Il potere dei corpi liberi
Il vergognoso codazzo di attacchi sessisti che accompagna ogni evento sociale e politico con una presenza femminile centrale è ormai una triste consuetudine. La potenza delle immagini, recentemente ricordata anche da azioni comunicative sul tema del consenso, in risposta all’assoluzione di uno stupratore in Irlanda, rimanda a una riflessione sulla rappresentazione del corpo. In un’epoca che spinge al massimo la diffusione estetizzata di sé, il corpo risulta ancora sovversivo, anche solo rappresentato in un’immagine. Un corpo promotore di messaggi, vero, coraggioso e sfacciato, un corpo collettivo che grida l’attualità della battaglia sull’autodeterminazione. E’ evidente essere in corso uno scontro sociale, con i suoi morti, i suoi mandanti. Attacchi e risposte, chi cerca di resistere e chi si finge indifferente, facendo pesare come sempre la sua apparente passività. Anche il linguaggio mostra tutta la sua potenza, quando cerca di sfregiare le protagoniste di una lotta sociale. Ma anche quando indebolisce la forza dell’antisessismo mettendo in discussione la validità delle pratiche, sminuendo il valore degli atteggiamenti quotidiani, scavalcando l’importante lezione: il personale è politico. Quando, con vuota retorica, svaluta la credibilità di una lotta e si fa velato strumento del nemico. Siamo tutti/e troppo abituati/e a quella pseudo comicità che si dipinge neutra e non si sente complice del sessismo. Invece di rompere il legame fraterno col patriarcato, acquisito di diritto in quanto maschi, questi comodi inconsapevoli, strizzano l’occhio ad atteggiamenti e allusioni con chiari riferimenti ideologici. Scelgono di discostarsi quanto basta da non esporsi, ma rimangono conniventi di un clima, che cela anche dietro semplici ripetitive battute, precisi modelli. Poca simpatia insomma, ma tanta pigrizia e codardia. Se invece guardiamo a persone meno consapevoli, frasi come “ormai le donne hanno più potere di noi” diventano un must. Convinzioni che spesso vengono da giovani con riferimenti culturali che hanno lo sguardo capovolto all’indietro. Viene avvertita una disputa concorrenziale tra i generi, senza cogliere il prepotente intervento delle dinamiche di potere esterne ai rapporti.
Nella ricerca di modelli palesemente in crisi nell’urto coi tempi, fanno fatica a trovare un nuovo posto nel contesto sociale mutato, in un quadro culturale egemonizzato dal machismo, che ha assunto nuovi tratti. Così le visioni più reazionarie accudiscono nuovi mostri. Sommerso dal peso dell’impotenza sociale quotidiana, il maschio sessista medio, riversa la sua frustrazione nelle dinamiche di genere. Un’insoddisfazione maturata in profondità, nascosta dietro i risvolti più intimi dei rapporti sociali. Apparentemente impercettibile, effetto di meccanismi di potere che richiedono precisi ruoli e momenti.
Un momento per subire, stando al proprio posto, presto però ricompensati dalla possibilità di riscattarsi, sugli altri generi, etnie, gruppi sociali. Questo effetto a catena necessita di trasmettere al prossimo l’avvilimento che altrimenti diverrebbe palese, non mostrare la propria debolezza è il primo grande dettame del patriarcato. Il machismo cerca di stabilirsi ai vertici delle piccole piramidi che ci circondano (posto di lavoro, famiglia, gruppi sociali). Realtà però sempre più insignificanti nell’immensità del mondo globalizzato, governato dalle potenti logiche del mercato, dove il dominio sulla propria vita è sempre più sfuggente.
Così la proprietà privata rimane la consolazione per fingere intatto il comando. Proprietà di beni e ricchezze materiali, potestà culturale e di valori, controllo dei corpi e delle attitudini, autorità sui diritti e doveri. In un mondo nel quale l’unica vera libertà è quella di vendere e di comprare, l’illusione della totale disponibilità delle merci, le più disparate, risulta come un miraggio nel deserto. La possibilità, anche se solo teorica, di acquistare ogni oggetto desiderato, è un motore che spinge ad accettare l’onnipresente compra-vendita. E’ anche possibilità di scegliere il proprio percorso formativo, il proprio lavoro, il proprio futuro. Tutti fatti presto smentiti dalla realtà. Il tradimento dell’ideologia liberale però è diluito nel tempo e raramente è la compromette alla radice. Così si ritiene soddisfacente scegliere tra un pugno di opzioni pre-impostate.
Il concetto di scelta plasma il suo senso più profondo, assume nuovi significati, diviene “scegliere entro..”, una ristretta cerchia di possibilità, mascherandosi da volontà libera. La ricaduta nel campo sessuale è dirompente. Un tema taciuto fin dall’infanzia, che non riesce quindi a costruire un codice condiviso, ma viene trasmesso da molteplici canali: pubblicità, programmi tv, videoclip, pornografia.
Gli immaginari vengono monopolizzati per soddisfare solo un pubblico specifico. La proposta è ripetitiva e stereotipata, ma la possibilità di scelta sembra infinita. La logica è la stessa della produzione di qualsiasi merce su scala industriale, l’offerta forza la domanda, imponendo un marketing selvaggio in ogni canale web. Tante categorie che rappresentano il medesimo approccio, veicolando messaggi che rinforzano il potere del maschio eterosessuale. Tutto ciò diseduca a vivere i corpi come spazio di possibilità da scoprire, e abitua a concepirli solo in funzione di una rassicurante ripetizione del proprio essere, un telo bianco dove proiettare la propria volontà, vissuta come bisogno istintuale, quindi naturale e legittimo.
Ampliare i propri orizzonti del desiderio viene visto alla stregua del violare innate leggi della fisica, quando spesso basta fare un piccolo salto oltre il recinto della morale e del pregiudizio. Fin da piccoli ci si abitua a vedere per le strade corpi in vendita, a disposizione dell’uso e consumo degli uomini.
Questo chiarisce nettamente i rapporti di potere tra i sessi. Meno evidenti sono le forme di sfruttamento di corpi e menti che coinvolge tutta la società. La compravendita generalizzata di ogni tipo di prestazione.
Il controllo del nostro tempo da parte di un terzo che esercita un potere su di noi, forte di una posizione privilegiata, è appunto la norma, e chiarisce nella società le dinamiche di classe. E così come i privilegiati nell’economia negano il dominio politico per mezzo della legge, chi detiene il privilegio tra i generi nega il primato della morale e la funzionalità delle sovrastrutture culturali. Non si accorge della sua stessa oppressione e non vuole accorgersi di quella che promuove. Tenta di affermare il proprio dominio, altrove negato, nella subalternità degli altri generi, e pretende la disponibilità nei rapporti desiderati.
Non può comprendere un rifiuto, proprio lui, che è cresciuto sentendo: tutto è qui per compiacerti.
In quest’ottica l’autodeterminazione diventa preoccupante, scuote dei punti fermi legati alla propria posizione sociale, disorienta dando voce a soggetti abitualmente reificati, trasformati in oggetti.
Attaccare queste espressioni diventa un dovere legato alla propria identità, la chiamata in difesa dello status privilegiato fa eco e diventa virale. Non vuole rinunciare a quella zona di confort che gli è stata promessa.
Al suo progetto proprietario, che presuppone un’unità domestica basata su un nucleo monogamico. Ambisce a un nucleo familiare, unità economica fondamentale del capitalismo, per riprodurre un nuovo centro di consumo, e poter coronare quel ciclo produttivo che dà senso alla sua esistenza.
Il modello borghese di famiglia, che con la sua morale matrimoniale offre la perfetta formula per questo fine. La mammella della madre e il sesso della sposa sono due immagini tanto sacre quanto profanate, perché considerate il prolungamento dell’io proprietario. Il controllo dei corpi diventa necessario per portare a compimento le ambizioni monogamiche, funzionale ad assicurarsi la proprietà dei figli, i futuri eredi. E’ in questo panorama che procede il conflitto. Le radici che nutrono le strutture del dominio patriarcale sono profonde, e i suoi aculei numerosi e affilati. All’occorrenza il linguaggio si carica della violenza che, palese o velata, permea la società, e infligge quelle punizioni che il patriarcato vorrebbe in serbo per le eretiche. I modi per sabotare il suo dominio sono tanti, a partire dai piccoli gesti spesso sottovalutati, per scarsa consapevolezza o comodità.
Davide Viganò
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