimasti non in tanti non dà tutta la sicurezza che avevamo all‘inizio. Se continuiamo ad essere più in alto e in mezzo al bosco, ora il nostro lancio di sassi e petardi non è più continuo e serrato come nei primi momenti. Bisogna risalire di qualche metro per riorganizzarsi e magari scendere da qualche altro sentiero. Riscendo verso la prima fila quando riceviamo una carica più forte delle altre. Si fermano però pochi metri da noi e tornano indietro, non se la sentono ancora ad entrare nel bosco, hanno paura, giustamente.

Parlo con i nostri ed anche con altri che erano rimasti con noi dicendo che dobbiamo andar via, che siamo rimasti veramente pochi da questa parte, solo qualche decina. É in quei momenti che vediamo le divise blu sbucare dagli alberi. Tiriamo gli ultimi sassi che avevamo in mano, solo per guadagnare il tempo di andarcene in fretta. Ora stiamo risalendo velocemente perché ci stanno seguendo su per i sentieri. Ogni tanto li vediamo spuntare una trentina di metri dietro di noi, provano a impaurirci sparando gli ultimi lacrimogeni che sono rimasti, per fortuna incontriamo qualcuno disposto a rallentare il loro passo, noi ormai siamo veramente spompati, dobbiamo ricongiungerci con il gruppo grande che non è sceso per i sentieri.

Nella stanchezza, anche se la giornata non è ancora finita, penso a quello che è successo; penso alla situazione di tensione e paura appena attraversata, penso che nonostante tutto mi sentivo bene, protetto, circondato da persone di cui mi son giustamente fidato. Persone che se anche conosco da poco hanno saputo trasmettere le giuste sensazioni ed energie. Ormai il pericolo è totalmente passato , continuo i miei pensieri su quello che è successo e sulle persone che avevo al mio fianco penso alla nostra comunità politica. Penso che siamo un bel gruppo eterogeneo e che questa può essere la nostra grande forza in un panorama di etichette e partitini. Siamo piccoli ma se continueremo così nella nostra città potremmo veramente essere una proposta politico-culturale valida e alternativa. Ormai siamo arrivati alla chiesetta da dove eravamo scesi. Mi sciacquo in una fontana, in quel momento mi ritrovo nel mio letto. Un sogno incredibile, sembrava vero, forse sogno adesso di stare in un letto e invece sono là. Provo a riaddormentarmi sperando che il sogno continui o meglio che non sia assolutamente un sogno ma la pura realtà

 

Pietro Paolo Virdis

 

 

UN ANNO A ZAM, IL DIARIO DI UNA RECLUTA

Costruire lo Spirito:

Con il compagno che porta il nome di un comune arredo urbano, ho spesso scherzato sulla presentazione ideale del vero militante Zammista, alla fine ne è uscita più o meno questa versione:

(in rigoroso accento bergamasco) “Ciao sono Gully, sono di ZAM, noi creiamo conflitto, liberiamo spazi di socialità, generiamo alternative … puliamo cessi, spostiamo mobili, costruiamo muri, scrostiamo pareti, catramiamo tetti …”

 

E io a ZAM principalmente ho pulito cessi.

Così come ho partecipato a tutti i momenti più tetri e sporchi, soprattutto sporchi, anzi, letteralmente lerci della vita di ZAM. Come un reduce di qualunque guerra,  mi ricordo di infuocate giornate d’Agosto, nel clima tropicale del Disagio, con pezzi di muffa-muro che saltano da ogni parte, mentre Davidone, rigorosamente a  torso nudo, cerca di estinguere il verde dalle pareti. Mi ricordo di Domenica 30 Gennaio, quando persi definitivamente la dignità, pulendo la sala saltellando piegato mani sullo straccio (manco i guanti avevo, quanto sono hard-core!!). E ancora decine di viaggi in discarica con il furgone dello zio, una stanza piena di rifiuti fino alla vita, covi di zanzare in ogni angolo, sturare tombini e grondaie, squartare alberi sul tetto…

A ZAM penso di aver fatto più o meno di tutto, elettricista, traslocatore, spazzino, muratore, ladro, camionista, giardiniere, e quando dico che ho fatto, in realtà dico che quel posto mi ha insegnato …

…già perché io penso che quel posto sia vivo.

All’inizio era solo un sibilo quasi impercettibile, nel silenzio di quei muri ammuffiti e cadenti, lo sentivo solo dopo pomeriggi o nottate passate a sgobbare o congelare con gli altri tra quelle stanze fredde… . Poi giorno per giorno, mentre passavano i mesi e le attività si moltiplicavano, mentre la politica fatta e discussa a ZAM prendeva forma (anche fuori), anche quei muri hanno iniziato a battere profondamente, i pavimenti a vibrare nel silenzio, le colonne, i soffitti , i muri, le porte, a cambiare colore e nome ogni settimana, funzione e destinazione ogni mese, finche  ZAM ha iniziato a vivere, da solo. E non è stato come creare Frankestein, incollando pezzi di corpi diversi, come qualcuno ogni tanto pare avvertire, è stato come svegliare uno spirito che stava sopito nelle fondamenta, spezzettato in tutte quelle tonnellate di cemento armato. A furia di battere, spazzare, imbiancare, fare e disfare, la somma di tutte le volontà e le idee, dei sogni, di chi è passato a ZAM, di chi sta a ZAM ha costruito quello spirito gli ha insegnato qualcosa, e sono fermamente convito che ora quel posto abbia  una sua volontà, qualcosa che non dipende da nessuno di noi, eppure di cui facciamo parte  inesorabilmente, indispensabilmente, sempre (o quasi) tutti

Questa volontà  ha insegnato qualcosa anche a me…

E io a ZAM principalmente ho imparato.

Ho imparato a stare in collettivo, a sentirne il bisogno, a passare sopra tante mie paure, stupidità, ingenuità o difetti, ho imparato a pensare. Pensare a questo mondo e a quello che non va, a quegli stronzi che girano con la testa rasata, a quelli che girano in giacca e cravatta, che fanno ancora più danni,  in banca e in parlamento. Ho pensato a loro e a come combatterli, a come attaccarli talvolta, a come difendersi

E io a ZAM principalmente ho pensato.

Qualcosa è cambiato:

 

… dicono che gli uomini chiamano casa il luogo dove riposano, dove si sentono al sicuro, dove hanno i propri affetti e la propria vita.

Io dico che a ZAM ci abito, senza dormirci, ci vivo, senza mangiarci, ci lavoro, senza essere pagato, mi diverto … ZAM è la mia casa, quasi quanto quella dove ho il nome sul campanello.

E io a ZAM  ho sognato.

Ho sognato ruvido e massiccio come Topela, affidabile, come la Silvia, cinico e preciso, come Kenny, spensierato come la Veda, tatuato come Cegna, sgamato ed esperto come Franz…

… e ci ho sognato adolescente, come quelli della Rete, e ci ho sognato universitario, come quelli di Lab.Out, e ci ho sognato come uno che aiuta i negri, che ama la musica, che scrive per MilanoX, che viene da Quarto Oggiaro, che viene ad arrampicare, che va allo stadio, che fa le foto e i video, come uno che non hai mai un cazzo da fare, come uno che va in valle, che è stato a Genova, che è stato a Roma…

Io a ZAM ci ho passato un anno, e se mi guardo indietro ero diverso, e se mi guardo intorno era diverso…

Qualcosa è cambiato …

“Ciao, sono Gully, sono di ZAM, noi a ZAM costruiamo qualcosa di diverso, che però è da sempre uguale, tra un po’ sentirai parlare di noi…”

Gully

 

UNA SERATA NO

Capitano a tutti le serate no, magari gli amici non sono brillanti come sempre, quella sera, oppure siamo noi a star male per qualche motivo, infine il posto dove ci si trova può non essere un granché.

Eppure le serate peggiori sono quelle a cui andiamo solo perché sentiamo che dobbiamo. Il classico esempio è la cena con i colleghi di lavoro (nel mio caso studio/lavoro).

Quindi preso dall’entusiasmo dei miei colleghi mi faccio coinvolgere anche io in quella che per me sarà una serata priva di divertimento e ricca di rimpianti.

Si parte, il fatto che il disco-pub-ristorante scelto come meta sia dall’altra parte della città non mi incoraggia a prendere la mia macchina, tuttavia gli altri hanno bisogno di un passaggio e quindi non mi resta che offrirglielo.

Arrivo e trovo subito parcheggio, questo mi fa comparire un sorriso sul volto, che cambia di lì a poco in una smorfia quando mi viene consigliato di parcheggiarla nel parcheggio privato del ristorante perché fuori c’è il rischio di non ritrovarla. Svogliatamente pago 5 euro di parcheggio ed entro. Il posto comprende una sala da ballo all’aperto e a due passi i tavoli.

Ordiniamo da mangiare e si inizia a chiacchierare del più e del meno, peccato che non me ne è mai importato niente di come si prepari la passata di pomodoro e tanto meno dei “tronisti” di Uomini e Donne.

Poi vedo la mia speranza, un mio collega che stimo molto che va a fumare, mi unisco a lui e finalmente le mie orecchie hanno un po’ di pace dalle stronzate.

Rientro di buon umore, che nel corso della cena andrà via via affievolendosi, toccando il fondo nel momento in cui vengo trascinato a forza in una pista in cui i fighetti del quartiere iniziano a sfottere le mie colleghe perché hanno 40 anni. In quel momento decido di fare come le balene stanche e spiaggiarmi…su un divanetto, che diventa la mia cuccia per le seguenti due ore.

Arriva l’ora di pagare… una pizza margherita più una coca cola, fanno 22 euro e 50 cent. (non mi sento di ripetere tutto ciò che ho pensato in quel momento, ma il cameriere che ha visto il mio sguardo indietreggia e fa avvicinare un nero di 2 metri).

Finalmente sono tutti stanchi e sanno che domani si inizia alle 6,45 a lavorare. Non ci avevo pensato…mi tocca riaccompagnarli a casa tutti. Faccio da Viale Forlanini a Piazzale Abbiategrasso ed infine una vietta alla fine di Buccinasco.

Quando lascio giù l’ultimo è un 25 Aprile, una liberazione, non ho nessun dubbio…la mia prossima meta non è casa, come sarebbe giusto alle 3,16 di notte, la mia meta è Z.A.M.

Sì, entro e trovo all’entrata il Topela che mi saluta offrendomi un sorso di birra, due secondi dopo sono a ballare nella dancehall fumando assieme a Frebby su un pezzo di Gamba the Lenk.

Mi guardo intorno e sono tutti presi bene, splendide ragazze che ballano e la musica riesce a tirare tutti in mezzo.

Tra un ballo è l’altro mi viene da pensare: menomale che Z.A.M. c’è.

Sarkis

 

INSIEME SIAMO INVINCIBILI

 

A Francesca,

che il tuo sorriso possa accompagnarci ogni giorno

e a Onorina,

che la tua vita possa essere d’esempio per tutti noi

nella lotta contro il “nuovo” Fascismo

la terra vi sia lieve.

Quando faccio qualcosa ascolto sempre della musica, da quando mi alzo dal letto la mattina a quando lo rivedo la sera, le note che ho scelto per questi miei pensieri sono quelle del film Barry Lyndon, per chi non l’avesse visto: la trasposizione cinematografica di Kubrik dei canoni del romanzo picaresco questo perché, parlare di movimento per me equivale a parlare di crescita personale.

Il mio modello di centro sociale da alcuni mesi a questa parte è Kukutza III, le immagini del suo sgombero hanno spezzato qualcosa dentro di me; ho pensato: se anche quel progetto così ben organizzato, gestito, fruito, non ha avuto la capacità di resistere all’esistente, quanto è effimera la nostra esistenza di fronte al “sistema”.

La parte che mi ha dato da pensare, in tutto questo, è che a farmi conoscere quell’esperienza è stata una persona che non pensavo avesse quella mia stessa idea di spazio sociale: aperto, polivalente, “pettinato” se così si può dire, E. avevo sempre pensato avesse un modo “alla milanese degli ultimi anni” di concepire un centro; un posto un po’ da “zecche” per intenderci: feste, alcool, disorganizzazione, un pizzico di analisi politica, il tutto condito da una buona dose di borderline.

E. come molte altre persone, fino a qualche mese fa era per me “uno di quelli che incroci”, ora è un mio compagno! Che bella parola Compagno, il fatto curioso è che spesso molti dimenticano o ignorano la radice del suo significato, una cosa semplice e genuina come: colui con cui condivido il pane; è diverso da un fratello, forse è qualcosa di più, con un fratello ci nasci oppure no, i compagni invece, quelli li scegli.

Torniamo a noi, di E. come di molti altri fino a poco tempo fa ignoravo quasi l’esistenza, fino a quel pomeriggio di Ottobre quando, insieme ad altri Compagni entrammo nella prima sede di ZAM Racaille, di quel nome forse un po’ autoreferenziale ora rimane solo ZAM; quando un pomeriggio in assemblea A. propose quella sigla francamente la trovai poco convincente, eppure a distanza di quasi un anno oramai sono contento di essermi sbagliato, l’importanza del nome in qualcosa è una deformazione che mi porto addosso dai tempi del liceo quando studiavo grafica: “il nome, il logo, la forma, sono le cose essenziali per piazzare un prodotto” soleva ripetermi il mio professore, e ZAM a quanto pare sta dimostrando di essere “vincente”.

Dicevamo, quel pomeriggio di Ottobre, io ovviamente non ero nel gruppo “di fuoco”, chi mi conosce sa che non sono molto una persona d’azione, certo non mi tiro indietro se è strettamente necessario ma prediligo il “supporto dalle retrovie”, quel giorno quel mattacchione di F. aveva pensato bene di darmi la poco simpatica incombenza, insieme a N., di gestire i rapporti con i giornalisti e noi come si sa “amiamo i giornalisti”; per fortuna N. si smazzò quasi da solo i pennivendoli, così a me non rimase altro che godermi appieno l’esperienza della mia prima occupazione.

Di centri sociali a Milano qualcosa ne conoscevo, uno l’avevo anche frequentato (Garibaldi), ma essendo cresciuto nei primi anni del nuovo millennio avevo sperimentato solo il riflusso di questi ultimi, “la stagione di magra” come si dice, della vita politica della città, certo ora non è tutto rose e fiori, ma per i pochi che non c’erano: vi assicuro che dal 2005 al 2008 non sapevi dove sbattere la testa; un po’ la batosta di Genova, un po’ il naturale alternarsi di “autunni” più o meno proficui, poi la morte di Dax, l’11 Marzo e i continui sgomberi; insomma fino alla boccata d’ossigeno (con tutti i pro e contro) che è stato l’Autunno “dell’Onda” diciamo che è stata particolarmente “in salita” per qualcuno che da poco si avvicinava alla “politica Milanese”.

Provo a smettere di divagare, chi mi conosce ha avuto spesso a che fare con questo mio “problema”.

Ottobre 2010 Viale Molise, finalmente siamo dentro, ai primi sguardi il posto mi appare magnifico, è molto meglio di come me lo aspettavo, provo subito a mettermi al lavoro, d’altronde sono qui per questo, il lavoro manuale, di squadra, mi è sempre piaciuto; mi metto agli ordini di A. e dopo pochi minuti, coi miei guanti da lavoro, aiuto a svuotare tutte le stanze che andranno utilizzate da: spazzatura, detriti, mobili ecc. (chi c’era se lo ricorda) poi si passa a chiudere tutti gli accessi agli spazi “inutili” e soprattutto barricare verso l’esterno; la cosa che mi colpisce è che sembriamo già una macchina rodata, ognuno ha i suoi compiti, nessuno rimane a guardare e in poche ore, come previsto, nonostante tutti i contrattempi siamo pronti per “aprire” lo spazio alla città.

Della nostra TAZ conservo il ricordo di alcuni aneddoti: la prima notte, dopo essere riusciti finalmente a “chiudere” lo spazio, ci eravamo quasi tutti coricati e per quanto mi riguarda ero appena riuscito a prender sonno (cazzo che freddo che faceva!) quando mi sento scuotere da F. (l’unico ancora sveglio) “Ehi sveglia! Cazzo c’è qualcuno che sta provando ad entrare” in fretta e furia mi alzo, ancora intorpidito e come me vedo che si stanno muovendo molti altri, allungate le mani sui primi oggetti atti a offendere a portata, ci dirigiamo verso la fonte del rumore; dopo un paio di minacce urlate verso l’esterno (almeno da parte mia per una volta erano vere a causa della sveglia prematura) ci risponde la biascicante voce familiare di S. il quale pretendeva di rientrare sostenendo di aver dimenticato qualcosa, per quanto mi riguarda me ne tornai a letto, so che qualcuno gli aprì e tutt’ora S. scherza sul fatto che avremmo dovuto picchiarlo sul serio!

Altri 2 pensieri vanno ad una bellissima serata (la seconda) l’unica forse in cui non ho patito il freddo e a Ivan Bogdanovic!

I 3 giorni nella “nostra” ZAM comunque trascorrono frenetici e, tra lavoro, amici, compagni, freddo, pioggia, musica, assemblee, sveglie notturne e fiumi di birra, arriva il momento di “salutare” Viale Molise per salpare verso nuovi lidi.

Sul nuovo spazio nessuno si è sbottonato molto con me, mi hanno detto solo che mi piacerà anche se “è un po’ grande, ne preferivamo un altro ma sono sorti dei problemi”; all’appuntamento arrivo un po’ in ritardo, C. mi ha chiamato nella notte:

“Ehi sei sveglio?…”.

“Adesso sì”.

“Hai presente la Freppy?…”.

“Si certo, è stato uno dei motivi che mi ha spinto giù a Napoli al corteo di Libera, le è successo qualcosa? Che cazzo mi chiami in piena notte!”.

“Ieri ha avuto un incidente in moto…”.

“Ah si? Cazzo mi spiace, ma sta bene no?”.

“No…non ce l’ha fatta…”.

“…”.

“Ehi ci sei?”.

“Sì scusa ti richiamo io…”.

“Tu…tut…”.

Quando F. mi vede arrivare capisce subito che qualcosa non va:

“Ehi tutto ok? Ti vedo spento…non sei carico? Oggi è il grande giorno…se va tutto come speriamo questo è quello buono…”.

“Sì…no…scusa è che è mancata una mia amica stanotte…”.

“’azz mi spiace…va beh ma stai bene? Se hai voglia di parlare…”.

“Sì vabbé tranquillo tra un po’ mi passa…”.

“Se lo dici tu…”.

In effetti quando varco i cancelli di Via Olgiati, il fascino dello spazio e le cose da fare, mi tengono occupato; la sera a casa tutto torna a galla, ma domani è un altro giorno e di sicuro la Freppy se fosse qui mi direbbe “Ehi che faccia scura che hai… perché non sorridi un po‘? Dai che hai un mucchio di cose da fare”.

Sono passati molti mesi da quel giorno di Gennaio, forse F. aveva ragione, forse è quello buono; abbiamo fatto tante cose, e tante ancora ne faremo anche se le idee e la voglia ogni tanto possono venir meno, ci sono sempre i Compagni vecchi e nuovi pronti a rimboccarsi le maniche e a dare spinta e vitalità a quel palazzo abbandonato; oggi mi sono forse un po’ distaccato da voi, da ZAM, e dalla vita politica in generale, ma tutti quelli che mi conoscono sanno che questo non può essere un addio ma solo un arrivederci ed è grazie ai miei Compagni se oggi posso chiamare Casa lo stabile di Via Olgiati perché ZAM non è solo uno spazio fisico, è nel sorriso di tutti voi e, per me, anche in quello di chi non c’è più.

“…divisi siamo deboli insieme siamo invincibili…Hasta siempre”

T.

 

 

23 LUGLIO 2011

 

Finalmente partiamo.

Siamo solo noi due.

Purtroppo o per fortuna, al momento non ne ho la minima idea.

Di una cosa sono sicura, insieme spacchiamo sempre.

Brividi. Di paura e di felicità.

Dopo una giornata così importante non esisterebbe conclusione migliore, se non quella di addormentarmi sotto le stelle alla Centrale.

Il viaggio si prospetta infinito, ma la compilation che mi riserva dj P. rende il tutto molto più veloce del previsto.

Finalmente arriviamo, il cartello Giaglione ci accoglie come sempre all’inizio del paese.

“ Fù lo senti questo rumore?”.

“Sarà il rumore della Centrale”.

“ Bah, è strano, non l’avevo mai sentito così forte”.

Parcheggiamo. Apro la portiera e subito l’odore acre mi travolge e gli occhi iniziano a lacrimare.

“ Ma come, di già? Certo che non si stancano mai da queste parti”.

“ Vedi avevo ragione, stanno battendo sul guardrail, non era il rumore della Centrale”.

Scarponcini. Felpa. Maschera. Limone. Maalox.

“Certo che una sera in tranquillità qui non ce la possiamo mai fare, eh!?”.

“Cosa pensi. Qui mica giocano. Loro sì che sanno cosa significa una vera lotta!”.

Ci abbracciamo.

“Certo che ce le facciamo proprio tutte io e te”.

“E’ vero, ma non è forse questo il bello? Insieme, sempre e comunque, qualsiasi cosa accada“.

“Ora andiamo, sei pronta?”.

“Sempre pronta”.

“Non mi lasciare da sola”.

“Mai”.

T.P. 

 

 

AB

Gennaio, da qualche parte nella nebbia.

Si svegliò urlando una mattina di Gennaio. Il cielo era tetro, una tipica giornata milanese. Gli occhi stanchi, non più abituati alla luce provarono a guardarsi intorno cercando figure conosciute. Riconosceva a stento il posto in cui era, anche se in realtà era lo stesso di quando si era addormentato. Poco, pochissimo era cambiato intorno a lui. Per quanto tempo aveva dormito? Che giorno era? Che anno era?

Tentò un movimento, ma i muscoli erano indolenziti, resi immobili da un lungo riposo. Aveva dormito molto quindi. Cercò di guardarsi, il suo corpo era invecchiato incredibilmente; le parti che un tempo erano vive e attive adesso apparivano logorate dal tempo, a prima vista dimostrava molti più anni di quanti effettivamente ne avesse.

La sveglia era stata non certo confortevole, una forte scossa elettrica gli aveva imposto la fine del sonno, ma la stessa, gli stava ora restituendo una crescente energia. In un corpo reso logoro da un lungo sonno sentiva crescere una nuova forza dirompente.

Era spaesato e confuso nonostante l’ambiente in cui si era svegliato, fosse lo stesso in cui aveva vissuto per tutta la vita.

Si rifugiò nell’unica certezza che ancora gli rimaneva: la sua identità.

Cercò di ricordare chi era, cosa aveva fatto.

Il suo nome era AB.

La sua storia era la storia di una persona qualunque. Una storia come tante altre, normali, quelle che se incontrate per strada vengono ignorate.

Non aveva mai eccelso, non aveva mai deluso, non era mai stato sui giornali, nessuno l’aveva mai realmente notato, nessuno si era mai occupato di lui e lui non si era mai occupato di nessuno. Per tanti anni era stato un perfetto sconosciuto, uno che lavora tranquillamente, uno che segue le regole e che probabilmente avrà sempre una vita tranquilla e regolare.

Probabilmente.

In realtà poi era successo altro.

Esattamente come si fosse addormentato non se lo ricordava. Ricordava che si sentiva sempre più stanco, vedeva meno persone e non lavorava neanche più. Già parti del suo corpo lentamente avevano smesso di funzionare, ed era diventato pigro, non si muoveva, non muoveva.

Il logoramento, la routine che lentamente andava spegnendosi lo avevano portato a chiudere gli occhi. Era stato un processo quasi naturale. Inoltre lo avevano quasi preparato a questa eventualità. Il mondo lo aveva abituato che ogni persona ha un ruolo. E nel mondo dove viveva non esiste pensione. Aveva visto tante persone addormentarsi prima di lui; tutte chiudevano gli occhi nello stesso modo. Tanti conoscenti di gioventù si erano addormentati prima di lui, perché considerati inutili nel nuovo mondo, perché senza un ruolo.

Alcuni avevano provato a reinventarsi un nuovo ruolo. Ma quasi tutti erano destinati a un riposo forzato, ad un sonno lunghissimo fino al naturale decesso.

Gli era giunta voce di persone risvegliate di colpo, ma non aveva mai conosciuto nessuno così, anche perché dicevano che le persone dopo un risveglio così cambiano.

Impazziscono.

La chiamavano “medicina alternativa”.

Gruppi di persone studiavano questi metodi di risveglio e cercavano di metterli in atto su delle cavie.

A quanto pare era toccato a lui, lui era la nuova cavia.

Però non si sentiva pazzo.

Magari non ha funzionato.

Luglio, in un’afosa giornata estiva.

La gente del quartiere iniziava a parlare. Nelle assemblee mattutine di vecchi pettegoli, ne giravano di tutti i colori. C’era chi diceva che aveva iniziato a drogarsi, altri erano sicuri che il demonio fosse entrato in lui. Avevano creato una petizione per far arrivare il grande esorcista, ma quella piccola combriccola di quartiere non aveva certo un peso tale da scomodare i pezzi da 90. Ognuno ci teneva a fare sapere quanto gli desse fastidio avere quell’anomalia vicino, quanto l’aver interrotto la routine l’avesse trasformato in un mostro.

Quando lo incontravano cambiavano strada e si facevano il segno della croce. Qualcuno lo insultava, lo invitava ad andare da un’altra parte.

Però AB lì ci era nato, e in quel luogo rimaneva.

Ma loro non ci stavano.

Non lo capivano, non riuscivano a concepire un cambiamento così repentino, un vera e propria rivoluzione.

Eppure AB non aveva mai fatto male a nessuno. Era sempre in giro, faceva compagnia, ospitava le persone la sera e cercava di conoscere più gente possibile, si stava riappropriando della vita che non aveva mai vissuto in tutti quegli anni di lavoro. Era come se avesse per la prima volta premuto sull’acceleratore, e adesso andava sempre più veloce.

Prima di tutto si era riscoperto molto più giovane di quello che diceva la sua carta di identità, capiva di più tutti i ragazzi che prima del grande sonno gli venivano dipinti come sfaccendati, come delinquenti. Adesso gli sembravano molto più vicini dei cravattati che gli avevano inculcato questa visione.

Si era addirittura fatto dei tatuaggi e adesso era bello decorato. Si sentiva forte, aveva iniziato ad interrogarsi sul mondo del lavoro, sulla crescente crisi economica, sull’economia e sulla finanza. Aveva contribuito, seppur al photofinish, ai referendum vinti contro nucleare e per l’acqua pubblica. Aveva attraversato i cortei dei lavoratori, gli scioperi generali. Aveva partecipato al sanzionamento di banche, immobiliari e agenzie interinali. Aveva sviluppato un pensiero critico su molti aspetti della città, compresa la nuova giunta, che prima non gli avevano minimamente sfiorato il cervello. Aveva partecipato attivamente alle battaglie in Val Susa, era partito per Genova nei 10 anni del G8, anche se all’epoca probabilmente non avrebbe saputo neanche rispondere su che cosa fosse il G8. Adesso era attraversato da idee, da discorsi politici, dall’ironia spiccia e da quella ricercata. Un’altra persona rispetto a tutta la sua vita precedente.

Evidentemente stava attraversando il periodo della seconda giovinezza, ma avendo fatto l’adulto responsabile da giovane, era a tutti gli effetti una prima giovinezza.

Era vivo. Si stava ripulendo con il tempo degli effetti di anni di inattività costretto in un letto.

Ripensare adesso ai pregiudizi che aveva avuto sui risvegli improvvisi lo faceva sorridere, alla presunta follia in cui sarebbe dovuto cadere… Se pensava a quante cose gli avevano raccontato e quanto in realtà stesse bene adesso!

Aveva conosciuto anche altre persone risvegliate, non solo della sua città, ma di tutto il Paese. Aveva visto la loro esperienza e vedeva come la diversità di idee portasse quei soggetti a non essere identificabili, a non essere raggruppabili, a non essere controllabili. Certo aveva conosciuto anche persone realmente fuori di testa, ma sicuramente le preferiva agli zombi che conosceva nella sua precedente vita.

Era come rinascere nel mondo.

Era effettivamente un risveglio.

Gennaio, da qualche parte nella nebbia, dentro l’ospedale.

I medici correvano verso quella stanza dell’ospedale.

Veloci.

Dei “medici alternativi” erano riusciti ad arrivare a un paziente e sembravano essere intenzionati a risvegliarlo.

La notizia era sicura.

Avevano i loro informatori tra i cosiddetti “medici alternativi” che comunque non brillavano certo in segretezza. Con l’orecchio giusto e la conoscenza dei linguaggi potevi ottenere moltissime informazioni.

Comunque si erano mossi bene, e la notizia era arrivata solo all’ultimo.

Veloci.

Ogni secondo di ritardo gli poteva costare il paziente.

– Ancora!? –  urlò il primario quando seppe la notizia – Sono anni che combattiamo contro questi visionari, dobbiamo debellarli! –

Il primario camminava nervosamente avanti e indietro nella stanza.

Di per se un risveglio non era un grosso problema, ma ogni successo di quei “medici” aveva la capacità di accrescerne il numero, aveva il potere di rafforzarli. No. Non lo poteva accettare.

– Dobbiamo cacciarli subito! Non si può impedire loro l’accesso all’ospedale? Che ne so? Un bel DASPO? – si lamentava con il medico che gli stava dando la notizia, sapendo benissimo che era impossibile bandire delle persone da quella struttura..

Il medico annuiva con aria sottomessa, sapeva che il suo era un compito scomodo; come al solito quel buffo ometto con occhialini rossi si sprecava in omelie già trite e ritrite.

– Quelli si ingrossano, quelli puntano a questa poltrona, vogliono farci la barba, glielo dico io. Ma lo sa lei quanti ne abbiamo già abbattuti di questi “pazienti risvegliati“????? Glielo dico io – sbottò aprendo il cassetto alla ricerca di chissà cosa, in un incremento di colorazioni rossastre di ira.

Quando raggiunse il color rosso tenebra trovò finalmente l’oggetto della sua ricerca, un faldone con le schede cliniche dei casi precedenti. Li elencò con rabbia commentandone i comportamenti: come sempre l’apice fu su quei risvegliati che si erano messi a uccidere i medici regolari in nome della “medicina alternativa“.

Iniziò a calmarsi e per finire il solito programma, attaccò con – Io li conosco bene, lo sa che in gioventù mi avevano quasi convinto delle loro pratiche?? Ma io non ci sono cascato!! –

A questo punto il medico prese congedo con la scusa di un paziente urgente.

“Per fortuna che ambasciator non porta pena…” pensò uscendo dalla stanza.

I medici correvano verso la stanza.

Veloci.

Erano praticamente giunti a destinazione, la porta era già aperta e da dentro si sentiva un leggero brusio.

“Cazzo!” pensò il primo medico entrando “mi sa che ci hanno anticipato“.

E così fu.

Dentro videro quel gruppo di persone che si autodefinivano “medici” ancora lì, tutti che guardavano il paziente che apriva gli occhi.

Li riconobbero tutti, o quasi.

Erano anni che dovevano constatare i loro risvegli, che dovevano mettere una pezza ai loro danni e che quando potevano ne espellevano qualcuno.

Ormai conoscevano chi erano. Li avevano visti in un sacco di occasioni, e molti di loro avevano già risvegliato parecchia gente.

Ma quegli strani agglomerati si scioglievano e si riformavano con una semplicità assoluta, che sfuggiva alle loro logiche.

Ogni volta dovevano anche notare un crescendo di facce nuove, di nuove leve.

E sapevano che ogni risveglio riuscito ne porta altri ed altri ancora.

Adesso erano tutti lì. Tutti. Non mancava nessuno. Anzi c’era gente che non avevano mai visto prima, ma molti, quasi tutti erano conosciuti.

Quando entrarono non c’era più nulla da fare.

Avrebbero potuto riaddormentare il paziente con un colpo in testa e cacciare i “medici” dalla stanza. L’avevano fatto tante volte.

Procedura standard, chiamavano gli infermieri, quelli “giusti” e sbattevano fuori i finti medici dalla stanza, anche e soprattutto con l’uso della forza.

Poi, tolta le gente, una bella botta in testa al paziente che risprofondava nel sonno che gli competeva.

Questa volta erano in tanti dentro, e gli infermieri erano sparpagliati per le corsie, ci avrebbero messo troppo tempo ad arrivare e quel branco di ciarlatani si sarebbe sicuramente barricato dentro. C’era poco da fare, erano impotenti per il momento, a meno di non scatenare una vera e propria battaglia. Decisero di lasciare stare. Uscirono.

Dentro, questo strano gruppo di “medici” battezzava il risvegliato.

“Oggi 29 Gennaio 2011 abbiamo risvegliato il paziente Avery Berkel di Via Olgiati 12, ribattezzandolo con il nuovo nome ZAM“.

Novembre, in una particolare giornata autunnale.

Era passato quasi un anno dal suo risveglio e adesso ZAM guarda i profondi cambiamenti che ha avuto in un solo anno di nuova vita.

Ripensa a quand’era una semplice fabbrica di affettatrici con il nome straniero di Avery Berkel. Ripensa a quanto poco gli interessasse di quello che succedeva al di fuori dei suoi cancelli, e di quanto poco interessasse a chi passava fuori cosa succedeva là dentro.

Ora era tutto diverso. Adesso i passanti si fermano incuriositi, certo, alcuni storcono il naso, altri passano semplicemente oltre, altri entrano. Sicuramente ha trovato il modo per far parlare di se, e sta trovando il modo per parlare con gli altri.

Intanto la sua esperienza si è arricchita, e le sue peculiarità sono segni sulle sue pareti. Dai manifesti No-Tav a quelli degli incontri culturali proposti da lui.

ZAM è ricco, non di soldi ovviamente; in tasca ha a malapena i soldi per una birretta e il biglietto di qualche concerto, ma comunque si percepisce ricco. E le persone con cui parla vengono sicuramente arricchite. Non vive passivamente Milano, ma fa vivere Milano.

Quegli strani “medici“, che sostengono che persone come lui non debbano morire in mano al degrado, ma meritino di essere restituite alla città, hanno preso le sue malattie, le sue imperfezioni ed hanno iniziato a curarlo, a migliorarlo.

Pensa che debba tutto a queste persone, che forse valgono più di un padre che finito l’utilizzo l’ha abbandonato a se stesso. In un angolo. In periferia.

Forse anche queste persone un giorno se ne andranno, ma sostanzialmente ne dubita, perché gli occhi sono sinceri.

Adesso lo chiamano Centro Sociale, non più fabbrica.

Gli piace quella parola: Sociale.

Rende l’idea delle persone che si incontrano, e che parlano e discutono. Cose non quantificabili economicamente, che non producono plusvalore, ma che valgono altrettanto.

Mentre il sole tramonta su Milano, dal suo punto più alto vede parte della città e altri dormienti, com’era lui un anno fa, sparpagliati in giro…

Chissà se un giorno anche loro saranno svegliati di colpo, e riusciranno a vedere il mondo da quell’ottica. Chissà che un altro gruppo di strani “medici” li risvegli dal coma in cui sono stati abbandonati e li riporti ad essere fabbriche di socialità e conflitto come lui sta diventando.

Dentro di lui spera che tanti, tutti, possano risvegliarsi e vedere il mondo da quel punto di vista.

Saremo sicuramente più vicini alla Libertà quella con la L maiuscola.

Come canticchiava qualche operaio nella sua vita precedente.

“Libertà è partecipazione”.

A “Coprofag” che mi ha convinto a scriverlo.

 

F.N.T.

 

 

TOLSTOJ SI SCRIVE CON LA J!
Novembre. L’Italia intorno a noi è totalmente anestetizzata dopo la cacciata dall’alto del nano di Arcore e la calata del pacato vecchietto della Bocconi. Media, maggioranza, opposizione e tutti i quotidiani tacciono. Nessuna voce di dissenso al governo tecnico dell’ex-Rettore della Bocconi.

Il 13 Novembre a Monti viene dato l’incarico di formare il nuovo governo e per noi mancan pochi giorni all’appuntamento studentesco di ogni anno: 17 Novembre, giornata internazionale del diritto allo studio.

Come sempre tutto è ancora da preparare e organizzare, tutto è incerto tranne il fatto che lo faremo tutti insieme, medi, universitari e i compagni di Zam che ci daranno una mano perché una cosa certa la sappiamo: insieme possiamo fare tanto e bene.

Con il nostro tempismo perfetto facciamo assemblea tre giorni prima del corteo. Ci dividiamo i vari compiti, chi andrà a prendere il furgone, chi vernici e bonze per gli striscioni, chi li scriverà, chi si occuperà dell’audio e dell’impianto etc.. tutto fila liscio anche se le agende si infittiscono di impegni. Ci rimane solo da decidere il percorso che ovviamente si baserà sull’obiettivo politico.

“Siamo nell’Italia della crisi creata dalle Banche e dalle Finanziarie. Dirigiamoci verso la Borsa” dice F.

“Ma va! Non ci arriveremo mai” dice M.

“Non è tanto il fatto se ci arriviamo o no, poiché se vogliamo alla Borsa ci arriviamo, è che questo non va bene come obiettivo. Dobbiamo trovarne uno più adatto” dice S.

“Andiamo in Bocconi!” dice E.

Silenzio.

“In Bocconi??” chiede qualcuno.

“Sì, sì, in Bocconi. Monti è della Bocconi e buona parte dell’equipe di governo sarà bocconiana” spiega E.

“Ok, ma è comunque un luogo di studio e noi i luoghi di cultura tentiamo di difenderli!” dice C.

“Sì, ma adesso è un palazzo del potere, insomma è il Palazzo Chigi de Noartri!” risponde E.

“Beh…in fondo hai ragione. Bella idea!” approva C.

“Bussiamo al parlamento!!!” dice entusiasta qualcuno citando gli Assalti.

Tutti d’accordo!

Tiriamo fuori una cartina e ipotizziamo i percorsi per arrivare da Cairoli alla Bocconi.

#OccupyBocconi è lo slogan. Scriviamo il testo e rendiamo pubblica la nostra scelta immediatamente. Noi andiamo in Bocconi.

Ci salutiamo, sono già le 21, contenti dell’ottima scelta e pronti a fare ognuno il suo.

Ci vedremo a Zam il 16 per preparare il furgone.

Il 15 è la giornata dei “compiti” individuali e i cellulari già la mattina sono bollenti, la batteria è da ricaricare così come il credito a metà pomeriggio! La posta elettronica riceve 20 mail all’ora. I nervosismi e i primi screzi iniziano a farsi sentire.

Il 16 mattina ho quasi l’ansia a riaccendere il cellulare, devo fare mille cose prima di andare a Zam. Anche questa giornata è scandita e intervallata da sms, chiamate e mail.

Sono le 16.00 e la stanchezza è già parte di me. Prendo la metro e mi dirigo verso Zam.

Al mio arrivo vedo colori ovunque, un via via di cavi e casse, dei teli e plasticoni sparsi per tutta la sala.

Mi fermo e osservo, quasi mi estraneo dalla situazione.

Rido.

R. e M. sono piene di vernice dopo aver dipinto i book block ed ora stanno scrivendo con il pennello i titoli dei libri scelti.

F. nel frattempo scrive gli autori e A. lo aiuta collegandosi a internet per scriverli correttamente mentre i più “vecchi” sbraitano: “Ignoranti, Tolstoj si scrive con la j alla fine non con la i!!! E meno male che siete liceali e universitari voi!!!”

Il gruppo artistico formato da M. e C. inizia a dar vita ai primi striscioni…

Le sigarette accese sono mille, le immancabili birre sono sparse qua e là, qualcuno urla: “Ho fame!”, qualcun’altro passa sullo striscione appena dipinto, altri mettono canzoni e video idioti!

Nulla è pronto, tutto è in alto mare, l’organizzazione lascia a desiderare!

Insomma siamo noi e siamo così!

L’impianto sul furgone è pronto. Gli striscioni stan per essere conclusi. Ordiniamo qualcosa da mangiare. Il freddo inizia a farsi sentire e la nebbia si è impossessata di Zam. Sono le 21 passate! Gira la voce che qualcuno deve passare la notte a Zam perché l’impianto è già montato sul furgone e bisogna controllarlo.

Perfetto è tutto a posto! E non è nemmeno cosi tardi! Sono solo le 22! Alla spicciolata qualcuno inizia ad andarsene! Prepariamo tutto a fianco alla porta in modo che chi deve “addobbare” il camion la mattina successiva ha già tutto pronto. I dj hanno confermato la loro presenza!

Possiamo chiudere e andare a casa!

NO! Mi tocca fermarmi a Zam a controllare il camion. Mentre c’è ancora gente a far compagnia a S. ne approfitto per andare a casa di L. a farmi una doccia bollente e bermi un the.

Torno a Zam per le 24 e trovo S. bianco come un lenzuolo ed E. che ride come un pazzo, ha appena messo in atto uno scherzo ben riuscito a S.

Accendiamo la televisione, guardiamo programmi idioti e ci beviamo una birra e fumiamo mille sigarette. Manca ancora tanto alle 7 del mattino.

La notte passa tra dormiveglia e mille rumori tralasciando volutamente il freddo.

Il sole si affaccia su Zam. Colazione con caffè doppio, ormai è 24 ore che son sveglia! Saluto S. e mi dirigo in Statale mentre lui arriverà col furgone direttamente in Cairoli.

Alle 8 gli altri universitari son già tutti davanti all’ingresso dell’Ateneo.

Un caffè in attesa della partenza del corteo da Festa del Perdono a Cairoli è d’obbligo.

Alle 8.30 sentiamo cori in sottofondo, sono alcuni collettivi dei medi che stanno arrivando in Statale. Andiamo tutti insieme al concentramento del corteo!

La situazione fin da subito non è delle più idilliache, qualcuno è incordonato davanti al nostro camion perché non vuole farci partire.

Mi guardo intorno e i compagni son tutti lì, medi universitari e zammini! Mi sento molto più forte! Tutti si sentono più forti! Iniziamo insieme a farci spazio e portiamo avanti il furgone!

Il corteo ha inizio e davanti a noi solo l’obiettivo della Bocconi!

I book block colorati in prima fila, il furgone e dietro questo un paio di migliaia di persone che scandiscono cori contro la crisi e contro Monti. I compagni controllano la situazione, si scambiano opinioni, si danno tutti da fare per la buona riuscita! Non mancano di certo screzi, incazzature e nervosismi! Qualcuno si urla addosso! Altri sbraitano da soli perché qualcosa non funziona ma tutto in fondo fila liscio finché dobbiam svoltare per raggiunger la Bocconi!

Davanti a noi la celere schierata pronta a non farci passare!

La complicità tra i compagni è ottima! Basta guardarsi in faccia e ci si capisce!

Cosa facciamo?? Andiamo! Proviamo!

Non passiamo! Ci caricano subito!

Ci riproviamo? Non qui! Al prossimo incrocio!

Tentiamo la svolta a sorpresa ma le cariche arrivano subito e peggio di prima!

Niente raga! Non c’è niente da fare! Non ci faranno mai passare! Se ritentiamo ci frullano!

“Andiamo in Piazza Fontana e concludiamo il corteo e li facciamo una conferenza stampa e rispieghiamo la scelta della Bocconi e il nostro dissenso a questo ed a qualsiasi altro governo in linea con quelli precedenti! Che ne dite?” propone qualcuno.

Ok! Siamo tutti d’accordo! Si va in Piazza Fontana!

La conferenza stampa fila liscia, riusciamo a spiegare tutto! Ora speriamo che i media non giochino con le nostre parole e facciano vera informazione.

La piazza si svuota lentamente finché rimaniamo solo noi compagni!

Ci scambiamo qualche opinione a caldo ma la nostra giornata non è ancora finita!

Si va tutti a Zam a smontare il furgone e mangiar qualcosa!

La stanchezza si è impossessata di chiunque, il camion viene smontato a rilento, gli scambi di battute sono ancora carichi di nervosismo e acidità.

E’ il momento in cui ti viene in mente quanti sbattimenti ti sei fatto, il nervoso della giornata, l’incazzatura verso qualcosa o qualcuno, quanto sei stanca.

I più curiosi accendono il PC e si collegano ai quotidiani on-line.

“Ce l’abbiamo fatta!!!” Urla M.

“Parlano di noi ovunque! Il messaggio che volevamo lanciare è passato!” urla F.

“Sì, se ne parla ovunque! Siamo su tutti i nazionali” dice entusiasta M.

Ci avviciniamo tutti al PC!

E’ vero! Il nostro messaggio è passato! Il primo sassolino di voce di dissenso contro questo governo Monti è stato lanciato.

Siamo stati davvero bravi! Ci guardiamo, sorridiamo, ridiamo…

Ecco che tutte le emozioni negative svaniscono in un batter di ciglia! C’è solo gioia e soddisfazione!

Riportiamo il furgone e andiamo a casa a dormire! Ce lo siamo meritato!

Esco da Zam, osservo D. che chiude il cancello, guardo questa immensa struttura che è un po’ come una seconda casa. Quasi come una mamma sembra ci sorrida soddisfatta ricordandoci che insieme possiamo farcela perché uniti possiamo fare tanto e bene.

E come disse qualcuno dopo quel corteo: “… è vero che gli sbattimenti son stati tanti, le ore di sonno poche ma abbiamo fatto mille cose e tutto è riuscito più o meno come volevamo. La soddisfazione e la contentezza per il lavoro fatto cancellano tutte le arrabbiature, la stanchezza, i nervosismi e gli scazzi. Adesso ci riposiamo un po’ e poi ricominciamo…”.

 

C.