APPUNTI SULLE MOBILITAZIONI DI QUESTI GIORNI DEGLI AGRICOLTORI
Le mobilitazioni di questi giorni degli agricoltori, che stiamo seguendo e attraversando, ci danno la possibilità di ribadire alcune questioni.
L’agricoltura contadina è a rischio estinzione.
In Italia sono rimaste poco più di un milione di aziende agricole. Negli ultimi quarant’anni sono scomparse due aziende su tre. Negli ultimi vent’anni il numero di aziende agricole si è dimezzato. Alla veloce diminuzione del numero di agricoltori fanno da contrappunto aziende sempre più grandi con una superficie media che è più che raddoppiata.
La crisi è conclamata ed estesa. In Francia le aziende agricole sono meno di quattrocentomila e dal 2010 se ne sono perse più di centomila. Anche qui, la dimensione media è aumentata esponenzialmente (circa settanta ettari).
Ogni giorno due agricoltori francesi si suicidano.
In India, per far ritirare quelle leggi che avrebbero causato la scomparsa della quasi totalità degli agricoltori, c’è voluta una mobilitazione lunga un anno (decine di miglia di contadini hanno occupato per tutto il 2021 tre arterie della capitale, in milioni hanno marciato con i loro trattori, 750 contadini sono morti in scontri, incidenti, malori e assassinati).
Agroindustria e rivoluzione verde a metà del secolo scorso hanno iniziato questo processo di dismissione, hanno avvelenato la t/Terra e il cibo, hanno cancellato saperi e pratiche millenarie, hanno determinato la fine della civiltà contadina.
Oggi il capitalismo cibernetico/finanziario sta per completare l’opera.
A questo mostro a due teste le agricoltrici e gli agricoltori non servono più, l’unica agricoltura di cui ha bisogno è quella megaintensiva, megaindustriale, sintetica, digitale, biotecnologica.
Con la cosiddetta “agricoltura 4.0” si vuole imporre la trasformazione delle cascine in fabbriche industriali tecnologiche a tutti gli effetti: trattori hi-tech, sensori in campo, software, algoritmi, intelligenze artificiali, droni, per fare “agricoltura di precisione”. Macchinari indotti e finanziati dalle politiche statali e soprattutto comunitarie. Agricoltori già indebitati con le banche, in balia dei fornitori di prodotti fitosanitari, di semenze e mangimi, sono a un passo dell’ennesima dipendenza mortale da questi nuovi dispositivi digitali. Una dipendenza malata e mortifera.
Il capitalismo finanziario e cibernetico lavora per dirottare la produzione su un esiguo numero di industriali agricoli con proprietà terriere enormi, in nome di una transizione ecologica falsa, effimera.
La digitalizzazione del lavoro sarà il cuore della catastrofe ecologica, come ben scrive L’Atelier Paysan (gruppo a supporto degli agricoltori nella progettazione e produzione di macchine, strumenti ed edifici per l’agroecologia contadina, per la sovranità tecnica, l’autonomia attraverso la riappropriazione della conoscenza e del know-how).
È la fabbricazione del materiale informatico ad avere l’impatto ecologico più pesante, in termini di acqua, estrazione di minerali e produzione di energia elettrica. Basti pensare che nel giro di qualche anno il 50% dell’elettricità mondiale servirà per far funzionare il digitale, una quantità equivalente a ciò che l’umanità intera consumava nel 2008.
L’intera agricoltura rischia di essere completamente stravolta e con essa la vita del pianeta e dei suoi abitanti. Diminuisce e si concentra nelle mani di pochi il terreno agricolo, già eroso dalla cementificazione, dalle grandi infrastrutture al soldo della logistica, dalla desertificazione causata dai cambiamenti climatici. Si vuole fare della maggior parte dei territori agricoli dei territori energetici (fotovoltaico, eolico e agrivoltaico), agroindustriali (agricoltura intensiva industriale), agrotecnologici (agricoltura 4.0) e speculativi (cementificazione).
Un’ultima questione, non meno importante, è la questione del mercato e della distribuzione. Occorre essere consapevoli che cinque gruppi imprenditoriali controllano il mercato mondiale delle attrezzature agricole, cinque gruppi controllano i due terzi del settore delle sementi e una manciata di colossi mondiali dominano il commercio dei cereali e di altre produzioni alimentari determinando il prezzo al produttore e sullo scaffale. Tutto ben tutelato dai trattati di libero scambio e dai regolamenti internazionali.
Le mobilitazioni degli agricoltori di questi giorni in tutta in Italia, in Olanda, Francia, Polonia, Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e Germania sono formate da una composizione agricola diversa, eterogenea e non tutte le mobilitazioni e non tutti gli attori coinvolti sono in completa sintonia con quello che siamo e con quello che abbiamo portato avanti in questi vent’anni con La Terra Trema.
Pensiamo però che queste mobilitazioni siano da attraversare e supportare.
Non ci spaventa. La Terra Trema è materia impura, invereconda, fecciosa. Non è camera stagna, non è zona protetta, sigillata. È luogo di confronto a pelle, luogo di confronto tra esseri diversi, ognuno col suo fare e parlare.
La sfida è epocale per tutte e tutti, si prospetta un futuro nefasto manovrato da un terribile nemico. Alcuni degli agricoltori e delle agricoltrici che in questi giorni si stanno mobilitando li conosciamo personalmente, sappiamo che agricoltura praticano, che competenze specifiche possiedono e quale portato culturale rappresentano. Con molti abbiamo condiviso mobilitazioni e azioni.
In Italia sono gli agricoltori che si stanno mobilitando, non i sindacati di categoria. Questo apre ulteriori spazi di riflessione e possibilità di convergenze nei specifici territori. Ci auguriamo e pensiamo sia necessario cercare di lavorare per far si che queste mobilitazioni non restino mobilitazioni corporative, ma che diventino ampie, che riguardino tutte e tutti.
Non è facile, né lineare, però solo così potrà nascere un processo che supporti e sviluppi, in modo significativo e ampio, l’agricoltura contadina di qualità e sussistenza, spazi, comunità e economie autonome e un futuro meno nefasto di quello che ci attende. Diversamente queste mobilitazioni sono destinate a dissolversi, a essere strumentalizzate dalla politica istituzionale, quella che guarda alle elezioni europee, oppure, nella peggiore delle ipotesi, a foraggiare una composizione culturale, sociale e politica reazionaria di cui il tricolore e il “boia chi molla” di qualche giovane agricoltore che invita ai blocchi coi trattori, sono solo dei timidi segni.
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