Rumble in the jungle – Lo sport ai tempi del Covid19

Premetto che non sono un tecnico o un virologo e che queste righe sono solo una riflessione a partire dalla mia esperienza come sportivo e come lavoratore all’interno di questo ambito. Vorrei iniziare con un episodio pugilistico che in questi giorni mi è tornato subito alla mente.

Il 25 aprile del 2009 il pugile britannico Carl Froch, campione indiscusso dei pesi super-medi, affrontava in trasferta negli Stati Uniti, lo sfidante Jermain Taylor, appena approdato dai pesi medi. In un’arena gremita forse pochi si aspettavano che verso la fine del terzo round, Froch venisse atterrato da una fulminea combinazione del più veloce Taylor. Un ko duro ed inaspettato come quello ricevuto dal virus, in un momento in cui ci sentivamo più forti, un colpo veloce e fulmineo che in poco tempo ha messo al tappeto le nostre convinzioni e sicurezze. Non molto tempo fa commentavamo quasi distrattamente le notizie dalla Cina con i colleghi, non curanti degli avvertimenti che arrivavano ogni giorno da chi stava quotidianamente combattendo contro quello che noi ci stiamo trovando solo ora ad affrontare in casa nostra. Siamo stati ingenui, e come ci insegna lo sport, sottovalutare il proprio avversario porta sempre ad una sconfitta.

La cosa più difficile da affrontare in questi giorni non sono tanto le misure restrittive, ma l’incertezza che stiamo vivendo ormai da settimane. Dal punto di vista della gestione sportiva dilettantistica ed amatoriale, vi è stata fin da subito una mancanza di indicazioni chiare e precise, come d’altronde si è visto anche a livelli professionistici, mandando completamente in confusione il settore. È iniziato tutto con la con la chiusura totale delle piscine e delle palestre, per poi passare alla possibilità di fare allenamenti e partite a porte chiuse, dopo di ché di nuovo una sospensione di tutte le attività se non eseguite all’aperto ed individualmente. Una iniziale confusione che ha messo in crisi non solo le grandi aziende del fitness, ma anche le più piccole ASD e SSD, che si sono ritrovate ad interpretare i vari decreti, aprendo e chiudendo i propri spazi.

Le Società sportive dilettantistiche (SSD), così come le più grandi Associazioni sportive (ASD) che gestiscono per lo più impianti sportivi di proprietà pubblica, sono società di capitali di proprietà senza scopo di lucro soggettivo. Tutto ciò significa che i soci che investono il proprio capitale, possono essere retribuiti solo per il lavoro effettivamente svolto. Nonostante esistano svariate agevolazioni fiscali, i ricavi delle società sportive derivano per lo più dagli incassi generati dall’attività amatoriale e dilettantistica, ovvero da chi fa sport per passione o per salute. Questi incassi sono il più delle volte calmierati perché spesso concordati con gli enti pubblici che detengono la proprietà dei vari spazi. I proventi delle varie associazioni e società non solo devono essere reinvestite nell’attività sportiva che propongono, ma anche atte a sostenere costi di gestione immensi. Tali spese prevedono: impianti sportivi aperti tutti i giorni e per molte ore, costi di manutenzione e delle utenze e soprattutto stipendi di allenatori ed istruttori, tutto ciò per garantire la maggior fruibilità possibile. Al pari dunque di una grossa azienda che non può essere fermata per garantire il ciclo produttivo, anche ASD e SSD sono importanti per offrire alla collettività servizi che sono considerati al pari dell’istruzione e della cultura.

A causa quindi di questa emergenza coronavirus, molte società si ritroveranno nel breve tempo sull’orlo del fallimento, che non avrà ripercussioni soltanto sulla collettività, ma anche su chi opera e vive grazie ad esse. Io come altri miei colleghi in questi giorni stiamo cercando di capire in che modo la nostra azienda, gestore di molti impianti a Milano, si muoverà per garantire ai propri lavoratori il pagamento degli stipendi, soprattutto per chi sprovvisto di ferie o permessi da utilizzare. La categoria sicuramente più colpita rimane quella dei collaraboratori sportivi, che dal 23 febbraio si sono ritrovati improvvisamente senza lavoro e nonostante il fondo per la copertura delle indennità perdute messo in campo da governo, non hanno garanzia di potere riprendere la propria attività una volta terminata l’emergenza, perché purtroppo, come spesso succede, per rispondere ad una crisi economica le prime persone a cadere sono quelle meno tutelate.

In attesa della fine di questa emergenza, intanto continuiamo questo nostro match contro il virus, e guardando Froch, che quella notte del 25 aprile subì un clamoroso ko nelle prime riprese, non ci resta che fare come lui, rialzarci e reagire per continuare a combattere con tutte le nostre forze fino alla vittoria.

James Braddok

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