Cosa succede in città. Sulle proteste contro la polizia a New York

“Mic check, mic check” grida una ragazza nera sotto la statua di Adam Clayton Powell Jr sulla 125th ad Harlem, New York. Non c’è nessun microfono però, ma solo la folla che ripete, come un’onda, le parole della ragazza per farle arrivare fino in fondo alla piazza, piena di centinaia di persone. Attraverso questo microfono umano viene ricordato che si sta per partire per un corteo non autorizzato e che per questo le persone con disabilità è meglio che non partecipino. “Ce ne scusiamo, ma cerchiamo di essere realistici”. Viene trasmesso il numero del supporto legale e sottolineato che, se assistiamo ad un arresto, dobbiamo rimanere “disciplinati”, non intervenire, non filmare la scena e non postarla sui social (per non compromettere chi viene arrestat*) e cercare solo di farsi dire il nome dalla persona arrestata per comunicarlo agli avvocati. “Abbiamo raccolto i soldi per la cauzione!”. Alla fine gli arresti, dopo un corteo che si è snodato per le vie di Harlem fino al Bronx e ha bloccato 3 linee della metro, saranno 58, per corteo non autorizzato e interruzione di pubblico servizio, e tutte le persone saranno rilasciate nelle 48 ore successive, accolte dal presidio che le aspettava fuori dalla prigione.

Siamo a venerdì 22 novembre, alla seconda mobilitazione di “FTP – Fuck The Police Emergency Action”, una sigla che raccoglie diversi gruppi e collettivi (da Decolonize this Place a Take back the Bronx, passando per People Power Assemblies NYC, Why Accountability, Mi casa no es su casa: illumination against gentrification e Within our Lifetime • United for Palestine) per contrastare il progetto del governatore Cuomo di assumere 500 nuovi agenti di polizia (dopo i 500 assunti a giugno) per garantire la sicurezza e la pulizia nella metro newyorkese. E per sicurezza si intende evitare che le persone non paghino i 2,75 dollari del biglietto e eliminare i e le venditrici abusive di cibo dalle stazioni.

L’anno scorso, la Metropolitan Transportation Authority (l’azienda dei trasporti) ha dichiarato che l’evasione è costata all’agenzia 215 milioni di dollari, con circa 208.000 persone che ogni giorno non pagano il biglietto. Oltre ad assumere i poliziotti, sono apparsi su tutti i mezzi degli annunci che avverto della multa da 100 dollari per chi viene trovato senza biglietto valido. I nuovi poliziotti dovrebbero reprimere ulteriormente l’evasione tariffaria, essenzialmente un crimine di povertà. Si presume che faranno risparmiare 200 milioni di dollari alla MTA nei prossimi quattro anni. I poliziotti, tuttavia, costano nello stesso periodo di tempo 249 milioni di dollari, un costo che, secondo la Citizens Budget Commission, raggiungerà 1,4 miliardi di dollari in dieci anni. Le nuove assunzioni arrivano nonostante l’MTA stia operando con un crescente deficit di bilancio che consta in centinaia di milioni di dollari. Per questo, fin da subito, la decisione di Cuomo (supportata dal sindaco De Blasio) è stata criticata chiedendo di investire i soldi destinati ai poliziotti in lavori di manutenzione, di cui la metro ha molto bisogno, e di potenziamento, oltre che di riduzione delle tariffe.

A scatenare le proteste, però, è stata l’escalation di violenza che è seguita all’arrivo dei nuovi poliziotti e in particolare la vicenda di Adrian Napier, un 19enne nero. Il 25 ottobre Adrian Napier si trovava in un vagone della metro alla fermata della Franklin Avenue, a Brooklyn, quando si è visto puntare addosso le armi da un gruppo di agenti che dalla banchina sono entrati per arrestarlo. In un video postato su twitter si vedono gli/le altre passeggere spostarsi spaventate e Adrian voltarsi e dire “avvisate mia mamma” prima di essere buttato a terra dai poliziotti.

https://twitter.com/PopChassid/status/1187838293104304130?s=20

La NYPD dichiarerà, poi, che avevano ricevuto da un testimone la notizia che Adrian avesse una pistola, mentre alla fine il ragazzo è stato denunciato per “furto di servizio” per aver scavalcato i tornelli della metro senza pagare il biglietto. Lo stesso giorno, inoltre, alla fermata di Jay Street, sempre a Brooklyn, alcuni agenti avevano preso a pugni dei ragazzini neri prima di spingerli a terra per arrestarli per mancanza di biglietto, e il 28 ottobre un 16enne era stato spinto a terra e colpito col taser per aver saltato i tornelli nel Queens. Inoltre, solo a New York, nelle settimane precedenti, la polizia aveva ucciso 4 persone, in 4 momenti diversi, ma tutte nere e latine e tutte disarmate (Antonio Lavance Williams, Allan Feliz, Victor Hernandez e Kwesi Ashun).

In risposta a queste violenze FTP ha lanciato una prima mobilitazione, a Brooklyn, venerdì 1 novembre, in cui più di mille persone sono scese in corteo per poi entrare nella metro e scavalcare i tornelli in massa. Alla manifestazione era presente anche Adrian Napier, con sua mamma, che si è detto commosso per la reazione e che ha dichiarato: “L’unica cosa che non possono toglierci è la speranza, la speranza per un futuro migliore”.

Nelle settimane successive alla mobilitazione le violenze sono continuate, quotidianamente, ed è aumentata la sorveglianza ai tornelli, tra poliziotti armati e installazione di telecamere. I casi più eclatanti sono stati ai danni di due venditrici abusive, nel Queens e ad Harlem, a cui è stata oltretutto sequestrata tutta la merce. E per questo FTP ha indetto una seconda manifestazione, dandosi appuntamento al memoriale di Harriet Tubman, leggendaria liberatrice di schiavi, e finendo a distruggere fisicamente i tornelli nel Bronx, alla fermata sulla 149th e la 3 Avenue.

FTP chiede di togliere la polizia dal trasporto pubblico e di renderlo gratuito e accessibile, ma mette anche in luce la dimensione strutturalmente razzista e classista di questa ricerca di sicurezza: non è un caso che uno degli slogan più ripetuti in corteo fosse “How do you spell racism? NYPD” (come si scrive razzismo? Polizia!). Ad essere colpite dalla violenza della polizia, infatti, sono soprattutto le persone nere e latine, soprattutto povere, che non possono permettersi di pagare le tariffe della MTA, le persone che non hanno casa e quindi usano la metro per trovare un posto caldo (e sono spesso persone nere o latine), le persone che hanno malattie mentali e che “disturbano” nei passaggi della metro e le persone, soprattutto, donne, che vendono cibo illegalmente. Per questo le manifestazioni di FTP sono aperte dalle persone razializzate e venerdì, sotto la stata di Adam Clayton Powell, ci è stato chiesto di guardarci intorno e, se bianch*, di fare un passo dietro per persone nere o latine che vedevamo intorno a noi, in modo da lasciare loro la testa.

Ma non è un caso che a guidare queste proteste siano soprattutto donne nere. In una città escludente come New York, in cui i processi di gentrificazione e speculazione hanno spinto le persone ai margini della città, il trasporto pubblico diventa un tema centrale e uno strumento che potremmo definire di lavoro riproduttivo che segna privilegi e oppressioni: dover passare intere ore sui mezzi pubblici, infatti, per raggiungere il proprio posto di lavoro significa una sottrazione di tempo di vita pesantissima, che esclude la possibilità di qualsiasi tempo libero. Estrarre profitto dal trasporto pubblico, quindi, vuol dire estrarlo da queste forme di vita, dal tempo materiale impiegato per andare a produrre altro profitto. E sono in particolare le donne a subirne le conseguenze, perché al tempo di lavoro e al tempo di spostamento devono sommare il tempo del lavoro di cura: tre forme diverse di estrazione di valore dalle loro vite, di cui non vedono i benefici. Inoltre, sono soprattutto le donne a trovarsi a dover vendere illegalmente il cibo per poter vivere, da un lato perché vengono più spesso espulse dal mercato del lavoro, dall’altro perché in questo modo possono sommare al lavoro produttivo il lavoro domestico e riproduttivo che farebbero comunque: cucinano a casa, come cucinerebbero ugualmente, e possono gestire i propri orari di lavoro in autonomia per conciliarli con quelli del lavoro di cura.

Il processo per ottenere una licenza di vendita è così burocratico e complesso che diventa difficilissimo ottenerle. A prima vista, sembra che una potenziale venditrice di generi alimentari abbia solo bisogno di presentare una licenza di vendita mobile di generi alimentari da 50 dollari e un permesso di vendita mobile di generi alimentari da 200 dollari per ogni food truck. Ma uno sguardo alla lunga lista dei documenti necessari per fare domanda mostra come i costi possono escludere i potenziali venditori che non hanno le risorse per ottenerli. Senza un documento d’identità valido rilasciato dal governo, una residenza valida, un numero di identificazione fiscale, una prova che mostri di essere in regola con le tasse, una prova che certifichi il pagamento per il cibo e un corso di certificazione, non è possibile richiedere un permesso del fornitore. I corsi richiesti – un corso con certificato della Food Protection o un corso della Mobile Food Vending Protection – possono costare fino a 53 dollari e richiedono agli iscritti di dedicare tra le otto e le 15 ore di tempo. Questo è tempo prezioso che le donne povere potrebbero spendere per guadagnare un reddito. Inoltre, anche se le venditrici riescono a soddisfare tutti i requisiti, si rendono presto conto che devono affrontare una lunga attesa per una licenza. Secondo una legge stabilita nel 1983 e aggiornata nel 1995, il numero di permessi a tempo pieno in vigore a New York è limitato a 3.000. A meno che il numero di permessi attivi non scenda al di sotto di tale numero, non vengono più rilasciati permessi a tempo pieno. Di conseguenza, i candidati idonei devono inizialmente fare domanda per essere messi in lista d’attesa e poi aspettare di essere chiamati a presentare ufficialmente la domanda. Il risultato è che, se quasi il 22% di tutti i venditori di generi alimentari con permessi legali sono donne, e il 56% di tutte le multe sono date alle donne, secondo il database delle violazioni dell’Environmental Control Board raccolto da The Street Vendor Project (un collettivo che raccoglie venditori e venditrici con circa 2000 membri). Lo Street Vendor Project mostra la necessità di un’organizzazione non gerarchica soprattutto di donne nere, latine e queer, comprese quelle direttamente interessate dalle sfide della vendita ambulante, che può aiutare a portare l’attenzione e l’urgenza su crisi economiche e ingiustizie come questa, che colpiscono in modo sproporzionato le donne di colore. La battaglia delle venditrici di strada per lo spazio pubblico e la libertà di perseguire i propri mezzi di sussistenza è in definitiva una lotta per la dignità dell’autodeterminazione.

Per questo la lotta di FTP non è soltanto una lotta contro la violenza della polizia o per il trasporto pubblico, ma una battaglia che mette al centro la possibilità reale di abitare le città e non soltanto di attraversarle per produrre valore per altri. Si tratta di una battaglia che parte dal trasporto pubblico e dai suoi luoghi perché sono gli spazi più attraversati della metropoli e allo stesso tempo gli spazi in cui emergono in maniera forte le disuguaglianze e le oppressioni. La volontà di rendere sicuro e decoroso quello spazio è la dimostrazione materiale di una volontà di trasformare le città in luoghi segregati lungo le linee della classe, e nei suoi incastri con razza e genere, e di rendere adatte alle esigenze di chi può spendere e investire, più che di chi ci lavora e ci vive. Anche da Milano, in forma embrionale, possiamo vedere in atto un processo che rende le città attrattive e piene di possibilità per chi può permettersele e che per farlo deve trasformare lo spazio pubblico in un spazio liscio, in cui il decoro diventa uno degli strumenti per mettere in atto strategie di esclusione. La retorica secondo cui questo processo porterebbe benefici anche alle classi subalterne, grazie a uno sgocciolamento della ricchezza, è contraddetto proprio in primo luogo dai tempi di vita delle appartenenti a quelle classi, che vengono compressi al massimo, perché resti solo il tempo per il lavoro, da cui estrarre ricchezza di cui non beneficiano, perché le scintillanti opportunità della città rimangono inaccessibili per la distanza, per i prezzi e per il tempo che manca. La povertà diventa un elemento da disciplinare, una colpa da sanare a suon di leggi e restrizioni, e non di redistribuzione. Resistere a questo processo, ovunque, significa ripensare le città come spazi di conflitto a partire dalle condizioni materiali di vita, che intrecciano produzione e riproduzione in un nodo non districabile perché a essere messe a valore sono le vite intere, che nelle metropoli del decoro e della speculazione non trovano più nemmeno quegli spazi di libertà che potevano essere strappati nel tempo libero. Camminare nelle strade di New York cantando “Whose streets? Our streets!” significa proprio riprendersi questi spazi e riappropriarsi delle città.

Carlotta Cossutta

* Foto da gothamist.com

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