La triste parabola de “la Repubblica”, da quotidiano a house organ FCA

“La prima libertà di stampa consiste nel fatto che essa non è un’industria” (K. Marx)

C’era una volta la Repubblica.

Così potrebbe iniziare un coccodrillo dedicato al quotidiano di piazza Indipendenza.

Un necrologio reso necessario dal fatto che, in queste settimane, è sempre più evidente come non resti quasi più nulla del glorioso giornale fondato da Eugenio Scalfari nel 1976.

Il colpo di grazia è probabilmente rappresentato da un articolo uscito ieri e intitolato “Il prestito di Intesa Sanpaolo a Fca fa da apripista a una nuova formula che aiuterà migliaia di imprese” a firma Francesco Manacorda.

Come dicevano i latini? Ah…sì! Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Questo articolo sembra proprio rispondere all’antico motto dei classici.

Sì, perché nel momento in cui montano le polemiche sul fatto che FCA richiede un prestito pubblico di 6,3 miliardi di euro quando la sua sede legale è in Olanda (uno dei paesi che si è opposto con maggiore ferocia agli aiuti agli stati più colpiti dall’epidemia di Covid19), con un tempismo perfetto sulle pagine di la Repubblica esce un bell’articolo di 6 colonne pronto a spiegarci quanto l’accordo sul prestito sia cosa buona e giusta.

Ma facciamo qualche precisazione.

Per chi scrive, il lento e costante declino del giornale fondato da Scalfari nell’ormai lontanissimo 14 gennaio 1976 è un dato evidente già da tempo.

Partito come giornale corsaro, caratterizzato da grandi firme e da un linguaggio fresco, dall’interesse per un’alleanza tra quella che un tempo si chiamava “area laica” e l’allora PCI di Berlinguer, la Repubblica ha negli anni, parafrasando proprio Berlinguer, perso la sua spinta propulsiva.

Quella di Scalfari si dimostrò un’impresa giornalistica capace di farsi spazio tra un Corriere della Sera già in piena sterzata moderata (e piduista) dopo il siluramento del direttore Piero Ottone (che gli aveva dato una linea più liberal in stile New York Times) e tra un’Unità sempre più difficile da leggere con il progressivo appannarsi del mito dell’Ottobre bolscevico e del più grande Partito Comunista d’Europa. Ma anche tra una Lotta Continua, capace di imporre al giornalismo italiano temi innovativi e travolta però dalla crisi dei movimenti, e un il Giornale di Montanelli che parlava alla parte più reazionaria del nostro paese.

L’entourage de la Repubblica si era via via trasformato in un gruppo di potere che gli avversari definivano, in un misto di disprezzo e ammirazione, “il partito di Repubblica”, che si caratterizzava sempre più con il passare dei decenni per la volontà di dettare la linea alla variegata area politica del centro-sinistra, da un certo appiattimento sulle posizione del Partito Democratico americano e da una feroce linea anti-russa negli articoli di estera.

A noi piaceva poco per l’attitudine ad analizzare i movimenti sociali non nel loro senso politico profondo, ma come banalissimi episodi di costume sminuendone costantemente il valore.

La direzione Verdelli, pur tra tante contraddizioni, era stata capace di dare una linea più battagliera e dinamica. Più identitaria si potrebbe dire, proprio in un momento in cui le persone sono in cerca di identità e parole d’ordine forti. In qualche modo sembrava ricalcare la direzione di Furio Colombo dell’Unità nella prima metà degli anni 2000. Poteva non piacere, ma sicuramente aveva un carattere forte e attraente.

Tutto questo è finito nel dicembre 2019 quando la famiglia Agnelli ha messo le mani sul giornale di piazza Indipendenza (e non solo) creando una concentrazione di potere editoriale molto simile a quella del Berlusconi dei tempi d’oro (ma non altrettanto criticata e attaccata, ci pare…).

Verdelli è stato cacciato proprio a ridosso del 25 aprile (con tanto di sciopero di massa dei giornalisti come reazione a un gesto percepito come autoritario) e sostituito da Maurizio Molinari, atlantista e neo-liberista d’acciaio.

Gli effetti si sono visti immediatamente.

Sono iniziati attacchi, neanche troppo velati al governo Conte e un tifo, neanche troppo velato, per un nuovo, fresco e glorioso (siamo ironici!) governo di unità nazionale. Un bel governo tecnico capace di garantire i privilegi dei soliti  noti nella fase economicamente difficile che sappiamo ci troveremo a fronteggiare nel futuro più prossimo. Un governo in linea con gli altri sciagurati governi tecnici degli ultimi 30 anni: Amato, Ciampi e…Monti. Sempre pronto, con la scusa dell’interesse generale (che non esiste), a bastonare i poveri per salvare i ricchi. Il massimo del gattopardismo insomma, all’insegna del “cambiare tutto perché niente cambi”.

L’articolo agiografico di ieri su quanto sia bella la richiesta di soldi da parte da FCA è solo la goccia che fa traboccare il vaso.

Del resto, sarà dura per il governo negare questi soldi, perché FCA ha sì sede in Olanda, ma i posti di lavoro sono in Italia…

P.S.: Di pochi minuti fa la notizia delle dimissioni da Gad Lerner dal giornale. Inizio di un esodo?


Un interessante articolo da Il Fatto Quotidiano sul sistema fiscale in Olanda

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5 risposte a “La triste parabola de “la Repubblica”, da quotidiano a house organ FCA”

  1. Stefano ha detto:

    Sono d’accordo con la denuncia fatta dal vice segretario del PD Orlando c’è una presenza forte delle lobby per mandare a casa il governo, in quanto ha giustamente portato avanti una politica di salvaguardia del mondo del lavoro dipendente, lo dimostra non solo la vicenda : FCA, ma le stesse ostilità del neo Presidente di Confindustria Carlo Bonomi. L’opposizione infatti ha organizzato una manifestazione chissà perché proprio il 2 Giugno.

  2. Ornella ha detto:

    Condivido pienamente questo articolo, se noi poveri lavoratori dipendenti , non apriamo gli occhi e stiamo all’erta , verranno azzerati tutti i nostri diritti faticosamente conquistati.

  3. Piera palmieri ha detto:

    Più gli attacchi a questo governo sono forti e frequenti e più sono convinta che questo sia un giusto governo

  4. Fritz Conti ha detto:

    Bell’articolo, sono un appassionato e famelico lettore, in po’ per lavoro molto per passione. Divoro tutto giornali, libri, riviste, fumetti. Io di solito leggo tre quotidiani: la Stampa anche perché essendo di Vercelli contiene la cronaca locale, la Repubblica e il Corriere della Sera. Leggevo anche il Manifesto, ma ora sinceramente lo trovo abbastanza vuoto. Se Repubblica prenderà questa nuova direzione (continua a mio parere ad ospitare ottime firme) cosa mi rimarrà? Buona giornata e buona lettura.

  5. Mario Pesenti ha detto:

    Sto riflettendo sull’opportunità di smettere di leggere Repubblica, che ho seguito fin dall’inizio. A me la difesa degli affari della famiglia di Lapo non interessa. Sono anni che ho scelto di comperare auto straniere, tra dare lavoro a un polacco o a un francese o a un tedesco preferisco il secondo.

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