Aggressione al campo rom Al Karama

dsc_0104-modifica-2-2In passato ci siamo occupati dei campi rom milanesi, spesso vittime di aggressioni razziste e di sgomberi che spostano il problema abitativo senza risolverlo.
Anche in altre parti d’Italia il razzismo trova sfogo contro i rom, che diventano un capro espiatorio comodo e accessibile. L’ultima aggressione è avvenuta a Borgo Bainsizza: ci siamo fatti raccontare da una volontaria che frequenta il campo Al Karama com’è la situazione e cosa è successo.

Il campo rom “Al Karama” sorge a B.go Bainsizza (LT), a pochi metri dalla discarica di Borgo Montello, uno dei siti indicati dal pentito Schiavone per l’interramento dei rifiuti tossici nocivi.

Il sito è nato come centro accoglienza per gli immigrati del Maghreb negli anni ’90, per poi essere chiuso nei primi anni 2000 e occupato (abusivamente) da alcune famiglie rom romene nel 2006. In realtà si tratta di un’occupazione controversa, giacché tollerata sin da subito, avvenuta in presenza della Digos che aveva l’ordine di “vigilare senza intervenire”, e mai sgomberata. L’impressione è che si sia voluto creare un campo c.d. “tollerato” piuttosto che ufficializzare la cosa, evitando tutti gli obblighi amministrativi e assistenziali connessi.

È un campo su cui non vengono condotti progetti (anzi alcuni di essi sono stati proprio ostacolati dalle amministrazioni locali) e sembra essere senza prospettive: abbandonato, fatiscente, insalubre e attualmente fuori controllo.

L’episodio recente dell’aggressione è una diretta conseguenza di una situazione esasperata e covata negli anni. Nel corso degli anni abbiamo affrontato tantissime situzioni critiche e pericolose. Questa però sembra essere la peggiore.

In un post che ho scritto per il blog Il Cencio la spiego così:

La notte fra il 25 e il 26 aprile quattro minori rom residenti presso il campo Al Karama di B.go Bainsizza, stavano tornavano in auto da una festa (un’auto non rubata, come vorrebbero far credere gli aggressori e i loro simpatizzanti, ma presa di nascosto al fratello maggiore di uno dei quattro), quando sono stati bloccati e aggrediti dapprima da una ronda di cittadini in puro stile far west guidata – pare – da un poliziotto in borghese che li ha costretti a inginocchiarsi a terra, e poi li ha presi a schiaffi. In seguito la ronda ha chiamato una volante di polizia, la quale ha continuato a prendere a schiaffi i ragazzi. Infine i poliziotti hanno intimato di ai ragazzi di tornare al campo, sottraendo però loro le chiavi dell’auto e costringendoli a spingere la macchina. Quando la volante se ne va, i ragazzi si accorgono di essere ancora inseguiti dalla ronda: tre di loro scappano, uno rimane a prendere calci e pugni ancora per un po’. Infine il rito bestiale di questi eroi della patria si conclude con il dare fuoco all’auto dei ragazzi nella piazza centrale del borgo, davanti al monumento ai caduti.

Convincere i ragazzi a farsi visitare e a denunciare ha richiesto uno sforzo sovrumano. Solo uno lo ha fatto. Le minacce infatti sono continuate anche nei giorni seguenti “se raccontate qualcosa vi diamo fuoco”, “se raccontate qualcosa, a sto giro vi ammazziamo davvero”.

Quel che fatica a emergere sono dettagli fondamentali per capire la vicenda, dettagli che non sono segreti e basterebbe aprire la testa e le orecchie un momento e parlare con chi certe le realtà le affronta – nel bene e nel male – tutti i giorni. E non parlo solo dei residenti di Al Karama, parlo anche delle famiglie del borgo giustamente esasperate dai continui furti nelle abitazioni e nelle piccole attività commerciali che si reggono su un’economia quasi di sussistenza.

Dentro Al Karama ci sono, sì, persone che rubano e delinquono, accanto a persone che si guadagnano faticosamente da vivere lavorando nei campi, nelle serre e nelle aziende alimentari della zona, o raccogliendo il ferrovecchio o, tutt’al più andando a chiedere l’elemosina (potrei aprire una lunga parentesi su coloro che, dopo aver lavorato giornate intere, rigorosamente in nero, poi non sono stati pagati. La parola di un rom contro quella di un – sudicio stronzo – imprenditore locale). Le persone che nel campo hanno scelto di vivere onestamente, comprendendo che si tratta dell’unica strada possibile per non essere ulteriormente vessati, in passato hanno anche indicato alle forze dell’ordine nomi cognomi e targhe delle auto di coloro che rubano. Lo hanno fatto loro. Affinché i ladri fossero, quantomeno, allontanati dal campo. Le forze dell’ordine non hanno fatto nulla, nessun’indagine, nessun sopralluogo, niente. Si sono “persi” persino le targhe.

Come pure avevano perso le targhe degli italianissimi pedofili che adescavano ragazzini fra i 12 e i 15 anni del campo rom. Due denunce a prendere polvere in procura da un anno. Uno dei pedofili, un 70enne di Nettuno, è stato persino colto in flagranza di reato. Eppure gira sereno, nessun procedimento a suo carico.

E sono fatti di dominio pubblico, che chi inneggia alle ronde e agli sbirri che si accaniscono 30 contro 4 secondo la tradizionale vigliaccheria fascista dovrebbe sapere.

La popolazione del borgo è la pedina “forte” di una guerra tra poveri, in una zona abbandonata a sé stessa, adulata solo in campagna elettorale, ma mai realmente coinvolta nelle decisioni. Invocano una politica forte, decisa, un po’ fascista e un po’ liberale (ché vogliamo essere tutti ricchi, ci mancherebbero solo le corporazioni) quando questa stessa politica forte è quella che ha svalutato i terreni inquinandoli, approvando piani di ampliamento della discarica, progetti relativi all’impianto di biogas, facendo finta di cercare i fusti tossico nocivi e poi piangendo come coccodrilli scemi sulla memoria di don Boschin, probabilmente più perché era un prete che per l’impegno contro la camorra.

La gente del borgo si lamenta che i bambini rom hanno il pullmino per andare a scuola e i loro no. E invece di prendersela con il Comune di cui sopra, i cui rappresentati nel borgo sono arruffapopoli senza scrupoli, se la prende coi rom, senza sapere che i soldi che il comune stanzia vanno a cooperative che non sempre svolgono adeguatamente il servizio (non inizia mai prima di metà ottobre, a gennaio – dopo le vacanze natalizie – si “dimentica” di ripartire e spesso già ad aprile/maggio viene sospeso).

Questa è la realtà dei fatti. E chi si aggrappa ancora alla favola dei macchinoni che avrebbero i rom di Al Karama – mai visti, e ci sono entrata dentro parecchie volte – è il lupo che cerca scuse banali per sbranare l’agnello di turno.

(La foto in apertura è tratta da una mostra fotografica dedicata proprio ad Al Karama)

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