#RicercaPrecaria – L’incontro in Bicocca
La metà del personale che si occupa di didattica e ricerca nelle università statali italiane è precario.
Il 30% del lavoro mensile dei ricercatori e delle ricercatrici non strutturati non è dedicato alla ricerca; gran parte di loro fanno didattica in corsi in cui non sono titolari.
Il 90% degli assegnisti contribuisce alla didattica del proprio ateneo.
Ogni mese, i ricercatori e le ricercatrici non strutturate lavorano 44ore in più rispetto alle previsioni della Commissione Europea per i progetti Horizon 2020.
Si stimano oltre 66.000 mesi di lavoro non retribuito compiuto dai ricercatori e dalle ricercatrici (lavoro gratuito pari a quello svolto in un anno da tutti i dipendenti della regione Toscana e Lombardia)
Questi sono solo alcuni dei dati rilevati a fronte del lavoro nelle università; dati che parlano da sé.
A seguito delle politiche di smantellamento dell’università pubblica che dalla riforma Gelmini ad oggi investono prepotentemente la formazione italiana, il “Coordinamento dei lavoratori non strutturati” ha indetto un’assemblea per discutere come poter far fronte a tutti quei tagli che , di anno in anno, rendono sempre più difficile il lavoro negli atenei.
Lo Stato Italiano, infatti, indifferentemente dalle politiche di destra, centro o sinistra, sta lentamente frammentando e riducendo il diritto allo studio e alla ricerca.
Il 15 Dicembre la Commissione Bilancio della Camera ha bocciato l’emendamento presentato insieme all’ADI, FLC CGIL e LINK per l’estensione della Dis-Coll agli assegnisti, ai dottorandi e ai titolari di borse di studio, il Governo, contrariamente a quanto sancito dalla Carta Europea dei Ricercatori, si è rifiutato di estendere anche alle ricercatrici e ai ricercatori non strutturati il diritto a ricevere l’indennità di disoccupazione prevista invece per gli altri lavoratori parasubordinati.
Nelle università tutto questo non è passato in silenzio:il 29 Gennaio 2016, infatti, si è tenuta la 7a assemblea Nazionale del Coordinamento Ricercatori e Ricercatrici non Strutturat* in cui si è deciso di iniziare ad agire. É così che è iniziato lo “sciopero al contrario”: dal momento che il lavoro svolto da loro non è riconosciuto come tale ma bensì come formazione (!), i ricercator* hanno deciso di rendersi visibili, uscire dall’anonimato in cui si cerca di richiuderli e farsi vedere. Perciò durante le lezioni, i convegni, gli esami, le ricerche sul campo, i laboratori e in tutte quelle mansioni a loro assegnate, hanno deciso di indossare una maglia rossa con la scritta ”ricercaprecaria”, simbolo della loro presenza.
Azione silenziosa ma di impatto.
Oltre 1,4milioni di euro sono stati tolti alla ricerca negli ultimi sei anni grazie alla riforma Gelmini il sapere in Italia è sempre più settoriale ed inaccessibile. Il tessuto sociale universitario diviene pian piano impermeabile e frammentato. L’opportunità al sapere sta lentamente ma inesorabilmente prendendo una deriva elitaria che sembra conformarsi sempre di più al modello americano dove, chi può permetterselo riceve una buona istruzione nelle scuole private e chi, invece, non ha fior fior di quattrini da poter investire nella propria formazione, è destinato ad un’approssimativa istruzione pubblica.
Per dire basta a queste dinamiche, per cercare di fermare lo smantellamento dirompente delle nostre identità culturali, il Coordinamento ha dato inizio ad un ragionamento sul futuro dei nostri luoghi di formazione, su come poter interrompere tutti quei processi malsani impliciti nelle nostre università e che purtroppo, talvolta, rendono realtà molti degli stereotipi di senso comune – come il nepotismo e l’indifferenza dei docenti di ruolo.
Da dove iniziare?
Da noi, studenti e studentesse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e personale tecnico, noi che ogni giorno attraversiamo e creiamo gli stessi luoghi che di anno in anno subiscono questi processi.
È da qui che nasce l’idea di un “Manifesto” che non sia solo una denuncia della situazione economica e burocratica in cui ci troviamo immersi, ma che tenda ad una messa in luce della necessità di una ri-significazione del lavoro intellettuale e di ricerca. Questa non è una denuncia corporativa, di classe o settore, ma è una battaglia che comprende tutt* coloro facciano parte del sistema universitario, chiunque riveda nelle università un’occasione di crescita per sé o per la società che vive. La ricerca non è un mezzo fine a se stesso, una documentazione sterile e neutrale della realtà sociale contemporanea ma è un mezzo di riflessione sulle diverse dimensioni che compongono il reale, un modo per comprenderci e comprendere meglio ciò che ci sta intorno, per capire come agire e pensare basando le nostre riflessioni su percezioni estese della nostra quotidianità.
L’incontro di venerdì è solo il secondo appuntamento di molti altri che arriveranno in cui si continuerà a riflettere, interrogarsi ed agire con tante nuove pratiche.
La mobilitazione è appena iniziata.
Marta
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