Ma è davvero possibile “fare politica” su YouTube?

YouTube è attualmente riconosciuto come uno dei principali strumenti di comunicazione globale. Con una base di utenti mensili che supera i due miliardi (Simon Kemp, Digital 2024 April Global Statshot Report), la piattaforma non solo si configura come uno spazio di intrattenimento e di consumo culturale, ma anche come un ambiente in cui vengono proposti contenuti di natura più strettamente politica. È l’idea dell’accesso immediato a un pubblico planetario a giustificare quindi la domanda che guida questo contributo: è realmente possibile “fare politica” (o quantomeno informazione “non allineata”) su YouTube?

Tuttavia, tale questione non si pone solo in termini di “visibilità” dei contenuti o – cosa assai differente – di capacità di mobilitazione sulla base di quei contenuti. Essa implica l’esame degli assetti strutturali della piattaforma, delle forme di censura e di moderazione adottate da un soggetto privato che opera con poteri pressoché assoluti, nonché la valutazione delle alternative in grado di garantire spazi di libertà effettiva.

Un’adeguata premessa può essere costituita proprio dall’esperienza di milanoinmovimento.com, il cui canale YouTube è stato chiuso con l’accusa di violazione delle normative contro le “organizzazioni criminali violente”. Tale decisione ha naturalmente suscitato la reazione indignata del collettivo redazionale (MiM nuovamente sotto attacco per il sostegno ai curdi), che ha sottolineato come i contenuti incriminati, lungi dall’inneggiare a qualsivoglia forma di violenza, documentassero piuttosto le manifestazioni in sostegno alla resistenza curda in Siria e in Iraq e per la liberazione di Abdullah Öcalan.

Il provvedimento è paradossalmente giunto proprio nel momento in cui il PKK ha annunciato il proprio scioglimento, proclamando un “cessate il fuoco” unilaterale (Comincia il disarmo dei combattenti curdi del Pkk). YouTube non solo ha cancellato un canale di controinformazione, ma ha determinato la perdita irreversibile di un patrimonio di documenti audiovisivi riguardanti anni di mobilitazioni sociali.

Nondimeno, è necessario evidenziare come tale episodio riveli la fragilità della scelta di affidare la propria memoria politica a un’infrastruttura che non riconosce alcun obbligo di responsabilità pubblica.

L’ambiguità delle piattaforme come YouTube e, più in generale, delle piattaforme social, si manifesta nella tensione tra la loro apparente natura pubblica e la sostanziale gestione privata. Da un lato, esse si presentano come spazi aperti, capaci di garantire a chiunque una visibilità potenzialmente illimitata. Dall’altro lato, operano secondo logiche proprietarie e di mercato, che sottraggono agli utenti ogni forma di reale controllo. Il diritto di parola e di espressione politica è quindi subordinato alle condizioni d’uso dettate da un’impresa privata.

Il modello di business di YouTube si fonda sulla raccolta massiva di dati personali, sulla profilazione degli utenti e sulla vendita di pubblicità mirata. I meccanismi di raccomandazione, notoriamente frutto di scelte “algoritmiche”, orientano le preferenze di consumo culturale e, di conseguenza, influenzano il discorso pubblico.

L’affidamento dei contenuti a una piattaforma privata comporta l’esposizione a rischi di manipolazione, sorveglianza e cancellazione. Per queste ragioni, diventa essenziale esaminare forme alternative di produzione e distribuzione dei contenuti multimediali, che non siano soggette al controllo centralizzato di una corporation. Su questo terreno, PeerTube emerge come un’alternativa interessante (Che cos’è PeerTube?). Si tratta di una piattaforma open source sviluppata dall’associazione no-profit Framasoft che consente a chiunque di pubblicare e gestire in autonomia il proprio spazio di condivisione di contenuti multimediali. A differenza di YouTube, PeerTube non monetizza attraverso la pubblicità né traccia i dati dei visitatori. La sua architettura federata consente la creazione di istanze autonome che possono tuttavia interconnettersi tra loro, generando una rete distribuita. Ciò permette da un lato l’indipendenza delle singole comunità, dall’altro la potenziale interazione su scala più ampia.

Dal punto di vista etico-politico, PeerTube ribalta la logica dominante: gli utenti non sono trattati come prodotti da profilare, bensì come soggetti che partecipano a un progetto comunitario. La licenza libera del software assicura trasparenza e possibilità di intervento che una piattaforma proprietaria non garantisce.

Oltre alle piattaforme federate, esistono soluzioni tecniche che permettono di interfacciarsi a YouTube in maniera meno invasiva per la riservatezza. Per esempio, Invidious è un front-end open source che consente di accedere ai video di YouTube senza subirne il tracciamento, senza pubblicità e senza un account Google.

Tuttavia, Invidious presenta limiti legati alle politiche restrittive di Google che, ovviamente, tende a ostacolare l’uso di interfacce alternative. Inoltre, non viene eliminata la dipendenza dalla piattaforma: ne vengono limitati solamente gli effetti più invasivi.

“Fare politica” su YouTube è quindi un’attività che si espone a rischi strutturali: censura improvvisa, perdita di archivi, subordinazione a logiche di mercato e sorveglianza sistematica.

Per questa ragione, l’esigenza di piattaforme indipendenti e a gestione comunitaria si presenta come condizione necessaria per garantire non solo la libertà di espressione, ma anche la conservazione del patrimonio documentale delle lotte sociali. Si tratta di aspirare a un diverso modello di comunicazione digitale fondato sulla trasparenza e sulla partecipazione, di ripensare criticamente le attuali infrastrutture tecnologiche, al fine di costruire spazi di espressione politica che non siano soggetti al capriccio di un algoritmo o alla decisione insindacabile di una corporation globale.

*  l’immagine è stata creata localmente con Stable Diffusion, un modello open source di apprendimento automatico profondo per generare immagini a partire da descrizioni di testo.

neticoconsulente informatico e hacktivista

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